“Cartello dei Balcani” è stata chiamata una operazione della polizia croata per impulso della quale il 25 maggio Europol ha potuto annunciare lo smantellamento di una “banda criminale estremamente violenta dei Balcani occidentali”, coinvolta nel traffico di droga e armi su larga scala in Europa (rtbf.be). “Un totale di 37 sospetti sono stati arrestati durante le indagini, compreso il capobanda, un cittadino bosniaco considerato un obiettivo di alto profilo da Europol e che attualmente sta scontando una pena detentiva di quattro anni in Italia”. Questo capobanda è sospettato di aver orchestrato il traffico di droga e armi impartendo ordini ai suoi subordinati dalla sua prigione. Operazioni di polizia sono state condotte giovedì scorso contemporaneamente in Croazia, Slovenia, Bosnia, Paesi Bassi, Italia, Belgio e Germania per arrestare i membri della banda criminale. I poliziotti hanno inoltre sequestrato 148.000 euro in contanti, diciotto armi da fuoco di cui due mitragliatrici e 500 grammi di tritolo con innesco a distanza. Sequestrati anche 15 kg di cocaina, 11 kg di eroina, 3 kg di anfetamine, 7 kg di marijuana e 10 kg di cannabis.
Come ogni volta che viene però evocato da una operazione di polizia (insightcrime.org), gli analisti tornano a interrogarsi sul problema se si possa parlare davvero di un “Cartello dei Balcani” sul modello dei Cartelli colombiani e messicani, o anche delle mafie italiane (riskbulletins.globalinitiative.net). Ad esempio, a fine 2022 ci fu l’operazione Desert Light, che pure coordinata da Europol vide decine di sospetti arrestati negli Emirati Arabi Uniti, Francia, Spagna e Belgio tra l’8 e il 19 novembre. Il più importante fu Edin Gačanin, alias “Tito”, preso a Dubai, e ritenuto il capo di una rete di traffico di droga nota come “Clan Tito e Dino” e dalle diramazioni ampie: nato in Bosnia e cresciuto nei Paesi Bassi, si era appunto stabilito negli Emirati Arabi Uniti e muoveva droga fra America Latina e Balcani. La Dea nel 2019 lo aveva indicato come come parte di un “super cartello” gestito insieme al boss della droga irlandese Daniel Kinahan, al trafficante olandese-marocchino Ridouan Taghi e anche al camorrista italiano Raffaele Imperiale. Tutti e quattro erano stati fotografati appunto da agenti della Dea sotto copertura nel 2017 alla festa per il matrimonio di Daniel Kinahan nel lussuoso Burj Al Arab Hotel di Dubai. Diventato famoso quando due dipinti rubati nel 2002 ad Amsterdam dal museo Van Gogh furono recuperati a Napoli nel 2016 all’interno di una sua vecchia villa nascosti in una cavità muraria accanto alla cucina, Imperiale fu arrestato anche lui a Dubai il 4 agosto 2021 e poi condannato a 8 anni e 4 mesi per traffico di cocaina su larga scala. Opo che Taghi era stato arrestato pure a Dubai il 16 dicembre 2019, Gačanin è stato il terzo a finire dentro tra i quattro boss di una connessione che sarebbe arrivata a gestire fino a un terzo del traffico di cocaina in Europa. Resta latitante Kinahan, che sarebbe scappato da Dubai in Asia.
Tuttavia, secondo InSight Crime il cosiddetto super cartello probabilmente non era un’alleanza formale ma un esempio riuscito di “crowdsourcing”, con diversi attori criminali che mettevano insieme i loro soldi per acquistare cocaina all’ingrosso a un prezzo più basso. I membri avevano ciascuno i propri contatti nei paesi produttori e di transito di cocaina, consentendo loro di acquistare droghe a prezzi ridotti e venderle in Europa con un forte ricarico. Gačanin acquistava quantità all’ingrosso di cocaina da partner come l’ormai smantellato cartello colombiano Norte del Valle e produttori indipendenti peruviani. Imperiale a sua volta avrebbe lavorato con Camorra, ‘Ndrangheta, e gruppi colombiani come gli Urabeños, noti anche come Clan del Golfo o Forze di autodifesa gaitanista della Colombia (Autodefensas Gaitanistas de Colombia – Agc). Ridouan Taghi avrebbe inviato alcuni dei suoi più stretti alleati in Sud America per negoziare accordi di cocaina. Un suo importante luogotenente, Saïd Razzouki, è stato arrestato a Medellín, in Colombia, nel 2020 mentre presumibilmente operava sotto la protezione degli Urabeños. Altri alleati di Taghi sono stati arrestati in Suriname.
Anche l’irlandese Daniel Kinahan si è rivolto agli Urabeños dopo che un’altra rotta aperta dall’olandese-cileno Ricardo Riquelme è stata smantellata nel 2017 con l’arresto dello stesso Riquelme. Kinahan ha collaborato anche con il panamense Anthony Alfredo Martínez Meza, spedendo cocaina dal porto di Manzanillo di Panama alla Spagna. Martínez Meza era tra gli arrestati nella retata di Dubai a novembre. Si ritiene inoltre che i partner abbiano investito congiuntamente in mega-spedizioni, tra cui quella contenente quasi 18 tonnellate di cocaina sequestrata a Filadelfia in rotta verso i porti di Anversa e Rotterdam nel 2019.
In realtà, non esiste un Cartello dei Balcani nel senso di alleanza di organizzazioni criminali provenienti da Albania, Bosnia Erzegovina, Bulgaria, Croazia, Grecia, Kosovo, Montenegro, Macedonia del Nord, Romania e Serbia con una struttura gerarchica centralizzata, anche se esistono alcune mafie a livello locale. Esiste però nel senso che i criminali dell’ex Jugoslavia agiscono ancora in una sorta di “jugosfera” della criminalità: senza un vero controllo del territorio, ma con una spiccata capacità di cooperare più efficacemente attraverso le frontiere rispetto alle forze dell’ordine, anche se non mancano alcune rivalità feroci: ad esempio tra i clan Kavač e Škaljari del Montenegro o clan rivali in Albania. Ma ciò è valido anche per altre regioni: basti pensare alle guerre intermafiose in Italia, in Colombia o in Messico. I criminali dei Balcani sono anche efficaci nel lavorare con controparti al di fuori della regione, ad esempio collegandosi con fornitori di cocaina in America Latina o distributori nell’Europa occidentale.
I gruppi criminali dei Balcani sono poi diventati più organizzati e più violenti durante e dopo le guerre in Jugoslavia, non da ultimo a causa della loro esperienza di combattimento e dell’accesso alle armi. Altri godevano di un certo grado di protezione, nei sistemi di economia criminale sviluppatisi per eludere le sanzioni. Il mito del cartello balcanico crebbe poi con la notorietà del gruppo criminale guidato da Darko Šarić, cittadino serbo di origine montenegrina noto come “il re della cocaina”, che iniziò ad essere indagato dalla polizia italiana nel 2007, quando si vide che serbi e montenegrinistavano rilevando il mercato della cocaina dalla ‘Ndrangheta. Nell’ottobre 2009, più di due tonnellate di cocaina furono però sequestrate su uno yacht di lusso vicino a Montevideo, durante l’operazione Balkan Warrior. Al di là dell’arresto di un uruguayano e di un croato, è stata descritta come un’operazione che ha impedito la creazione di un cartello balcanico vero e proprio, in modo forse esagerato.
Tuttavia, ad esempio nel 2015 le autorità statunitensi hanno classificato Naser Kelmendi come uno dei principali signori della droga e leader di una famiglia criminale nei Balcani, con una rete di associati in tutta la regione (soprattutto in Kosovo, Bosnia-Erzegovina, Montenegro e Serbia) e nella parte occidentale Europa. L’organizzazione criminale di Kelmendi è stata accusata di traffico di droga e riciclaggio di denaro, ed è stata persino sanzionata dalla Casa Bianca ai sensi del Kingpin Act statunitense nel 2012. Nel 2018 è stato giudicato colpevole di narcotraffico, ma è stato successivamente rilasciato in attesa di un nuovo processo.
Dall’altra parte del mondo, nel 2015 la stampa australiana parlò del montenegrino Vaso Ulić come di un “nuovo Pablo Escobar” per il modo in cui aveva fatto dei porti australiano una destinazione del vasto traffico di droga da lui ammesso in tribunale nel 2019. E il titolo di “Pablo Escobar dei Balcani” è stato dato anche all’albanese Klement Balili, quando nel maggio 2016 la polizia greca ha arrestato 15 membri della sua rete criminale che contrabbandavano cannabis dall’Albania alla Grecia e all’Europa. Balili era allora direttore dei trasporti nel comune di Saranda. Fu licenziato e fu emesso un mandato per il suo arresto, infine eseguito nel gennaio 2019. In Spagna si stima che siano attivi almeno un centinaio di gruppi criminali balcanici.
Europol usa appunto spesso l’espressione “cartello balcanico”. InSight Crime suggerisce piuttosto una immagine di “tentacoli senza testa”.
Maurizio Stefanini*
*Roma, 1961. Giornalista e saggista, moglie e due figli, specialista in America Latina