Il 26 aprile non è stato solo il 14° mese di guerra in Ucraina, è stato anche drammaticamente il 36° anniversario del disastro di Chernobyl. Una sciagura che ha colpito gran parte dell’Ucraina anzitutto e che al tempo stesso ha provocato malattie, danni economici a diverse altre regioni europee. La disinformazione, la cieca volontà di potere dei comunisti sovietici di allora non può essere dimenticata dinanzi alla barbarie post-comunista nell’Ucraina di oggi.
Una triste ricorrenza che non è certo stata dimenticata dalla delegazione di giornaliste ucraine impegnate in prima linea nella guerra contro la Russia di Putin che abbiamo incontrato ieri in Senato con il Sen. Giulio Terzi. Sei attiviste e giornaliste che hanno deciso di restare nelle loro città. Hanno deciso di rischiare la vita in nome di una società democratica, di un tessuto sociale d’informazione locale che le bombe di Putin hanno tentato di spazzare via il 24 febbraio 2022.
Costretti a vivere sotto il coprifuoco e con infrastrutture danneggiate, milioni di civili ucraini si sono ritrovati senza servizi telefonici, senza corrente, senza accesso ad internet, senza possibilità di comunicare e senza informazioni se non quelle fabbricate dalla feroce propaganda russa. Un’oscurità che tuttavia non è durata: da un lato la risposta militare ha respinto i russi oltre il confine a nord e li ha contenuti ad est, dall’altro la volontà dei cittadini di non mollare ha salvato intere comunità dal buio in cui erano sprofondate.
Con gli uomini impegnati al fronte, all’origine di questo miracolo vi sono Natalia Kalinichenko, Natalia Pakhaichuk, Kateryna Klochko, Alla Skoryk, Taisiya Garmash e Olena Vlasova. Nonostante la mancanza degli strumenti essenziali per il mestiere di giornalista, sono riuscite a creare le condizioni perché città e villaggi nelle regioni di confine di Chernihiv, Sumy, Kharkiv, Kherson, Mykolaiv, Odesa e Zaporizhzya, sostenute dalla rete Ukraine Rapid Response Fund, tornassero a ricevere informazioni arginando la disinformazione che accompagna la distruzione compiuta da Mosca.
Giornali come Vpered o Bilopil’shyna in poche pagine, ricche di informazioni preziose, hanno prodotto conoscenza e fatto la differenza – letteralmente – tra la vita e la morte. La lettura tempestiva ha infatti permesso ai locali di mettersi in salvo dopo essere state allertate di pericoli imminenti.
Ne è drammatico esempio la martoriata Bakhmut dove la prima pagina del giornale “Vpered” (Avanti) il 22 febbraio 2023 conteneva l’avviso “Bakhmut è divenuta la città più pericolosa dell’Ucraina. Evacuate!”. Il messaggio ha permesso agli abitanti di lasciare in tempo le loro abitazioni o di trovare un rifugio prima dell’arrivo dell’ennesimo, devastante bombardamento russo.
Il Presidente Zelenski ha sempre incoraggiato la stampa per la sua vitale funzione che ha permesso ad impedito ad interi territori di soffocare. Lo è stata in maniera crescente man mano che le regioni occupate venivano liberate: con storie di solidarietà, di speranza, di eroi, immagini ed interviste.
I media locali hanno svolto e svolgeranno sicuramente un ruolo fondamentale anche nella ricostruzione dell’Ucraina. Un obiettivo a cui l’Unione Europea contribuisce e nella quale l’Italia è pienamente coinvolta come dimostrato dalla conferenza, tenutasi in tema il 26 aprile a Roma.
L’UE e gli Stati membri, tuttavia, devono continuare a prestare attenzione soprattutto a quella che sarà la prossima offensiva che colpirà anche l’Italia: quella mediatica.
È lecito pertanto aspettarsi che la propaganda russa presenti gradualmente il conflitto come “congelato”, con l’obiettivo di corrodere il consenso attorno al sostegno politico, economico e militare garantito a Kiev dall’Occidente. La lotta alla disinformazione e per il diritto alla conoscenza continua.
Matteo Angioli