Non giocano e non vanno a scuola, vengono rapiti da scuola o dalle loro famiglie per entrare a far parte di milizie senza scrupoli dove sono costretti a combattere con ogni mezzo possibile. I minori trasformati in soldati sono sottoposti infatti a violenze, uccisioni, torture, mutilazioni, costretti a partecipare a combattimenti, a sostenere ferite da armi da fuoco e stupri. Vengono somministrate loro droghe per eliminare dolore o paura, o finiscono per ammalarsi e morire sul campo.
La Repubblica Democratica del Congo è uno degli stati africani dove la pratica è maggiormente diffusa. Nel 2016 nella regione centrale del Kasai, è scoppiata una terribile guerra civile a causa della quale centinaia di bambini e ragazzi sono esposti a orrende violenze. Secondo un rapporto dell’UNICEF pubblicato nel maggio 2018, lì il 60% dei membri dei gruppi armati sono bambini, reclutati con la forza o ingannati per combattere nel conflitto da gruppi armati come il Kamuen Nsapu.
Questa indagine ancora inedita del reporter italiano Gabriele Orlini (www.gabrieleorlini.com) fa luce su quanto accade:
Repubblica Democratica del Congo: già possedimento personale del re Leopoldo II del Belgio fino al 1908, già ironicamente denominato Stato Libero del Congo, trova la sua indipendenza nel 1960 grazie alla politica illuminata e decisa di Patrice Lumunba che obbligò re Baldovino I alla “concessione” di stato indipendente a seguito del congresso di Bruxelles nel 1959.
Con una popolazione di oltre cento milioni di abitanti, la Repubblica Democratica del Congo – conosciuta anche come Congo/Kinshasa per distinguerla dalla Rep. del Congo francese, Congo/Brashville – è il secondo paese più grande del continente africano, ma il più ricco in termini di risorse naturali, acqua, minerali preziosi. Storicamente caratterizzato da grossi conflitti di varia complessità, tirannie – basti ricordare Mobutu Sese Seko che per 32 anni ha comandato il paese fino alla sua morte – e guerre tra eserciti irregolari e forze di governo, il paese deve la sua natura instabile soprattutto alla pesante colonizzazione belga che ne ha plasmato la storia, il territorio, e le sue relazioni sociali.
In aggiunta a questi fattori fondamentali, non vanno dimenticate le immense risorse naturali presenti nel paese che alimentano una lotta intestina da parte di gruppi armati indipendenti per il controllo forzato delle miniere d’oro, di coltan e diamanti.
Le guerre tutt’ora presenti nel Paese che, nel tempo, hanno causato milioni di morti, devono principalmente la loro natura a tensioni etniche, alla lotta per le risorse naturali, alla corruzione e, non ultima, all’ingerenza straniera.
Come conseguenza di uno dei più devastanti conflitti armati che ha dilaniato il Paese per decenni, oltre a uno stato sociale instabile e a un territorio mai sviluppato internamente, si aggiunge uno dei fenomeni più crudi e violenti per il genere umano: i bambini-soldato.
Spesso separati dalle loro famiglie, rapiti o costretti a unirsi ai gruppi armati – mentre altri ci entrano volontariamente a causa della povertà, della mancanza di istruzione o per la protezione – gli “small soldiers” sono costretti a vivere in condizioni disumane e sono sottoposti ad addestramenti brutali. Un rapporto dell’UNICEF stima che siano più 30mila i bambini-soldato in Congo (RDC) con una maggiore concentrazione nelle zone orientali del paese, soprattutto nella provincia di Nord e Sud Kivu, al confine con il Rwanda e l’Uganda, causa la grande concentrazione di milizie armate.
Molte organizzazioni internazionali stanno lavorando per proteggere i bambini soldato in Congo e per riunirli con le loro famiglie, fornire loro assistenza psicologica, e facilitare la loro reintegrazione nella società. Tuttavia, la situazione rimane critica e rappresenta, di fatto, una violazione dei diritti umani fondamentali.
Testo di Barbara Silbe e Gabriele Orlini
Foto di Gabriele Orlini
www.gabrieleorlini.com