In teoria tra i più umili prodotti agricoli, la cipolla in pratica in Paesi poveri può essere un tema centrale della politica. In Asia, in particolare, vista l’importanza che le cipolle hanno nella dieta di paesi sovrappopolati. È stato coniato addirittura il termine Onionomics ( (BBC) per descrivere il modo in cui in India il risultato delle elezioni può essere determinato dal prezzo dell’umile ortaggio, in modo analogo a ciò che in altri sistemi politici può avvenire con la benzina. E nelle Filippine quest’anno sono diventate addirittura oggetto di contrabbando (BBC).
Ma anche in Africa le cipolle possono addirittura trasformarsi in un volano, se non proprio di sviluppo, per lo meno di un indizio di benessere. In Etiopia, a esempio, nel Villaggio di Bilate, Distretto di Duguna Fango, in quella Regione delle Nazioni, Nazionalità e Popoli del Sud che si trova in effetti nel Sud-Ovest del Paese, il signor Abrahm coltivava soprattutto mais. Ma poi ha deciso di riservare circa un quarto di ettaro anche alle cipolle, producendone 20 quintali. Ne ha ricavato 25.000 birr etiopici, invece dei 9000 che ne avrebbe ricavato dal mais. Al cambio fanno 900 dollari: non sembra tantissimo, ma quanto è bastato per costruirsi una nuova casa.
Il tutto grazie alla formazione che ha ricevuto grazie a “Employ Project” (Progetto Emply). È una iniziativa di cooperazione di formazione e lavoro per un’alternativa sostenibile alla migrazione nelle aree rurali del Wolaiyta: una zona comprendente cinque distretti, con un centinaio di villaggi. Finanziato dal Ministero dell’Interno italiano, ha come partners il Comitato Europeo per la Formazione e l’Agricoltura Onlus, come capofila, e poi l’Associazione Nazionale per lo Studio dei Problemi del Credito, il Comitato di Collegamento di Cattolici per una Civiltà dell’Amore, l’Ente Nazionale per il Microcredito, la Link Campus University, SudgestAid – Aiutare lo sviluppo difficile e la Wolaita Development Association.
Marco D’Agostini, del Comitato di Collegamento di Cattolici per una Civiltà dell’Amore, ricorda che “in questi ultimi anni più di 700.000 etiopi, ogni anno, hanno dovuto abbandonare il loro Paese, più del 20% sono giovanissimi sotto i 15 anni!”.
Anche Giorgia Meloni è andata in visita a Addis Abeba appunto per sottolineare l’importanza di aiutare lo sviluppo in Paese chiave come l’Etiopia, per prevenire l’emigrazione di massa. Per creare opportunità di lavoro, soprattutto per le giovani generazioni, circa 800 giovani ed esperti locali sono stati formati per diventare a loro volta formatori di tecniche agricole, organizzazione e gestione di cooperative e comitati di contadini, accesso al mercato, microcredito e creazione di microimprese. Era stata prevista la formazione di circa 14.000 agricoltori dei 100 villaggi per migliorare le tecniche agricole, la possibilità di reddito e di occupazione, ma alla fine ne sono stati formati più di 47.000. E i beneficiari finali dell’intero progetto sono stati tutti i 500.000 abitanti della zona. Per favorire lo scambio internazionale di buone pratiche tra Italia ed Etiopia è stata anche organizzata una Summer School in Italia.
Non solo le cipolle sono state una chiave di miglioramento. Nel Villaggio di Sere Esho, Distretto di Offa, Demise Dea possedendo poco terreno si era dedicato alla produzione di miele. Grazie a un po’ di training e alla fornitura di arnie moderne, per la prima volta non si è limitato ad utilizzare il miele per l’autoconsumo familiare ma ne ha anche prodotto abbastanza per rivenderlo, ricavandone circa 470 euro.
Nel Villaggio di Sere Esho, Distretto di Offa, la signora Litisha Liqa prima si limitava ad attività casalinghe senza accesso diretto ad attività di mercato. Grazie al training, ha costituito un gruppo di 10 donne dedicate alla sericoltura che, per la prima volta, hanno ricavato un reddito di circa 300 euro dalla vendita dei primi bozzoli prodotti.
Nello stesso villaggio la signora Alemitu Mutie, madre di 5 figli, prima limitava la propria attività alla produzione per autoconsumo, lavorando il terreno familiare. Anche lei grazie al training per la prima volta ha auto accesso al mercato. Infatti ha costituito un gruppo con sei altre famiglie per coltivare anche terreni comuni, prima incolti, introducendo nuovi prodotti, come il cavolo cappuccio, da cui ha ricavato circa 230 euro.
Tornando a Bilate, Wonoimu Waza vi possiede circa un ettaro di terra. Anche lui con la razionalizzazione della produzione conseguita grazie al training ha suddiviso il terreno tra mais e cipolla: ricavandone rispettivamente 1000 e 780 euro, e triplicando così il suo reddito. Grazie a questi risultati, anche lui si è potuto costruire una nuova casa, più vicina al centro del villaggio.
Abera Balch nel villaggio di Gocho, Distretto di Kindo Didaye, dispone di soli 0,125 ettari per la sua famiglia. Grazie alle nozioni apprese nel training è tuttavia riuscito ad incrementare il suo reddito da circa 220 a 390 euro, razionalizzando l’uso del terreno a sua disposizione e massimizzando l’impiego di sementi e fertilizzanti.
Abraham Ayza, fa parte di un gruppo di cinque rifugiati che, a seguito di disordini in un’altra regione, si sono reinsediati nel Villaggio di Adila nel Distretto di Boloso Bombe. Col training ricevuto anche loro si sono messi a coltivare cipolla e altri prodotti, guadagnando tra i 500 e i 6500 euro.
Cipolle che invece di far piangere come nello stereotipo sono fonte di allegria a parte, ricorda D’Agostini, “nel corso del progetto Employ è emerso chiaramente che il principale limite allo sviluppo di un’agricoltura più moderna nell’area è legato alla carenza d’acqua la quale non è tanto ascrivibile a fattori climatico morfologici quanto all’insufficienza di investimenti e formazione per sistemi di raccolta, risparmio e razionale distribuzione dell’acqua disponibile”. Nonostante il progetto non prevedesse interventi strutturali, si è pertanto ritenuto realizzare un impianto di base dimostrativo costituito da un sistema di irrigazione a goccia di circa 1,5 ettari, con pompe alimentate da pannelli fotovoltaici, per iniziative di formazione permanente. Grazie al carattere modulare dell’impianto, allo stesso impianto dimostrativo iniziale potranno allacciarsi ulteriori contadini o replicarlo in altre aree con strumenti di microfinanza.
Maurizio Stefanini*
*Roma, 1961. Giornalista e saggista, moglie e due figli, specialista in America Latina