Questa è la storia della crisi dei rifugiati in più rapida crescita al mondo, raccontata dal fotogiornalista Mohammad Shahnewaz Khan nei suoi momenti più drammatici.
I rohingya sono una minoranza etnica apolide di fede musulmana sunnita che era per lo più concentrata in Myahmar. La loro è una storia di discriminazioni e abusi subiti per decenni senza che la comunità internazionale reagisse. Oggi sono ridotti a poche centinaia di migliaia di individui.
Secondo Human Rights Watch, a partire dal 25 agosto 2017 le forze di sicurezza birmane hanno condotto una campagna di pulizia etnica contro i musulmani rohingya; le truppe governative hanno preso di mira case, campi, scorte alimentari, raccolti, bestiame e persino alberi, rendendo quasi impossibile il loro ritorno a casa. In quell’occasione più di 745mila persone appartenenti a questa minoranza (secondo l’UNICEF più della metà sono bambini), sono fuggiti dal Myanmar verso il vicino Bangladesh per salvarsi da uccisioni, incendi dolosi, violenze sessuali e altre atrocità. La maggior parte di loro ha camminato da tre a sei giorni, a piedi nudi sulle montagne e attraverso i fiumi. Sono arrivati esausti, malati e affamati e hanno trovato rifugio a Cox’s Bazar dove oggi un milione di persone vive in campi sovraffollati senza sicurezza e in condizioni igienico-sanitarie al limite della tolleranza umana.
Il governo del Myanmar ancora nega loro il riconoscimento. Nei momenti più drammatici di quell’esodo, i soldati hanno preso a calci e ucciso diversi profughi, hanno sparato a persone inermi, hanno gettato bambini nel fuoco, violentato donne e ragazze. Secondo Medici Senza Frontiere (MSF), 6.700 rohingya sono stati massacrati dalle forze di sicurezza del Myanmar in un mese, a seguito di una repressione guidata dal governo nello stato di Rakhine, alla fine di quel tragico agosto. I musulmani rohingya chiedono la cittadinanza del Myanmar e il riconoscimento definitivo del loro status sociale.
Barbara Silbe
Foto credit: ©️ Mohammad Shahnewaz Khan
The Rohingya genocide, a journey into hate
This is the story of the world’s fastest growing refugee crisis, told by photojournalist Mohammad Shhanewaz Khan at its most dramatic point.
The Rohingya are a stateless ethnic minority of Sunni Muslim faith, concentrated mainly in Myahmar. Theirs is a story of discrimination and abuse suffered for decades with no response from the international community. Today they are reduced to a few hundred thousand individuals.
According to Human Rights Watch, beginning on August 25, 2017, Burmese security forces conducted an ethnic cleansing campaign against Rohingya Muslims; government troops targeted homes, fields, food supplies, crops, livestock, and even trees, making it nearly impossible for them to return home. At that time, more than 745,000 people from this minority group (more than half are children, according to UNICEF) fled Myanmar to neighboring Bangladesh to save themselves from killings, arson, sexual violence and other atrocities. Most of them walked three to six days, barefoot over mountains and across rivers. They arrived exhausted, sick and hungry and found shelter in Cox’s Bazar, where today one million people live in overcrowded camps with no security and hygienic conditions bordering on human tolerance.
The Myanmar government continues to deny them recognition. In the most dramatic moments of that exodus, soldiers kicked and killed several refugees, shot unarmed people, threw children into the fire and raped women and girls. According to Médecins Sans Frontières (MSF), 6,700 Rohingya were massacred by Myanmar security forces in one month following a government-led crackdown in Rakhine State at the end of that tragic August. Rohingya Muslims are demanding Myanmar citizenship and ultimate recognition of their social status.
Barbara Silbe
Foto credit: ©️ Mohammad Shahnewaz Khan Inviato da iPhone