Il Global Slavery Index 2023 è il report realizzato da Walk Free, l’organizzazione per i diritti umani avente l’obiettivo di affrontare le cause alla radice della schiavitù moderna cercando di porre fine a tutte le sue forme e collaborando con organizzazioni internazionali, ONG, governi ed esperti nell’ottica di determinare un cambiamento nelle regioni in cui tale fenomeno è più concentrato.
Il rapporto fornisce una stima sul numero delle persone ridotte in schiavitù, sui fattori che rendono le persone più vulnerabili a questo fenomeno e sulle azioni intraprese dai governi in 160 paesi.
Prima di riportare alcuni dati contenuti nel documento che permettono di comprendere la vasta portata del problema, vale la pena sottolineare che con il termine “schiavitù moderna” si possono far rientrare una pluralità di pratiche, in primis il lavoro e il matrimonio forzato, oltre alla schiavitù per debiti, allo sfruttamento sessuale forzato per scopi commerciali, alla tratta di esseri umani e alla vendita e sfruttamento di bambini.
In linea con quanto riportato nel “Global Estimates of Modern Slavery – Forced Labour and Forced Marriage” dello scorso settembre, Walk Free stima che nel 2021 circa 50 milioni di persone si trovavano in una situazione di schiavitù, registrando un aumento di 10 milioni di persone dal 2016.
Tra i paesi in cui questa piaga sociale è più diffusa, vi sono Corea del Nord, Eritrea e Mauritania con un indice, per ogni mille abitanti, rispettivamente di 104.6, 90.3 e 32.0. Al contrario, gli stati che riportano la più bassa prevalenza sono Svizzera, Norvegia e Germania. È importante sottolineare che se anche la più alta prevalenza del lavoro forzato si trova nei paesi a basso reddito, è profondamente legata alla domanda dei paesi a reddito più elevato: i settori, infatti, in cui viene impiegata manodopera in condizioni di lavoro forzato sono principalmente quello dell’elettronica, abbigliamento, olio di palma e pannelli solari. Si stima che i paesi del G20, nel 2021, abbiano importato beni fabbricati a rischio schiavitù per un totale di 460 miliardi di dollari.
Tra i fattori che hanno esposto le persone a un maggiore rischio di sfruttamento, ci sono “i conflitti armati, il cambiamento climatico, gli attacchi alla democrazia in molti paesi, una repressione globale dei diritti e gli impatti economici e sociali della pandemia di COVID-19″ che hanno portato ad un aumento della povertà e delle migrazioni determinando un aumento significativo del numero di persone costrette a vivere in schiavitù.
Attraverso l’adozione degli obiettivi di sviluppo sostenibile (SDG) da raggiungere universalmente entro il 2030, la comunità internazionale si è impegnata, in base al target 8.7, ad adottare misure efficaci per sradicare il lavoro forzato e debellare le diverse forme della schiavitù contemporanea. Seppur la comunità internazionale si sia mobilitata in tale direzione, il rapporto sottolinea che nessun paese sta affrontando il problema in modo efficace. Soltanto Australia, Francia, Germania e Norvegia hanno adottato nuove moderne leggi in materia di contrasto alla schiavitù.
La Direttrice di Walk Free riporta «La schiavitù moderna permea ogni aspetto della nostra società. È intessuta attraverso i nostri vestiti, illumina i nostri dispositivi elettronici e condisce il nostro cibo.» È per questo motivo che, oggi, ciò di cui abbiamo più bisogno è la volontà politica degli stati di intervenire per prevenire e fermare lo sfruttamento nelle sue molteplici forme e assicurare a tutti una vita liberi.
Federica Donati