In passato uno dei due produttori tradizionali di coca assieme al Perù, dopo che la Colombia è diventata a sua volta Paese di produzione la Bolivia è passata al terzo posto. I dati dell’Office of National Drug Control Policy Usa, che hanno stimato per il 2021 una produzione mondiale di 2074 tonnellate, registrano come nel decennio precedente la produzione colombiana si è moltiplicata di oltre 3,5 volte, passando da circa 273 tonnellate nel 2011 a 972 nel 2021, e la produzione peruviana è raddoppiata nello stesso periodo, in Bolivia è cresciuta di meno, anche se si parla comunque di un incremento del 49%. È stato nel 2015 che la Colombia ha superato il Perù in termini di volume di produzione. Nel 2017 e nel 2018, la cocaina prodotta dalla Colombia era equivalente a più di quella del Perù e della Bolivia messe insieme. Da allora, il Perù ha raggiunto un picco storico nella produzione di questa droga nel 2020, con 814 tonnellate, accorciando la distanza con il suo vicino a nord, che sfiorava le 1.000 tonnellate. Nel 2021 si è registrato un leggero rallentamento della produzione rispetto al primo anno di pandemia, sia in Colombia (-2,2%) che in Perù (-3,6%), anche se la Bolivia ha continuato il graduale aumento (1,6%) (es.statista.com).
Questa situazione va confrontata col fatto che in Bolivia dal 22 gennaio 2006 è al governo un partito fondato da un leader dei sindacalisti di coca, con la sola parentesi del periodo compreso tra il 10 novembre 2019 e l’ novembre 2020. Da ricordare che la zona di produzione tradizionale della coca in Bolivia erano le Yungas: ecoregione a est delle Ande Centrali, compresa tra i 300-600 e i 3000-3800 metri. Ma il sindacato dei cocaleros sorse tra ex-minatori con forte traduzione di sindacalizzazione che dopo la chiusura delle miniere di stagno, negli anni ’80, si trasformarono in contadini nel Chapare, provincia della Bolivia centrale, trovando nella coca la loro principale fonte di reddito. Era una produzione che però andava quasi tutta a fini illegali, da cui campagna di sradicamento condotte dai governi su pressione Usa, e una contrapposta resistenza da cui è nato quel Movimento al Socialismo (Mas) che con Evo Morales arrivò al potere. Saldando alla lotta dei cocaleros anche altre rivendicazioni, e unendosi alla “spinta a sinistra” dell’America Latina di quegli anni: nella sua variante più radicale alla Chávez, piuttosto che più moderata alla Lula.
La bandiera storica di questo movimento è stata nel distinguere tra coca e cocaina, e anche nel chiedere la fine delle normative internazionali che considerano la coca una droga illecita: una domanda (pagina12.com.ar) che è stata reiterata anche di recente (elpais.com). In questo momento però il Mas è diviso in una durissima faida tra l’ala di Evo Morales e l’ala dell’attuale presidente e suo ex-ministro dell’Economia Luis Arce (infobae.com), con un ministro che è appena finito sotto ordine di arresto per corruzione (infobae.com). E scambi di furibonde accuse in cui le due ali si rinfacciano di collusione con i narcos della cocaina. È insomma probabile che l’organizzazione sindacale e politica dei produttori di coca e la politica governativa per accreditare usi della coca diversi dalla trasformazione dalla coca in cocaina abbiano tenuto la situazione più sotto controllo, rispetto a imperi della coca clandestina come Perù e Bolivia. In particolare, la legge consente in Bolivia la coltivazione legale di coca in 22.000 ettari: per la masticazione, una pratica radicata nella tradizione, e anche per infusi e uso medicinale. Più di 50.000 famiglie si dedicano alla semina. L’economia della coca genera 400 milioni di dollari all’anno, l’equivalente dell’1,5% del prodotto interno lordo della Bolivia, secondo l’Unodc. Ma adesso il quadro sembra stare chiaramente scappando di mano, e nel 2021 sono stati registrati almeno 30.500 ettari. Tra l’altro, nello scontro tra arcisti e moralisti si è inserito quello tra i produttori di Yungas e Chapare.
Il 31 marzo, in particolare, in Paraguay e Brasile (infobae.com) sono stati catturati membri di un’organizzazione internazionale che ha portato in Europa 17 tonnellate di cocaina dalla Bolivia e dalla Colombia per un valore di 700 milioni di dollari. Si parla per la Bolivia di 855 piste clandestine e 31 scuole di pilotaggio (infobae.com), oltre a tutti i parchi nazionali occupati da coltivatori di coca e fabbriche di cocaina, mentre il governo si rifiuta di attivare i 13 radar acquistati nel 2017. Il governo nega che in Bolivia operino cartelli stranieri, ma il quotidiano O Estado de Sao Paulo ha riferito che il cartello brasiliano Primer Comando da Capital (Pcc) non solo opera in Bolivia, ma ha anche piantagioni di coca e fabbriche in Bolivia per produrre la droga che deve essere inviato in Europa in cooperazione con la ‘Ndrangheta. Lo stesso Pcc per il controllo del traffico di cocaina in Bolivia si scontra col rivale cartello brasiliano Comando Vermelho (Cv), e tra gennaio e settembre del 2022 almeno 29 persone sono state assassinate in Bolivia in regolamenti di conti tra narcos. Sempre tra gennaio e settembre erano state sequestrate in Bolivia 14,5 tonnellate di cocaina, il volume più importante dal 2016.
Secondo InSight Crime (es.insightcrime.org), l’economia della foglia di coca in Bolivia è caratterizzata da mercati formali, informali e illegali, le cui destinazioni principali sono il consumo tradizionale (pijcheo) e il traffico di droga. Negli ultimi anni si è registrato un aumento delle forme illegali di produzione, commercio e consumo di coca (per il traffico di droga) e un allentamento dei controlli statali e sociali sulla coltivazione della coca che mettono in dubbio la natura della politica “la coca non è cocaina”. In conseguenza di ciò, la tendenza alla sovrapproduzione di coca oltre i limiti fissati dalla legge e l’aumento del contrabbando di coca peruviana hanno reso il Paese un luogo dove abbonda la materia prima per la produzione di cocaina. Questo è un incentivo per il traffico di droga, dove, insieme ad altri fattori, ha aiutato il paese a diventare un laboratorio di produzione di cocaina e il principale fornitore di questa droga nel cono meridionale dell’America Latina. Se stando ai dati ufficiali la produzione totale di coca nel paese ammonta a 52.000 tonnellate all’anno, la vendita di coca nei mercati primari ammonta a sole 19.000 tonnellate. Il resto sfugge, e in particolare nel Chapare soli il 10% della foglia di coca raccolta passa attraverso il mercato legale.
LA Bolivia è anche passata dall’essere un paese che produce materie prime come la coca e la pasta di base, all’essere un esportatore di cloridrato di cocaina, come dimostra la scoperta sempre più frequente di fabbriche e laboratori clandestini in regioni remote. Ciò ha permesso di diversificare le rotte oltre quelle tradizionali verso Cile e Argentina, oltre che verso Brasile e Paraguay, dove sono aumentati i sequestri di cocaina boliviana. Quest’ultimo è un percorso che si è consolidato negli ultimi anni in quanto offre maggiori opportunità grazie alla diversità dei suoi percorsi terrestri, aerei e fluviali, come il corso d’acqua Paraná-Paraguay. Alcuni recenti studi accademici stimano che il traffico di droga in Bolivia si sposti intorno ai 1.500-2.000 milioni di dollari all’anno. Inoltre, in Bolivia stanno facendo la loro comparsa anche le droghe sintetiche (apnews.com). E cresce il ruolo di narcos boliviani in Africa e Asia (eldeber.com.bo).
Maurizio Stefanini*
*Roma, 1961. Giornalista e saggista, moglie e due figli, specialista in America Latina