Quando in Perù nel 1980 tornò la democrazia, simbolicamente i peruviani vollero rieleggere Fernando Belaúnde Terry: il centrista che i militari avevano deposto con il golpe del 1968. Dopo di lui, dal 1985 il popolo ne ha eletti altri sei, anche se poi in tutto ce ne sono stati 11, per le sostituzioni di quelli obbligato a dimettersi. Cinque di questi sei sono finiti in galera; l’eccezione è stato Alan García, presidente dal 1985 al 1990 e dal 2006 al 2011. Lo ha evitato con lo spararsi in testa subito dopo che la polizia era entrata in camera sua per arrestarlo. Due sono ora in libertà provvisoria, ma sotto processo. Uno è Ollanta Humala, presidente dal 2011 al 2015, e detenuto dal 13 luglio 2017 al 26 aprile 2018: sono stati richiesti 20 anni per lui e 28 per la moglie. L’altro è Pedro Pablo Kuczynski: eletto nel 2016 ma già costretto alle dimissioni nel 2018: dopo essere stato detenuto dal 10 aprile al 2 maggio 2019 e ai domiciliari fino al 10 aprile 2022. Gli altri tre si trovano ora detenuti nello stesso carcere di Barbadillo: Alberto Fujimori, che fu presidente dal 1990 al 2000; Alejandro Toledo, in carica dal 2001 al 2006; e Pedro Castillo, insediato il 28 luglio 2021 e destituito il 7 dicembre 2022 da quel Congresso che aveva cercato di sciogliere.
È un record di instabilità notevole anche per il contesto latino-americano. Eppure, ricordava la Banca Mondiale, “dopo un rimbalzo post-pandemia del 13,3 per cento nel 2021, il Pil è aumentato del 3,5 per cento su base annua nella prima metà del 2022, trainato da manifattura, costruzioni e servizi”. Ma anche questa economia che funziona in un contesto di politica che non funziona è una particolarità peruviana. Toldo, comunque, è arrivato a Barbadillo adesso. Arrestato negli Usa il 16 luglio 2019 su richiesta di estradizione del Perù, era stato posto in libertà dietro cauzione il 19 marzo 2020. Ma a febbraio il Dipartimento di Stato ha infine concesso l’estradizione, che è stata eseguita il 22 aprile.
“L’isolamento totale non è consentito nel sistema carcerario”, hanno spiegato le autorità peruviane. Toledo, Castillo e Fujimori potranno dunque visitarsi, anche se la cosa apparirebbe bizzarra. Toledo fu infatti eletto dopo essere emerso come leader della protesta che obbligò Fujimori alle dimissioni, e Castillo fu eletto al ballottaggio contro la figlia di Fujimori. Castillo fu in compenso dirigente del partito di Toledo anche se poi ha sterzato molto più a sinistra. Comunque, il chiarimento sul diritto di visita era stato dato dopo che Toledo poco prima dell’estradizione aveva espresso il timore di potere essere ucciso in un carcere peruviano. Quando Humala pure fu detenuto nella struttura si incontrò comunque un paio di volte con Fujimori, anche se contro di lui da ufficiale aveva tentato addirittura una insurrezione militare.
A Toledo sono stati dati comunque due stanze, una camera da letto, un bagno, una doccia e un patio o giardino che può essere utilizzato dal detenuto per uscire a camminare. Primo presidente indigeno eletto del Perù, Toledo è indagato per i presunti reati di collusione, traffico d’influenza e riciclaggio di denaro, come tangenti ricevute dalla multinazionale brasiliana Odebrecht durante la procedura di gara per i tratti II e III dell’Autostrada Interoceanica .
Maurizio Stefanini*
*Roma, 1961. Giornalista e saggista, moglie e due figli, specialista in America Latina