Ogni anno nel mondo 12 milioni di bambine e ragazze al di sotto dei 18 anni vengono date in sposa.
In Bangladesh, Mozambico, Repubblica Centro Africana, Niger e Sud Sudan più del 40% delle ragazze tra i 15 e i 19 anni sono sposate. In Chad, Mali, Guinea, Burkina Faso e Madagascar sono il 30-40% delle ragazze 15-19 anni.
Una prassi che si protrae di generazione in generazione senza soluzione di continuità. Fino ad arrivare qui.
Saman Abbas era originaria del Pakistan, aveva diciotto anni, viveva in Italia e voleva vivere. Voleva essere libera di decidere del proprio futuro, di fare le proprie esperienze, anche sentimentali. Ma tutto ciò strideva con la mentalità della sua famiglia, che quella notte del 30 aprile 2021 l’avrebbe attirata in una trappola, per poi ucciderla e occultare il cadavere. Attualmente sono in corso due processi, uno in Pakistan, dove i genitori della ragazza sono fuggiti subito dopo il delitto, e uno in Italia, che vede imputati per omicidio aggravato uno zio e un cugino.
La famiglia voleva obbligarla a sposare un connazionale. Lei si era ribellata, e l’unica soluzione per lavare la vergogna di una figlia ribelle sarebbe stata ucciderla. Eppure, Saman e i suoi genitori erano in Italia da anni. Dove, seppure con imperdonabile ritardo, nel 2019 è stato introdotto il reato di induzione o costrizione al matrimonio, punito con la reclusione da uno a cinque anni.
Ma non bastano le leggi per cambiare un modo di pensare che si trascina di generazione in generazione, superando le barriere dei confini geografici e dei vincoli filiali. Non è sufficiente la punizione dello Stato se chi commette il reato è convinto di essere dalla parte della ragione, perché considera la donna una proprietà, prima dei genitori e dei fratelli, e poi del marito al quale, indotta o costretta, viene data in sposa.
Laddove non è recepito il concetto di libertà, il principio di autodeterminazione, la consapevolezza dell’uguaglianza tra gli esseri umani, una qualsiasi sanzione penale è destinata a svanire la sua efficacia deterrente e rieducativa. Invece, è indispensabile la cultura della prevenzione. Insegnare ai bambini il rispetto dato e preteso, un rispetto che deve riguardare tutti e che impedisce di dare più diritti per il solo fatto che la propria sequenza cromosomica corrisponda a una X abbinata a una Y. Si tratta di un lavoro lungo, impegnativo, ancor più se deve essere affrontato in quelle terre, come il Bangladesh o il Pakistan (ma il fenomeno è assai vasto anche in Sud America) dove la discriminazione e la sottomissione delle donne è parte integrante della costruzione sociale.
In questo, la diffusione delle notizie che riguardano le spose bambine può aiutare moltissimo. A risvegliare coscienze sopite, e a far sorgere il dubbio che ciò che si è fatto per millenni non necessariamente è sempre giusto. E che l’intelligenza sta anche nel cambiare prospettiva e rotta, avendo il coraggio di spezzare tradizioni antiche ma ingiuste. Bisogna crederci.
Avv. Elisabetta Aldrovandi*
*Presidente dell’Osservatorio Nazionale Sostegno e garante regionale tutela vittime di reato per la Lombardia