Siamo certamente in molti a pensare che possa essere giunto il momento dell’Italia, nell’esprimere il nuovo Segretario Generale dell’Alleanza Atlantica, al temine del mandato di Jens Stoltenberg.
Per la nostra politica estera e per l’Alleanza Atlantica l’Ambasciatore Manlio Brosio fu un uomo di straordinaria importanza e la sua opera risulta oggi di grande attualità. Lo è per molte ragioni, a quasi sessant’anni dalla sua nomina alla NATO, in un quadro all’epoca così complesso quanto lo è oggi.
Si tratta di una storia che deve essere ben meditata e presente a quanti, nel nostro e negli altri trenta Paesi (di fatto ormai è una NATO di 32 Stati membri, con decine di partenariati), stanno avanzando candidature: alcune di particolare prestigio e significato politico, provenendo da Stati già vittime dell’occupazione sovietica.
Si tratta di capire se l’Italia intenda veramente avanzare una candidatura in un contesto così` fortemente competitivo, in cui le nazioni che hanno riottenuto la libertà e riaffermato la loro sovranità dopo aver sofferto gli orrori del comunismo sovietico hanno pieno titolo a chiedere di poter esprimere il nuovo Segretario Generale. Abbiamo un candidato italiano con lo spessore, l’autorevolezza atlantica e l’esperienza paragonabili a quelle di Manlio Brosio?
E’ una domanda fondamentale, accanto a una breve riflessione su Manlio Brosio.
Egli fu Ambasciatore a Mosca (11 dicembre 1946-20 dicembre 1951), Londra (19 ottobre
1951-18 novembre 1954), Washington (18 novembre 1954-5 maggio 1961) e Parigi (5 maggio 1961-1964); e poi Segretario Generale della NATO (14 maggio 1964-30 settembre 1971).
La sua nomina a Mosca non sembrò sgradita ai sovietici1, forse anche perchè il liberale e antifascista torinese, ancora in quel periodo, si attestava su posizioni neutraliste fondate su una valutazione molto complessa della situazione politica europea, connessa al ruolo della NATO e al ruolo della deterrenza nucleare.
La prudenza che il Governo italiano ebbe circa l’adesione all’alleanza occidentale non fu dettata da un neutralismo ideologico (che le elezioni politiche del 1948 avevano già eliminato), e nemmeno da un atteggiamento che oggi si potrebbe valutare come opportunistico sul piano della politica interna e internazionale.
Alcuni sostenevano che l’Italia sarebbe dovuta rimanere neutrale per meglio difendere gli interessi nazionali2, mentre Brosio ammoniva come Roma avrebbe dovuto optare per l’alleanza occidentale soprattutto in caso di gravi necessità economiche.
L’Ambasciatore sciolse così alcuni dubbi col passare degli anni, a fronte dell’atteggiamento sempre più assertivo dei sovietici e dei comunisti italiani, mentre andava delineandosi la contrapposizione tra mondo libero e Unione Sovietica.
Tra l’altro, Brosio constatò l’avversione proprio dell’URSS a qualsiasi ipotesi di revisione dei trattati, che invece era il fine della politica estera italiana.
Brosio sapeva bene che la revisione dei trattati non sarebbe stata garantita dall’adesione all’alleanza occidentale, ma quest’ultima avrebbe reso possibile sperare in un aiuto occidentale circa la questione territoriale di Trieste.
L’Italia firmò dunque il Trattato di Washington, e Brosio affermò che la pace poteva essere preservata solo con la partecipazione all’Alleanza Atlantica: il diplomatico piemontese, infatti, colse il senso e la portata di quello che stava accadendo con l’inizio della Guerra di Corea e l’allineamento via via sempre maggiore di molti Paesi all’Unione Sovietica, dal Sud America all’Africa.
Molti anni dopo, pronunciando un intervento al trentennale dell’Alleanza Atlantica nel 1979, Brosio sottolineò che «De Gasperi, Einaudi e Sforza fecero la buona scelta. Rispettiamola, rafforziamola se vogliamo ancora pace con libertà e onore».
Dopo Mosca, Brosio fu designato a rappresentare l’Italia in altre tre capitali di rilevanza globale: Londra, Washington e Parigi. In particolare, fu durante i sette anni trascorsi a Washington (1954-1961), che egli comprese la posta in gioco della Guerra Fredda, anche frequentando i circoli statunitensi che erano più impegnati sulla cortina di ferro, i funzionari del Dipartimento di Stato e quelli di Allen Dulles4.
L’Ambasciatore si convinse “sul campo” dell’opportunità di cementare il legame fra Italia e Stati Uniti all’interno della NATO, e della funzione cardinale che essa aveva nel contrasto all’URSS nella Guerra Fredda.
Egli appariva ormai in sintonia con il mondo americano, ne capiva il valore, le sfumature, i timori, e da lì` crebbe in Brosio un vero e proprio sentimento atlantico, basato sulla volontà di rafforzare il patto transatlantico dal versante europeo.
La sua ultima destinazione in qualità di Ambasciatore fu Parigi (1961-1964), dove ebbe modo di confrontarsi con il Generale de Gaulle e la sua politica nazionalista, che a parere di Brosio doveva poter continuare a coniugarsi con Washington nella difesa dell’Occidente.
Brosio seppe avvicinare la figura di de Gaulle e riconoscergli che la sua idea di rafforzamento europeo non era da interpretarsi come avversione o alternativa agli Stati Uniti ma di natura dialettica. «Egli dovette a queste sue riflessioni l’originarsi della sua fama di filo-gollista, che lo accompagnò anche nel dibattito sulla nomina del futuro Segretario Generale della NATO e, come tale, Presidente del Consiglio Atlantico»5.
Si tratta di un’etichetta riduttiva, epperò bisogna annotare come i rapporti fra il Presidente francese e l’Ambasciatore italiano si mantennero sempre ottimi6; e questo fu visibile quando Brosio si occupò dell’uscita francese dal comando integrato della NATO (non dall’alleanza) nel marzo 1966, causando una rottura politica tra la Francia e gli altri alleati.
L’abilità diplomatica e politica di Brosio fu affinata in quasi due decadi di missioni in capitali di importanza mondiale. Tuttavia, la scelta di Brosio per il ruolo di Segretario Generale della NATO derivò anche dal fatto che l’Ambasciatore aveva trascorso gli ultimi anni a provare a coniugare la politica estera gollista con le esigenze americane, a raccordare mondi, separati dall’Atlantico, che forse non si amavano ma che certamente si rispettavano e sapevano di dover restare uniti 7. Una lezione valida ancora oggi.
Parve che si facesse strada l’idea secondo cui il Segretario Generale dell’organizzazione dovesse essere un europeo8, sicché, dopo un inglese, un belga e un olandese, la nomina di un italiano sembrò godere di buone chances.
Il governo, a Roma, sperava molto nell’elezione di un italiano «sia per l’importanza del posto in sé[…], sia perché in tal modo sarebbe apparso evidente che il nostro Paese era definitivamente uscito dalla fase di minorità internazionale seguita alla sconfitta, e che quindi poteva dare un suo esponente alla massima carica di una alleanza in cui i ruoli principali, sia sul piano politico che su quello militare, erano ricoperti dai vincitori di ieri»9.
La candidatura di Brosio Segretario Generale della NATO ebbe il sostegno dei francesi già tre anni prima, ma in quel caso la scelta cadde su Dirk Stikker; in ogni caso, le manovre per la successione all’olandese iniziarono già un paio d’anni dopo l’inizio del suo mandato, verso la fine dell’anno 1963. Oltre a Brosio c’erano altri candidati di notevole valore per Italia: Sergio Fenoaltea, che era l’Ambasciatore italiano a Washington, e Guido Colonna, che aveva sostituito Stikker durante le sue assenze per malattia.
Sebbene voci di stampa parlassero di un’opposizione a Brosio di inglesi e americani, perchè considerato troppo vicino alle posizioni di de Gaulle10, bisogna registrare come a Londra vi fosse qualche effettiva diffidenza nei confronti del liberale torinese, piu` per le questioni pregresse circa i trattati e le rivendicazioni territoriali italiane dopo il 1945, mentre negli Stati Uniti la figura di Brosio era tenuta ormai in grande considerazione, anche dal Presidente Kennedy in persona. 11
Certo, poco prima che Brosio accedesse alla carica, Raymond Aron aveva già parlato di grand débat per descrivere l’acceso dialogo fra Washington e Parigi sui temi dell’evoluzione dell’Alleanza Atlantica e delle forze nucleari12.
Brosio era convinto che le minacce più gravi che incombessero sulla NATO venissero dall’interno, piuttosto che dal confronto con l’URSS: da un lato, l’attitudine francese, con conseguenze potenzialmente distruttive nel medio e lungo periodo, dall’altro l’approccio muscolare americano alla détente. Scrisse nel suo diario: «L’Alleanza atlantica e` dilaniata da queste tendenze uguali e contrarie, ugualmente disgregatrici»13.
È ancora, per sostenere il valore della sua candidatura, scrisse al Rappresentante Permanente d’Italia presso il Consiglio Atlantico, Adolfo Alessandrini: «Io non ritengo affatto che inglesi o americani possano essere seriamente preoccupati di una mia candidatura. I miei sentimenti atlantici ed europei sono al di sopra di ogni dubbio e sono stati saggiati duramente in anni di missione a Londra e sia di missione a Washington. L’idea ch’io sia filo-gollista o infeudato alla politica del generale De Gaulle non può essere che l’idea di un male informato o di un male intenzionato»14.
In Italia, fu Saragat, Ministro degli Esteri dalla fine del 1963, uomo politico socialdemocratico e “atlantico” della prima ora, a sostenere attivamente il nome di Brosio per l’alto ufficio alla NATO15, dopo avergli negato l’appoggio per la nomina di Ambasciatore negli Stati Uniti a favore di Lombardo (tuttavia, Brosio fu sostenuto da Martino e partì` per Washington).
L’Ambasciatore aggiunse che avrebbe potuto avere come «avversari gli inglesi, per non parlare della perplessità di certi italiani che non vorrebbero all’alleanza atlantica un italiano in un posto d’impegno, né un italiano…troppo atlantico»16.
Brosio intrattenne una corposa corrispondenza con il Presidente della Repubblica Antonio Segni, per tenersi informato circa i risvolti di politica interna e sui più recenti sviluppi in fatto di preferenze dei vari alleati in seno alla NATO. Ma anche con gli uomini politici e del mondo finanziario più vicini alla causa atlantica, che avevano rapporti solidi con Londra e Washington.
«Dal punto di vista politico, tu sai che la mia lealtà e convinzione atlantica è, se possibile, pari alla tua. Non ho la minima preferenza per il regime gollista, […] intendo essere soltanto il candidato dell’Italia. Questa mia assoluta lealtà atlantica, che implica il logico riconoscimento del preminente peso e sforzo americano nell’alleanza, può essere garantita agli americani senza esitazione, e del resto gli americani la conoscono. I francesi potrebbero essere anche favorevoli alla candidatura di un funzionario, perché a loro può essere indifferente abbassare il livello del Segretario Generale e con esso l’importanza della NATO. Ma questa non é la opinione […] di quanti, come noi, intendono che la NATO mantenga il suo alto livello politico»17.
Ma in quel periodo, le vicende della designazione di Brosio mettevano in luce anche il suo carattere e la sia etica. Egli non mancò di esporre molte delle sue ragioni nel suo diario, sottolineando come fosse «il solo a non essere legato alla carriera, […] credo possa tenersene conto sia dal punto divista della autorità ed indipendenza che potrei avere nella NATO, sia dal punto di vista del riconoscimento morale che mi si potrebbe dare come conclusione di un onorevole servizio per lo Stato»18.
Qualche giorno più tardi, Segni rispondeva che aveva «fiducia, che le cose andranno bene, e ciò è anche nell’interesse del nostro Paese»19.
Giunse così` la sua nomina durante la seduta ministeriale del Consiglio Atlantico, riunito a all’Aja dal 12 al 14 maggio 1964. Rusk, Presidente di turno del Consiglio Atlantico, «preannunciò a Brosio la scelta che lo vedeva nuovo Segretario Generale, con una telefonata la sera del 12 maggio, mentre l’ufficialità della nomina sarebbe arrivata il giorno seguente»20.
Spadolini intitolò un suo articolo Come salvare la NATO, e illustrò la «necessità di superare i punti di frizione e di contrapposizione, purtroppo aggravati negli ultimi mesi, fra Parigi e Washington. […] Profonde riforme si impongono […]»21.
Si arrivò in questo modo alla nomina di un italiano in un momento storico in cui la stessa idea della NATO sembrava pericolosamente vacillare, a causa di tali forti dissidi interni tra le grandi potenze occidentali.
Nel crocevia dei messaggi della diplomazia tra Washington e Roma, tra Londra e Parigi, svanì` dall’elenco delle preoccupazioni, in specie quelle americane, soprattutto il nazionalismo antiamericano del PCI che, lo si ammetta o no, aveva un’influenza sulla politica estera italiana e l’avrebbe avuta ancora a lungo, almeno fino ai primi anni Ottanta, anche dall’opposizione parlamentare.
Sul piano geopolitico, in conclusione, la NATO fu dall’inizio logicamente complementare alla nascente Europa politica (vista con favore dagli americani sin dai Trattati di Roma), e servì` a collegare Europa e Stati Uniti in un consesso di nazioni libere, con una funzione anche politica, non solo militare.
Un’alleanza da impegnare nel containment, anche psicologico e culturale, contro un espansionismo sovietico che dai Paesi Baltici (ormai controllati da Mosca) fino alla Manciuria “restituita” alla Cina comunista, dalla Corea all’Indocina, da Budapest all’Egitto, da Berlino a Cuba, proiettava per la prima volta in termini mondiali questioni che fino a pochi decenni prima erano state risolte sul Reno o sulla Vistola, e che avevano avuto fino a quel momento il Mediterraneo come perno di potenza.
Servirono così` lunghi e speciali colloqui per la nomina di un italiano, in considerazione non solo della Seconda Guerra Mondiale e delle sue ferite laceranti, non del tutto rimarginate, ma anche della geopolitica, delle questioni energetiche, dei rapporti esistenti tra Roma e il Medio Oriente, il Nord Africa, l’Unione Sovietica, sotto gli occhi attenti di Londra e Parigi.
Il 13 maggio 1964, ricevuta comunicazione ufficiale della nomina, Brosio scrisse una lettera all’allora Presidente del Consiglio Moro, ringraziandolo dell’«intervento personale presso il governo britannico», certamente dettato unicamente dagli «interessi nazionali ed atlantici».
«A mia volta», proseguiva, «cercherò di affrontare il compito difficile con coscienza di atlantico e con cuore d’italiano»22.
Spadolini definì la sua una «vittoria del buon senso» descrivendo il torinese come «uno dei pochi “atlantici” che abbia porta aperta presso il Generale De Gaulle e che goda piena e intera la fiducia degli Stati Uniti, cioè di quella che rimane […] la nazione-guida del mondo libero e di tutto il sistema di sicurezza atlantico»23.
Marco Rota*
*Analista politica internazionale e consulente strategico
1 F. Bacchetti, Ritratto di Manlio Brosio, in “Affari Esteri”, n. 45, Roma 1980, p.107.
2 M. de Leonardis, Guerra Fredda e Interessi Nazionali. L’Italia nella Politica Internazionale del Secondo Dopoguerra, Soveria Mannelli 2014, p. 232.
3 F. Demi, Dalla neutralità all’atlantismo. La parabola diplomatica di Manlio Brosio, in «Nuova Storia Contemporanea», n. 2, Milano 2002, p. 87.
4 Foreign Relations of the United States, 1958–1960, Western Europe, Volume VII, Part 2.
5 D. Sauleo, Un italiano Segretario Generale della NATO: Manlio Brosio e la sopravvivenza dell’Alleanza, in “Quaderni di Scienze Politiche Università Cattolica del Sacro Cuore”, n. 13, Milano 2018.
6 M. Brosio, Diari di Parigi 1961-1964, a cura di U. Gentiloni Silveri, Bologna 2009, pp. 13-33.
7 A. M. Codevilla, Modern France, Open Court Publishing Company, LaSalle 1977.
8 Cfr. C.L. Sulzberger, The Search for Another Leader Starts, in “The New York Times”, 11 gennaio 1964.
9 F. Bacchetti, Ritratto di Manlio Brosio, pp. 203-204.
10 F. Stinchelli, Gli inglesi ci contendono la Segreteria della NATO, “Lo Specchio”, n. 47, 24 novembre 1963.
11 Colloqui personali dell’autore con A.M. Codevilla, 2019.
12 R. Aron, Le Grand Débat. Initiation à la stratégie atomique, Parigi 1963.
13 M. Brosio, Diari NATO, Bologna 2011, p. 286.
14 Brosio ad Alessandrini (lettera non inviata), 23 novembre 1963, Archivio Brosio (AB), scatola (sc.) 5, faldone (f.) 9 Rapporti dal 25 dicembre 1963 al 4 giugno 1964 (inv. 85/63).
15 Brosio scrisse a Pietro Nenni nel 1971, e riferendosi a Saragat, affermava: «gli ricordavo di dovere a lui la mia designazione alla NATO»; la lettera è conservata presso l’Archivio Nenni (Archivio Centrale di Stato). La citazione è presente anche in M. Brosio, Diari NATO, pp. 13-50.
16 E. Serra, Professione Ambasciatore d’Italia, Milano 1999, p. 55.
17 M. Brosio, Diari di Parigi, Bologna 2010, pp. 462-463.
18 E. Serra, Professione Ambasciatore d’Italia, p. 42.
19 Lettera di Segni a Brosio (conservata presso AB, sc. 5, f. 9 Rapporti dal 25 dicembre 1963 al 4 giugno 1964).
20 D. Sauleo, Un italiano Segretario Generale della NATO: Manlio Brosio e la sopravvivenza dell’Alleanza.
21 G. Spadolini, Come salvare la NATO, in “Il Resto del Carlino”, 15 maggio 1964.
22 E. Serra, Professione Ambasciatore, p. 55
23 G. Spadolini, Come salvare la NATO, p. 55.