Storicamente, i Balcani occidentali sono stati un crocevia estremamente ricco di culture, nazionalità e religioni diverse, e quindi una vera potenziale fonte di prosperità, stabilità e pace per tutta l’Europa.
Parlare di questa regione significa affrontare una serie di sfide e opportunità. L’allargamento dell’Unione Europea (UE) rientra sicuramente nella lista delle opportunità. Il Commissario europeo per l’Allargamento e la Politica di Vicinato, Oliver Varhelyi, ha dichiarato al “Forum UE incontra i Balcani” lo scorso 16 maggio a Sofia che negli ultimi mesi la “Politica di allargamento ha preso sempre più slancio. I Balcani occidentali sono una priorità strategica per l’UE. Dobbiamo accelerare il loro processo di adesione”.
Come è stato per l’intero blocco di tutti gli altri Stati dell’Europa orientale, le cui opinioni pubbliche sognavano da anni la democrazia, un’ulteriore e più profonda integrazione dell’UE con il resto dei Balcani porterà enormi benefici in termini di stabilità politica, sviluppo economico e sicurezza geopolitica.
La prova di una cooperazione così positiva all’interno della famiglia europea esiste già: con la sfortunata eccezione del Kosovo, a causa della definizione ancora irrisolta dei rapporti tra Pristina e Belgrado, tutti i paesi dei Balcani occidentali – Albania, Bosnia-Erzegovina, Montenegro, Macedonia del Nord e Serbia – sono membri a pieno titolo di due istituzioni europee chiave create per la protezione e la promozione dei diritti umani, dei valori democratici, dello stato di diritto e della sicurezza: il Consiglio d’Europa e l’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa. La strada da percorrere dunque non può che essere la loro rapida integrazione nell’UE.
Va da sé che i Balcani occidentali rivestono un’importanza strategica sia per gli interessi nazionali italiani che per l’UE. Lo scorso 24 gennaio il Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, nel suo intervento al convegno tenutosi a Trieste “Crescita e integrazione dei Balcani occidentali” ha affermato: “In quanto Paese vicino, l’Italia conosce bene l’importanza cruciale che quest’area ha per il futuro dell’intera Europa. Sappiamo per esperienza che tutto ciò che accade al di là dell’Adriatico ha un impatto immediato su di noi”.
E il Presidente Meloni non poteva essere più chiaro quando ha aggiunto: “L’obiettivo di questo governo è portare ‘più Italia nei Balcani’ (…) Ce lo chiedono tutti gli amici della regione. Le nostre aziende sono già protagoniste sul territorio, ma occorre rinnovare questa presenza e investire in settori strategici. Penso non solo alle infrastrutture, alle reti energetiche, ma anche allo sviluppo delle piccole e medie imprese per le quali il modello italiano è in grado di offrire un’esperienza assolutamente all’avanguardia”.
Queste aspettative sono esattamente le stesse che abbiamo raccolto da molti rappresentanti ufficiali, ministri, parlamentari, ambasciatori e imprenditori dei Balcani occidentali incontrati dalla Commissione per le Politiche UE del Senato italiano.
Il quadro delle relazioni dell’UE con i Balcani occidentali è stato fissato lo scorso gennaio con una risoluzione del Parlamento europeo, adottata a stragrande maggioranza. In essa vi si constata come i Balcani occidentali siano profondamente colpiti dalle conseguenze della guerra in Ucraina; conseguenze che hanno modificato in modo significativo il quadro generale della Politica Estera e di Sicurezza Comune dell’UE (PESC).
I deputati europei hanno sottolineato che i Balcani occidentali e il partenariato orientale “hanno bisogno di una risoluzione pacifica dei conflitti, di una maggiore stabilità e sicurezza e di maggiore cooperazione reciproca”. Hanno sottolineato “l’importanza del pieno allineamento dei Paesi dei Balcani occidentali alla politica estera e di sicurezza dell’UE, in particolare alla politica di sanzioni contro i Paesi terzi”.
Per quanto riguarda la Serbia, il Parlamento europeo ha ribadito che “ulteriori capitoli negoziali dovrebbero essere aperti solo quando la Serbia rafforzerà il suo impegno per le riforme nei settori della democrazia e dello Stato di diritto e dimostrerà il pieno allineamento con la PESC” e ha ricordato che la Serbia, “in qualità di Paese che aspira all’integrazione europea, deve aderire ai valori e ai diritti comuni dell’UE”.
Sul Kosovo, il Parlamento europeo ha ritenuto che i cinque Stati membri (Spagna, Slovacchia, Cipro, Romania, Grecia) che ancora non riconoscono l’indipendenza del Kosovo debbano invece farlo in virtù “della pressante urgenza che il dialogo tra Pristina e Belgrado, guidato dall’UE, sia intensificato in vista della normalizzazione delle relazioni bilaterali sulla base del reciproco riconoscimento”.
Occorre compiere ogni sforzo per creare le condizioni per il progresso verso l’adesione. Sono in corso colloqui di adesione con Montenegro e Serbia. Il Consiglio ha deciso di aprire i negoziati con la Macedonia del Nord e l’Albania nel marzo 2020. La Bosnia-Erzegovina e il Kosovo sono candidati e il governo e il parlamento italiani stanno premendo per accelerare il processo di adesione.
Ci sono molte ragioni per questo. L’interscambio tra l’Italia e l’area dei Balcani occidentali nella prima metà del 2022 è stato pari a 16,2 miliardi di euro, un incremento molto significativo (+60% rispetto ai 10,8 miliardi di euro dello stesso periodo del 2021).
Una menzione speciale va fatta per l’Albania. In base ai dati ISTAT, nei primi 11 mesi del 2022 l’interscambio bilaterale ha toccato 3,1 miliardi di euro (+19,5% rispetto allo stesso periodo del 2021), con esportazioni pari a 1,59 miliardi (+10,8%) e importazioni pari a 1,47 miliardi (+30,6%). Nello stesso arco temporale, l’Italia si è confermata primo partner commerciale dell’Albania, essendo sia il maggior fornitore (con una quota del 22%) che acquirente (43,9%).
L’Albania è un modello molto interessante anche per quanto riguarda il processo di adesione: i sondaggi mostrano che una stragrande maggioranza di Albanesi vuole che il Paese divenga il 28° Stato membro dell’UE. I leader dei partiti politici albanesi non si limitano alle parole, ma lavorano attivamente in quella direzione.
Per facilitare il processo di adesione e favorire l’unità e la coesione nazionale, infatti, il Parlamento albanese ha affidato la presidenza della Commissione parlamentare per l’integrazione europea a un membro dell’opposizione. Questa decisione giova al rafforzamento della volontà politica di procedere speditamente nel processo di integrazione; tanto più in presenza di una clausola, inserita negli ultimi anni, che prevede che ogni capitolo negoziale già chiuso possa essere riaperto qualora uno Stato membro lo richieda.
È evidente che esistono molte valide ragioni perché l’Italia accolga presto l’Albania nella famiglia dell’UE come membro a pieno titolo. Queste ragioni attengono alla sua storia, alla sua necessità di avere partner vicini governati da valori e libertà democratiche, all’interesse comune di promuovere la sicurezza e la stabilità regionale.
In tutto questo, anche la sicurezza energetica è una preoccupazione importante. Ecco perché l’importanza del “Southern Gas Corridor” (Corridoio Meridionale del Gas) non sarà mai sottolineata abbastanza.
La Commissione Europea, il Parlamento Europeo e il Consiglio Europeo hanno riconosciuto al Trans-Adriatic Pipeline (TAP) che collega l’Italia con l’Albania lo status di “Progetto di Interesse Comune” per il ruolo significativo che svolge nell’infrastruttura energetica transeuropea. Il TAP è uno dei 12 “corridoi energetici” considerati altamente prioritari dall’UE.
Questi progetti intendono contribuire all’integrazione dei mercati energetici degli Stati membri dell’UE e alla diversificazione delle fonti energetiche. Lo scorso febbraio, inoltre, la Croazia ha firmato un accordo per una futura estensione del gasdotto a Montenegro, Bosnia e Croazia, per la cooperazione con il gasdotto Ionian Adriatic Gas Pipeline (IAP) al fine di migliorare l’approvvigionamento energetico e la sicurezza nell’Europa sud-orientale.
In una prospettiva più ampia, l’adesione all’UE rimane un potente incentivo per portare avanti le riforme nei Balcani occidentali. Le riforme sono fondamentali per migliorare la governance politica ed economica: attraverso l’attuazione dello stato di diritto, il rispetto delle libertà fondamentali e dei diritti umani, il pluralismo politico, un sistema giudiziario affidabile, l’impegno nella lotta alla corruzione e alla criminalità organizzata.
Tutti i Paesi dei Balcani occidentali fanno parte degli Accordi di Stabilizzazione e Associazione con l’UE per l’apertura del commercio e l’allineamento della regione agli standard UE. Complessivamente, assieme al processo di Berlino, tali accordi riguardano circa 18 milioni di cittadini balcanici, ai quali possiamo aggiungere oltre 50 milioni di ucraini, moldavi e georgiani che possono e devono diventare nuovi cittadini dell’UE. Ciò significa un nuovo paradigma per tutte le società civili europee e, in particolare, per le loro identità, culture, progresso e persino sicurezza.
In tema di sicurezza, un secondo punto di grande importanza è quello sulle influenze e interferenze straniere. Una parte significativa del comunicato del G-7 di Hiroshima è concentrato sulla “coercizione economica” da parte della Cina. Il G-7 preme affinché vengano messe in atto misure tempestive ed efficaci per neutralizzare le ritorsioni economiche di Pechino ogni qualvolta un altro Paese compie qualcosa che la Cina non condivide.
Tali misure potrebbero includere una proposta molto opportuna di Jianli Yang, dissidente cinese, attivista dei diritti umani in esilio e membro onorario del Comitato Globale per lo Stato di Diritto – Marco Pannella.
In un suo recente articolo, ha scritto: “Sebbene la Cina abbia usato raramente la coercizione militare durante il periodo successivo alla Guerra Fredda, è diventata sempre più abile nell’usare la coercizione non militare, compreso il potere diplomatico ed economico”.
È successo contro Australia, Norvegia, Lituania, Repubblica Ceca ed altri Paesi occidentali. Ecco perché Yang propone una “NATO economica basata sui valori (…) che garantisca la sicurezza economica di tutti gli Stati membri attraverso un’azione collettiva. Sicurezza economica collettiva attraverso misure come l’assorbimento di beni e servizi lasciati in un limbo da sanzioni finanziarie o dazi imposti dalla Cina o da qualsiasi altro regime autocratico”.
Non sorprende che Paesi come Russia, Cina e, in misura diversa, Turchia vogliano esercitare la loro influenza in una regione in cui i loro interessi hanno già fatto breccia in modo significativo. Un’influenza che può essere sicuramente considerata dannosa per la libertà e la stabilità in molte istituzioni democratiche e che rappresenta una minaccia diretta alla sicurezza e alla pace dell’intera penisola balcanica, e di conseguenza dell’intera UE.
I Balcani occidentali hanno un promettente potenziale economico. Secondo molti analisti, la loro adesione comporterebbe una crescita dell’1% e un aumento dell’occupazione reale di circa 200.000 persone. La Cina ha lanciato la Belt and Road Initiative anche per cogliere queste opportunità ma troppo spesso a spese proprio dei Paesi beneficiari. Secondo il Balkan Investigative Reporting Network (BIRN), la Cina ha investito 32 miliardi di euro nella regione dal 2009 al 2021. Nella sola Serbia, gli investimenti cinesi hanno raggiunto i 10,3 miliardi di euro.
L’UE rimane di gran lunga il principale partner economico, con il 70% del totale degli investimenti esteri diretti e l’81% delle esportazioni. La Cina ha cercato di presentarsi come un investitore vantaggioso, il che è completamente falso. Pechino chiude un occhio su corruzione e violazioni delle leggi sul lavoro. Per convincere i governi stranieri, “investimenti” e prestiti cinesi sono spesso negoziati in segreto, ben lontani da qualsiasi supervisione o controllo da parte di istituzioni finanziarie multilaterali.
La Belt and Road Initiative è il principale strumento che consente la presenza economica della Cina nella regione balcanica. Prestiti e investimenti migliorano la posizione della Cina, ma creano dipendenze, e “trappole del debito”. Secondo una ricerca condotta già nel giugno 2022 dal Servizio Studi del Parlamento europeo, “un numero crescente di Paesi balcanici percepisce ormai i limiti della presenza cinese e si dice preoccupato per gli appalti pubblici, la tutela dell’ambiente, le violazioni dei diritti umani e la promozione del modello autoritario, che limitano la cooperazione e influiscono sulle prospettive di adesione all’UE.”
In conclusione, non si può minimizzare il fatto che, come scrive Timothy Garton Ash su Foreign Affairs di questo mese, l’allargamento dell’UE si è bloccato, non solo a causa della Russia, ma anche a causa della “stanchezza da allargamento”. Dopo l’adesione dei Paesi dell’Europa centrale e orientale nel 2004 e 2007, c’è stata quella della Croazia nel 2013. La Macedonia del Nord attende dal 2005, il Montenegro dal 2010, la Serbia dal 2012, l’Albania dal 2014.
Per Garton Ash, l’approccio dell’UE ai Balcani occidentali negli ultimi due decenni ricorda la vignetta apparsa sul New Yorker dove un uomo d’affari al telefono dice ad un venditore sgradito: “Che ne dice di mai? Mai va bene per lei?”
Questo non è più valido. Sebbene il rischio di un “processo senza fine” sia emerso in varie forme, il tragico 24 febbraio 2022 è stato uno spartiacque che ha mutato il percorso di adesione dei Balcani occidentali e non solo. È indubbio che oggi esso sia una massima priorità europea da non fallire: per la sicurezza, la crescita economica l’approvvigionamento energetico e, soprattutto, per i valori liberaldemocratici di tutti gli Stati membri dell’UE.
In tal senso, nell’agosto 2022, il Cancelliere tedesco Olaf Scholz si era nuovamente espresso a favore dell’allargamento dell’UE ai Balcani occidentali, prefigurando un’ampia espansione verso est che comprenda i Balcani occidentali, l’Ucraina, la Moldavia e la Georgia. Scholz ha affermato che i prossimi allargamenti richiederanno un approfondimento dell’Unione in senso politico. Perciò il Cancelliere sostiene il voto a maggioranza qualificata. Qualcosa di molto più vicino al nostro orizzonte di quanto non lo sia mai stato.
“Diamo forma ai nostri edifici e poi i nostri edifici danno forma a noi”, disse Winston Churchill nel 1943 durante un dibattito sulla creazione di un comitato per ricostruire la Camera dei Comuni dopo i bombardamenti su Londra. Oggi non stiamo costruendo “solo” un edificio, ma il futuro del continente europeo e dunque l’ordine internazionale per le prossime generazioni.
Sen. Giulio Terzi
Matteo Angioli