Riforma della Sanità: tema caldissimo da settimane in Colombia, dove il governo Petro si appresta alla battaglia parlamentare per l’approvazione di un testo che, secondo molti osservatori, rischia di compromettere un sistema medico-sanitario che offre una buona copertura generale alla popolazione, raggiungendo più che soddisfacenti standard rispetto alla media della regione.
A far scoppiare la polemica, oltre alla possibilità che nelle pieghe della riforma siano nascoste previsioni che aprirebbero le porte delle strutture sanitarie colombiane alle brigate mediche cubane, questa volta è la risposta di Carolina Corcho, Ministro della Salute, ad un’interrogazione di un parlamentare del partito Liberale, Alejandro Carlos Chacon. Il senatore colombiano ha chiesto alla proponente della riforma se si fosse già provveduto ad identificare i profili professionali necessari, nell’ambito del disegno legislativo, ad apportare le modifiche al sistema sanitario, o se si andasse incontro ad una mera statalizzazione dello stesso.
La risposta del Ministro ha lasciato a bocca aperta, e ancora più preoccupati, membri dell’opposizione così come di partiti moderati alleati del governo, nonché i qualificati commentatori: nel testo giunto al senatore in seguito alla sua richiesta, infatti, si specifica che il modello di sanità “preventiva-predittiva” si concretizzerebbe nella creazione di equipe sanitarie che, per propiziare “lo sviluppo della interculturalità”, potrebbero essere composte, oltre che da medici ordinari e specializzati, anche da “medici tradizionali di comunità indigene come i Payés, Taitas, Mamos, Tewalas, Piachis, Jaibanas, esperti di erbe, […] e shamani”.
A poco vale la precisazione che tali figure debbano essere “riconosciute e avallate dalle rispettive organizzazioni di appartenenza, tenendo conto delle dinamiche differenziali, etniche, culturali e interculturali dei territori”, non essendovi modo per molti di questi “professionisti” della salute. Di fronte a questa proposta, crescono le preoccupazioni per una riforma che potrebbe ridurre il livello qualitativo delle prestazioni sanitarie e il diritto all’accesso ad adeguate ed efficaci cure.
Andrea Merlo