“Voglio solo che qualcuno ascolti la mia voce. Soffro e non sono l’unica. La maggior parte delle ragazze della mia classe ha avuto pensieri suicidi. Soffriamo tutte di depressione e ansia. Non abbiamo speranza”.
Questa la drammatica confidenza di una ventenne afghana all’inviata della BBC Yogita Limaye che in un recente reportage ha documentato la sempre più difficile condizione delle donne da quando i talebani, nel 2021, sono tornati al potere nel Paese. La giovane donna, ora in cura da uno psicologo, ha tentato di togliersi la vita quattro mesi fa, dopo che lo Stato Islamico, nel dicembre 2022, aveva annunciato la sospensione dell’accesso alle università – pubbliche e private – per le studentesse.
I medici afghani parlano di decine di richieste di aiuto al giorno soprattutto da quando è in vigore il divieto agli studi. “La situazione è critica ma non siamo autorizzati a registrare o accedere alle statistiche sui suicidi. Posso affermare con certezza, però, che a malapena riesci a trovare qualcuno che non soffra di una malattia mentale”, afferma il dottor Shaan (il nome è di fantasia, come tutti quelli del reportage della BBC), uno psichiatra che lavora presso un ospedale pubblico. E anche la dottoressa Amal si dice estremamente preoccupata: “abbiamo una pandemia di pensieri suicidi in Afghanistan. La situazione è la peggiore di sempre e il mondo raramente ci pensa o ne parla. Quando leggi le notizie, leggi della crisi della fame, ma nessuno parla di salute mentale. È come se le persone venissero lentamente avvelenate. Giorno dopo giorno, stanno perdendo la speranza”.
Nella società profondamente patriarcale dell’Afghanistan, logorata da decenni di guerra, l’ONU stima che una persona su due – la maggior parte delle quali donne – soffrisse di disagio psicologico anche prima della presa del potere dei talebani nel 2021. Ma gli esperti hanno riferito alla BBC che ora le cose stanno ancora peggio a causa della repressione delle libertà delle donne e della crisi economica che attraversa il Paese. A maggio di quest’anno gli esperti dell’ONU hanno lanciato l’allarme sui “diffusi problemi di salute mentale e per i resoconti di escalation di suicidi tra donne e ragazze”.
E il regime talebano nega. E se molto spesso le famiglie non denunciano i gesti estremi delle loro figlie per paura dello stigma, rimangono le parole di chi ha accettato di raccontare le loro storie all’inviata della BBC.
Nadir è uno di loro. Racconta che sua figlia si è tolta la vita il primo giorno del nuovo trimestre scolastico, a marzo di quest’anno: “fino a quel giorno, aveva creduto che le scuole alla fine sarebbero state riaperte per le ragazze. Ne era sicura. Ma quando ciò non è accaduto, non ce l’ha fatta e si è tolta la vita. Amava la scuola. Era intelligente, premurosa e voleva studiare e servire il nostro Paese”.
“Stare a casa senza un’istruzione o un futuro mi fa sentire ridicola. Mi sento esausta e indifferente a tutto. È come se niente avesse più importanza”, racconta una ragazza che ha tentano di togliersi la vita. E con le lacrime che le rigano il viso dice di aver accettato di parlare perché “non può succedere niente di peggio di questo”.
Anche Meher, una giovane insegnante, racconta di aver tentato il suicidio due volte: “I talebani hanno chiuso le università per le donne, quindi ho perso il lavoro. Prima ero indipendente, riuscivo a mantenermi. Non sono più stata in grado di sostenere le spese e così sono stata costretta a sposarmi. Tutti i piani che avevo per il mio futuro sono andati in frantumi. Mi sentivo totalmente disorientata, senza obiettivi o speranze, ed è per questo che ho cercato di porre fine alla mia vita”.
Storie simili, di ragazze e giovani donne che hanno visto il loro futuro fermarsi bruscamente per mano del regime talebano. In un Paese dove, come dice l’ONU, vi è una situazione estrema di “discriminazione di genere istituzionalizzata che non ha eguali in nessuna parte del mondo”.
Claudia Ruggeri