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America Latina

Reclutate con stupri e violenze dai guerrieri comunisti in Colombia

Andrea Merlo Pubblicato 25 Maggio 2023
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Non c’è pace che duri se non c’è giustizia, e non c’è giustizia senza la verità. Ciò che rende menzogna dall’inizio la pace tra la Repubblica Colombiana e le sanguinarie FARC è la voglia di marginalizzare e non raccontare alcune delle pagine più dolorose della storia di un conflitto che in realtà resiste ancora adesso da almeno sessant’anni.

Tra queste pagine, non raccontate, è impossibile non includere quelle che compongono il lacerante e crudele capitolo sulla pratica delle violenze sessuali nei confronti di migliaia di giovani ragazze e bambine reclutate forzatamente dalla guerriglia comunista colombiana. Una realtà emersa tra mille difficoltà soltanto quando, prima dell’inizio dei negoziati di pace nel 2013 alcune ex guerrigliere, che avevano lasciato le armi e si erano consegnate alle autorità, cominciarono semplicemente a denunciare gli orribili e sistematici crimini sessuali di cui erano state vittime, e ad accusare dirigenti e capi delle Farc.

Quando iniziò il dialogo all’Avana, si intuì presto che proprio il capitolo della violenza sessuale non avrebbe trovato molto spazio tra i punti discussi al tavolo negoziale. Fu così che numerose donne reclutate a forza e vittime di una infinita catena di abusi e crimini di genere cominciarono a organizzarsi per gridare le loro storie di dolore ed esigere una qualche giustizia: da questo bisogno nacque la “Corporazione Rosa Blanca”, organizzazione il cui simbolo è appunto una rosa bianca, icona della purezza e dell’innocenza rubate e dilaniate dalla guerriglia comunista. Formalizzata a fine del 2017, e operante nell’alveo della Federazione Colombiana delle Vittime delle FARC – FEVCOL, le donne di Rosa Blanca, che oggi conta 1200 membri, lottano quotidianamente per denunciare i crimini più “dimenticati” commessi dalle FARC nei loro confronti, tra cui il reclutamento forzato, la violenza sessuale, la sterilizzazione e una lista infinita, incalcolabile di aborti obbligati. Una lotta, quella per la verità e la giustizia, tutt’altro che semplice, considerando quello che la Corporacion Rosa Blanca accusa essere l’ostruzionismo, o quantomeno la scarsissima disponibilità ad ascoltare, da parte delle più importanti istituzioni figlie degli accordi di pace. Poca o nulla, infatti, l’attenzione che le ex guerrigliere hanno ricevuto dal sistema di Giustizia Speciale per la Pace (JEP) e dalla Commissione della Verità.

L’unico organismo, oltre al Senato colombiano, ad aver dato voce al dolore delle donne di Rosa Blanca è stato il Centro Nazionale di Memoria Storica, che a luglio scorso ha deciso di pubblicare un volume – disponibile gratuitamente on-line – con 19 testimonianze di ragazze abusate sessualmente dalle FARC.

Testimonianze, queste come altre analoghe rese dalle vittime a media nazionali, che lasciano a bocca aperta: Vanessa, reclutata a 9 anni e costretta a 3 aborti e a violenze sessuali continue. Catalina, sottratta alla sua famiglia a 10 anni, violentata e costretta ad abortire 4 volte, e quasi giustiziata dalla guerriglia per ordine del suo comandante e stupratore, poi rocambolescamente salvatasi, assieme al suo bimbo (frutto della quinta gravidanza), dopo essersi consegnata alle autorità di polizia. Per non parlare di quelle che non possono raccontare nulla, come “la Leona”: rimasta incinta da adolescente dentro il gruppo sovversivo marxista, cercò di fuggire con il suo fidanzato guerrigliero; catturati entrambi e fucilati, compreso il feto in grembo di 7 mesi. Alla tragedia e al dolore, come in un macabro gioco della giustizia al contrario, si somma per queste donne la cosiddetta “rivittimizzazione”: coloro che con coraggio denunciano i crimini subiti, vivono sotto minaccia morte, obbligate a cambiare casa in continuazione.

Nell’agosto scorso, Fernando Ducuara Castilla, ex guerrigliero reclutato da minorenne nelle FARC che aveva raccontato al mondo la sua verità, è stato messo a tacere per sempre, con 9 colpi di pistola. Così anche se lo storico capo delle Farc, El Paisa è’ stato ucciso ed anche se formalmente una “pace” è’ stata siglata nulla in realtà è’ cambiato. “El Paisa sarà anche morto, ma continua ad uccidere”, e’ stato il commento di Rosa Blanca.

Ecco, che cosa può significare, nella cruda concretezza, una pace senza giustizia e senza verità: una pace senza pacificazione, per un gran numero di doppie vittime, vittime dirette della violenza prima, vittime poi indirette delle conseguenze di una pace fatta solo a parole.

Andrea Merlo

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Andrea Merlo 25 Maggio 2023
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da Andrea Merlo
Analista di policy scientifiche e tecnologiche, è impegnato nel campo della diplomazia
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