Esattamente dieci anni fa, l’Occidente realizzò quale potesse essere il peso sociale dei colossi della moda.
Il 24 aprile del 2013 a Dacca, in Bangladesh, avvenne uno dei più gravi disastri della storia dell’industria dell’abbigliamento: l’edificio di Rama Plaza crollò uccidendo più di mille lavoratori e lavoratrici, e più di 2500 furono i feriti gravi. Solo cinque mesi dopo, nella stessa città, un incendio uccise altre 112 persone in uno stabile che si chiamava Tazreen Fashion.
Quei due eventi innescarono una serie di proteste e denunce per la violazione dei molti diritti dei lavoratori che operano nel settore in Bangladesh, India, Sri Lanka, Pakistan, ma anche Cina, Mongolia, Vietnam o Myanmar. Si tratta ancora oggi di persone sfruttate, spesso violate o schiavizzate, private di qualunque tipo di diritto o sicurezza e sottopagate per tenere sempre più bassi i costi di produzione e i prezzi imposti dai grandi leader di un indotto che coinvolge anche il settore chimico e che produce moda usa e getta, contribuendo a inquinare di cose futili l’intero pianeta.
Nel maggio di quello stesso anno e dopo molte manifestazioni di piazza, il Paese adottò un Accordo per la prevenzione degli incendi e per la sicurezza degli edifici, che venne firmato da molte aziende, eppure negli anni la situazione si è perpetrata: la gente più povera è comunque costretta ad accettare qualsiasi condizione e salario, perché non ha alternative, e questa nuova forma di schiavitù in nome di profitti in costante crescita finisce per distruggere le loro stesse esistenze.
Questa serie di immagini, realizzate dal fotoreporter Mohammad Shahnewaz Khan e che hanno recentemente ricevuto numerosi premi internazionali, dimostrano che ancora, ai giorni nostri, accadono tragedie a danno dei lavoratori sfruttati dalle aziende in un modo che noi possiamo solo vagamente immaginare.
Nella notte del 4 giugno 2022, nell’area di Kadamrasul a Sitakunda, a 40 chilometri dalla città portuale di Chittagong, sempre in Bangladesh, è scoppiato un incendio in un deposito di container di una joint venture olandese-bangladese chiamata BM Container Depot (che gestisce la maggior parte dei vestiti che vengono esportati in Occidente). La successiva esplosione, causata dallo stoccaggio non autorizzato di perossido di idrogeno nel deposito, ha ucciso 51 persone e ne ha ferite più di 200, tra i quali 10 vigili del fuoco. La maggior parte di questi erano lavoratori portuali, autisti, aiutanti, operai, addetti al soccorso. La violenza delle esplosioni ha colpiti edifici a chilometri distanza.
Non è la prima volta che in Bangladesh si verifica un disastro del genere a causa di sostanze chimiche. Ogni anno, dopo un incendio in una fabbrica chimica o di plastica, si scopre che non c’era nessuna autorizzazione per stoccare questi prodotti. In precedenza, le sostanze chimiche erano state le principali responsabili degli incendi a Nimtali, nella vecchia Dhaka, a Churihatta e alla fabbrica di succhi Shezan a Narayanganj. Dopo la morte di 124 lavoratori a Nimtali, di 71 in quel tragico incidente a Churihatta, di 4 ad Armanitola o di 52 ad Hashem Foods, sappiamo che le sostanze chimiche erano immagazzinate illegalmente. Dopo la morte di 112 persone alla Tazreen Garments, si scoprì che non esisteva un sistema di estinzione degli incendi nella fabbrica.
Il problema non sono solo le sostanze chimiche; i problemi principali sono le irregolarità, la corruzione, il capriccio, la mancanza di sorveglianza, la cultura dell’irresponsabilità e del darsi la colpa a vicenda. In particolare, la tendenza dei proprietari ad avere buoni rapporti con funzionari governativi di alto rango dà ai proprietari una licenza non scritta di essere sconsiderati e di fare ciò che vogliono. Addirittura, se si cercano i proprietari dei vari incidenti avvenuti in Bangladesh, talvolta si scopre che erano persone vicine al governo.
Il BM Container Depot gestisce la maggior parte dei vestiti pronti e delle esportazioni del Bangladesh verso l’Occidente. Molti lavoratori nel Paese perdono la vita nel tentativo di entrare illegalmente in Europa, soprattutto in Italia, e trascorrono anni come rifugiati e immigrati clandestini. Molti di loro cadono ella morsa dei broker, hanno perso ogni sostegno e persino le loro case, sono annegati in mare e hanno vissuto una vita disumanizzata nelle foreste e nelle montagne. Molti braccianti del Bangladesh hanno lavorato in Italia.
Le violazioni continuano nel presente. Ci sono regolarmente esplosioni e incendi nella stessa area, nella zona di Kadamrasul di Sitakunda, nell’arco di 8 mesi. Il 04 marzo 2023, 6 persone sono rimaste uccise e 25 ferite nell’esplosione di un impianto di ossigeno presso la “Shema Oxygen Oxico Ltd”, nella zona di Kadamrasul a Sitakunda, e pochi giorni dopo un’altra fabbrica di cotone vicina ha preso fuoco. In questi mesi si sono verificati diversi incendi in fabbriche e mercati di Dhaka, uno dei quali è la “tragedia di Bangabazar”.
Barbara Silbe e Mohammad Shahnewaz Khan