Il numero 43 in Messico divenne nel 2014 uno slogan e una bandiera di protesta, dopo la strage in cui appunto 43 studenti della Escuela Normal Rural Raúl Isidro Burgos di Ayotzinapa il 26 settembre 2014 furono uccisi a Iguala. Già lo scorso agosto la Commissione per la Verità e l’Accesso alla Giustizia (comisionayotzinapa) voluta dal presidente Andrés Manuel López Obrador, dopo tre anni e mezzo di lavoro aveva parlato di “crimine di Stato”. Adesso sono saltate fuori e-mail (theguardian.com) da cui si evidenzia che già mesi prima di quell’evento era stato ripetutamente avvertito della presenza di bande criminali, ma aveva ignorato gli avvertimenti.
Il rapimento e la scomparsa degli studenti, avvenuto nella città di Iguala nello stato di Guerrero, è stato uno degli abusi dei diritti umani più gravi nella storia recente del Messico e rimane irrisolto, nonostante anni di proteste e un’incessante ricerca della giustizia dai genitori degli studenti. Negli otto mesi precedenti l’attacco agli studenti, i cittadini di Iguala e delle città circostanti avevano scritto almeno 10 e-mail al 27° battaglione di fanteria, denunciando la presenza di gruppi criminali e l’apparente collusione delle autorità locali.
Secondo le ricostruzioni i ragazzi erano in viaggio per Città del Messico a bordo di tre autobus che avevano prelevato a Iguala per una iniziativa di raccolta fondi. Il “sequestro degli autobus” era una iniziativa che gli studenti avevano svolto in passato, che può essere considerata certamente discutibile, ma che si era sempre conclusa con la restituzione. Stavolta, però, durante il viaggio furono intercettati dalla polizia locale che li attaccò brutalmente causando la morte di 6 persone. 25 studenti riportarono gravi ferite e 43 furono rapiti.
I dettagli non sono stati mai chiariti. Secondo i rapporti dei poliziotti, lo scopo dell’operazione era di raggiungere e fermare gli studenti che fuggivano a bordo degli autobus sequestrati. Secondo il sindacato degli studenti, l’attacco sarebbe stato perpetrato mentre gli autobus erano fermi e i ragazzi per strada. Durante questo attacco due studenti persero la vita, alcuni fuggirono nelle colline circostanti, e gli altri furono sequestrati dalla polizia.
Ci furono anche alcuni uomini armati non identificati che spararono contro un autobus che trasportava una squadra di calcio locale, e che era stato presumibilmente scambiato per uno degli autobus dei manifestanti, e contro un taxi. Furono uccisi un giovane calciatore di 15 anni, l’autista dell’autobus, e una donna che viaggiava all’interno del taxi. Le vittime arrivano a sei con Julio César Mondragòn, uno degli studenti che aveva provato a fuggire durante le sparatorie. Sul suo corpo vennero trovati evidenti segni di tortura: la pelle del volto era stata scorticata e i gli occhi cavati.
Dopo gli attacchi, i sopravvissuti cercarono i loro compagni nelle varie stazioni di polizia senza trovare nessuna traccia. Le indagini poi hanno accertato che dopo il rapimento i giovani furono trasportati dalla Polizia in una camionetta, dove 15 morirono di asfissia. I superstiti, nei pressi della discarica di Cocula, e lì consegnati ad alcuni esponenti di un noto gruppo criminale della zona, i Guerreros Unidos. Presumibilmente i sicari credevano che alcuni studenti appartenessero al gruppo Los Rojos, una banda rivale. Comunque, li uccisero. In seguito diedero fuoco ai corpi, mentre alcuni di loro erano ancora in vitam riempiendoli di diesel dalla bocca con imbuti. Fecero turni di guardia in modo da assicurarsi che il fuoco bruciasse per ore, alimentando le fiamme con gasolio, copertoni e altri oggetti pe rendere difficile l’identificazione dei cadaveri. I criminali asportarono poi i resti dei ragazzi, raccogliendoli in buste di plastica che furono gettate nel vicino fiume San Juan, a Cocula.
In seguito il procuratore generale, Murillo Karam, affermò in una conferenza stampa che nessuno degli studenti aveva legami con la criminalità organizzata. Sotto accusa finirono il sindaco di Iguala Jose Luis Abarca e sua moglie Maria de los Angeles Pineda Villa, che furono arrestati il 4 novembre 2014 dopo circa un mese di latitanza. Dopo la sparatoria gli studenti rapiti erano stati infatti tenuti in custodia dalla polizia di Iguala su loro ordine. Il sindaco infatti avrebbe dato l’ordine di attaccare gli studenti, per paura che volessero interrompere il comizio della moglie in programma la sera della strage. In tutto furono arrestate 74 persone, tra cui 36 poliziotti. Ma tuttora ci sono accuse che siano serviti come capri espiatori per i veri responsabili.
Queste mail (nsarchive.gwu.edu) fanno parte di oltre 4 milioni di e-mail e documenti fatti trapelare lo scorso settembre dal gruppo di hacker che si fa chiamare Guacamaya (twitter.com). Il governo non ha negato l’autenticità delle e-mail, anche se il presidente Andrés Manuel López Obrador ha recentemente sottolineato che le informazioni sono “illegali, perché le informazioni di qualsiasi agenzia governativa non possono essere estratte o violate”.
Maurizio Stefanini*
*Roma, 1961. Giornalista e saggista, moglie e due figli, specialista in America Latina