Il secondo inverno della brutale guerra di aggressione all’Ucraina ha messo in luce più chiaramente l’interconnessione di Russia e Iran non solo per le forniture reciproche di sistemi d’arma, mentre la Cina conduce operazioni logistiche e azioni ibride con lo scopo di affaticare l’Europa sul fianco orientale.
Quella che possiamo chiamare logistica multimodale (anche energetica) iraniana è incentrata sull’INSTC (International North South Transport Corridor).
Questo accordo, siglato nel maggio 2022 dai fondatori Russia, Iran e India, oggi procede speditamente da parte iraniana mentre registra un passo più lento da parte russa e indiana, data la situazione creatasi con l’aggressione all’Ucraina e le sanzioni comminate dalla comunità internazionale al Cremlino.
L’INSTC è un modello di rete multimodale – nave, ferrovia, strada – a cui poi hanno aderito anche altri Stati (vi partecipa l’Ucraina stessa); esso fa da scheletro ad un progetto di integrazione multilaterale che mira non solo a collegare regioni lontane tra loro, ma anche a perseguire uno sviluppo intra- regionale di economie nazionali che hanno differenti politiche, strategie militari e materie prime.
All’ultimo G7 è emersa preoccupazione circa il progresso dell’INSTC a guida russa, con il porto strategico iraniano di Chabahar che avrà un ruolo centrale in termini dual use.
Prima del conflitto in Ucraina, si prevedeva che l’INSTC entro il 2030 sarebbe stato in grado di gestire fino a quasi 15-25 milioni di tonnellate di merci all’anno, il 70% di tutto il traffico di container tra l’Eurasia, la regione del Golfo Persico e l’Asia meridionale. In più, secondo un rapporto interno dell’INSTC, questo progetto sembrerebbe più economico (del 30%) e più veloce (circa il doppio) rispetto alla storica rotta del Canale di Suez.
Il recente accordo da 1,6 miliardi di dollari tra Iran e Russia per costruire la ferrovia Rasht-Astara lunga 162 km è un punto di svolta per questo accordo. Tecnicamente doveva coniugare gli sguardi a Oriente della Russia e dell’Iran, attraverso bilaterali già siglati, tuttavia è la Cina (che pure ufficialmente non vi partecipa) il vero convitato di pietra.
Rasht è vicino al Mar Caspio, mentre Astara è al confine con l’Azerbaigian: la loro connessione sarà parte integrante di un accordo Russia-Iran- Azerbaigian circa il trasporto ferroviario e merci, consolidando l’INSTC quale collegamento tra l’Asia meridionale e il Nord Europa.
L’INSTC avanza attraverso tre rotte fondamentali: quella occidentale che collega Russia-Azerbaigian-Iran-India; quella transcaspica che collega Russia-Iran-India; e quella orientale che collega Russia-Asia centrale-Iran- India.
In particolare, la rotta orientale presenta il già menzionato porto strategico di Chabahar (una zona cuscinetto a base etnica beluci), nel Sud-est dell’Iran, che è l’unica infrastruttura portuale iraniana con accesso diretto all’Oceano Indiano.
Il porto russo di Astrakhan, sul Mar Caspio, è un altro punto di collegamento cruciale.
La rotta orientale collega la Russia orientale e quella centrale, passando per Kazakistan e Turkmenistan, alla parte meridionale dell’Iran nonché all’India e alle terre arabe sul bordo meridionale del Golfo Persico. Moltissimi treni stanno già percorrendo la rotta terrestre dalla Russia all’India attraverso il Turkmenistan e l’Iran.
Il regime iraniano cerca di coinvolgere oltre alla Russia anche la Cina per sviluppare due porti strategici nella zona industriale di libero scambio di Chabahar: Shahid Beheshti e Shahid Zalantari.
L’India, sin dalla firma dell’INSTC, ha guardato a Chabahar come ad un elemento chiave della sua strategia per avversare la Cina ed i suoi porti collegati a costellazione nella BRI attraverso l’Oceano Indiano.
Chabahar è, oltretutto, in concorrenza con il porto pakistano di Gwadar, nel Mar Arabico, snodo strategico del corridoio economico denominato CPEC (China-Pakistan Economic Corridor) su cui Pechino sta investendo ingenti risorse.
Dal punto di vista di Teheran, sarebbe auspicabile il completamento della sua rete ferroviaria orientale, quasi 700 km di ferrovia da Chabahar a Zahedan quale parte dell’asse ferroviario Mashhad-Sharkhs che collega il Sud-est dell’Iran al Nord-est che confina con il Turkmenistan.
In parole povere, Chabahar renderà più breve, più economico e più veloce il transito dall’India all’Afghanistan, all’Asia centrale e alla Russia meridionale.
L’impasse dell’India nel portare avanti questo progetto, dovuta ad aspetti finaziari o forse addirittura strategici (l’India è alternativa alla Cina e il Pakistan è l’unico alleato militare vero della Cina) ha finito per insospettire Teheran, soprattutto a ben guardare i massicci investimenti cinesi proprio a Gwadar.
Quest’incertezza dell’India ha spinto ancora di più l’Iran tra le braccia della Cina, giacchè Chabahar potrebbe finire per essere inglobato nella BRI, pur restando nell’INSTC. Le due reti forse sono compatibili logisticamente, ma non lo sono da un punto di vista politico e geopolitico.
Tutto ciò mentre Mosca mantiene i suoi rapporti commerciali con Nuova Delhi (nonostante la guerra in Ucraina); l’India è nel BRICS pur essendo militarmente avversa alla Cina; quest’ultima manovra la Russia che a sua volta ha un’influenza enorme sull’Iran.
Alla fine dello scorso anno, un accordo tra ferrovie russe e compagnie nazionali di Kazakistan, Turkmenistan e Iran, ha consentito a Mosca di ottenere uno sconto del 20% per i container import-export che attraversano il confine russo-kazako.
Alla Russia interessa Chabahar perché operando a pieno regime questa infrastruttura dovrebbe ridurre del 20% i costi della logistica con l’India. Gli iraniani hanno compreso l’interesse di Mosca e hanno cominciato a promuovere la zona industriale di libero scambio di Chabahar proprio per attirare investimenti russi, che sono culminati nell’affare Rasht-Astara.
Ma la Cina che ruolo sta giocando? La BRI cinese sembrerebbe fare un gioco parallelo.
Pechino avversa l’INSTC perché intende mantenere la presa su Kazakistan, Turkmenistan, Iran e Oman, aree contese con l’India: il Kazakistan per i depositi di uranio ricercati instancabilmente dall’India per i suoi impianti nucleari, il Turkmenistan per il gas e per la pipeline TAPI, l’Iran perché consente all’India di eludere il passaggio pakistano e andare direttamente in Afghanistan tramite il già menzionato porto di Chabahar, infine l’Oman che tramite l’hotspot di Duqm aspira a far da nuova Gibuti in pectore al crocevia tra Africa orientale e Stretto di Hormuz.
Pechino sta investendo molto nella rotta di transito Est-ovest, il cosiddetto corridoio di mezzo.
Questo corridoio BRI collega lo Xinjiang a Kazakistan, Kirghizistan, Uzbekistan e Turkmenistan, e poi attraverso il Mar Caspio fino ad Azerbaigian, Georgia, Turchia e più avanti verso l’Europa orientale – per un totale di 7.000 km, con un viaggio medio di un cargo della durata di 15 giorni.
La Cina scommette su più corridoi da Est a Ovest per contrastare possibili nuove interruzioni delle catene di approvvigionamento, in tempo di pace o di guerra. Sul piano teorico, secondo i cinesi il transito Cina-Asia centrale verso l’Europa aggirando Russia e Iran è una delle scommesse migliori.
A causa dell’aggressione russa all’Ucraina, un corridoio terrestre della BRI per il momento è sospeso, quindi Pechino sta monitorando tutte le opzioni per meglio utilizzare lo Stretto di Malacca lungo il corridoio marittimo. Anche la Turchia svolge un ruolo su questo scacchiere.
La ferrovia Baku-Tbilisi-Kars, inaugurata nel 2018, è un elemento-chiave nel piano generale di Ankara per configurarsi come un hub strategico per il trasporto di container dalla Cina all’Europa. Già questo dovrebbe far riflettere.
Nel mentre, Pechino ha investito nella costruzione di una ferrovia da Kars a Edirne sul lato europeo del Bosforo, mentre i turchi hanno investito in un ammodernamento miliardario dei porti di Mersin e di Izmir.
Entro il 2034, Pechino si aspetta che questo corridoio diventi l’asse centrale di quella che descrive come la Via della Seta di Ferro. Questo, naturalmente, ha posto e pone molti interrogativi sul ruolo geopolitico di Ankara, su cui soprattutto gli Stati Uniti hanno smesso di puntare.
La concorrenza del cosiddetto Corridoio di Zangezur, che idealmente unisce l’Azerbaijan alla Turchia passando per l’Armenia, è un altro pezzo sulla scacchiera caucasica su cui UE e Gran Bretagna hanno iniziato a fare un certo affidamento sin dall’armistizio del 2020 in Nagorno-Karabakh. Londra ha in Baku un partner privilegiato e potrebbe “ispirare” le condizioni agli armeni per un trattato di pace e la rinuncia a qualsiasi influenza sul Karabakh.
Il Corridoio di Zangezur potrebbe essere al centro di un nuovo Grande Gioco, geopolitico e geoeconomico; un’infrastruttura che potrebbe collegare gli hub logistici dell’UE con la Transcaucasia e l’Asia centrale. Facciamo una simulazione.
Se si verificasse un cambio di regime a Teheran? Avremmo finalmente un Iran allineato all’Occidente e in grado anche di sviluppare progetti infrastrutturali in connessione con i grandi players economici occidentali. E se l’India scegliesse di dare priorità alla sua sicurezza (in funzione anti- cinese) mettendo in secondo piano gli attuali interessi commerciali e integrandosi maggiormente con il mondo libero?
Iniziative come il Corridoio di Zangezur e l’INSTC inizierebbero così ad assumere un connotato diverso, con un valore strategico elevatissimo.
Si aggiunga poi che, contrariamente alla BRI, che è sostenuta da massicce risorse statali legate al Partito Comunista Cinese attraverso istituzioni finanziarie specializzate, l’attuale INSTC non ha un piano finanziario solido e a lungo termine. Ma la situazione potrebbe cambiare.
Un INSTC potenziato offrirebbe all’India opportunità per colmare il divario tra domanda e offerta di energia e per accedere a mercati non sfruttati. Il commercio elettronico transfrontaliero (l’India come nuova “fabbrica del mondo” al posto della Cina) sarebbe un altro settore capace di attrarre il massimo vantaggio dal miglioramento dell’accesso a Internet tra i Paesi membri dell’INSTC e l’Asia centrale nel suo complesso.
Questi fattori evidenziano che l’intensità della concorrenza tra l’INSTC multi-stakeholder e la BRI cinese non potrà che crescere, tanto più che quest’ultima non intende perdere la presa che ha creato nell’ultimo decennio sull’Asia centrale.
Un INSTC potenziato, inoltre, aiuterebbe l’India a soddisfare il proprio fabbisogno energetico, soprattutto dopo che il meccanismo di pagamento in rupie abilitato dalla Reserve Bank of India nel commercio globale dovrebbe facilitare non solo il commercio con la Russia (una nuova Russia?) ma anche le importazioni di petrolio dall’Iran (un nuovo Iran?), con cui l’India aveva interrotto i commerci a causa delle sanzioni americane al regime teocratico iraniano.
La Cina si prenderà l’INSTC per connetterlo alla BRI o lo neutralizzerà, anche a costo di causare un danno strategico agli Stati che lo hanno voluto, che siano russi o iraniani.
Un Iran sempre più debole internamente, peraltro, è fiaccato da episodi terroristici dovuti a scontri coi talebani a Nord-est mentre le sommosse dei baluci parevano placarsi con la repressione delle proteste degli ultimi mesi, nello stesso momento in cui il fianco settentrionale è percorso da insidiosi moti revanscisti dettati dall’asse Azerbaijan-UE-UK (gas) e da quello Azerbaijan-Turchia (in funzione anti-armena).
Neanche il Turkmenistan è pacificato, logorato dall’Uzbekistan in posizione di appoggio a Pechino.
È notevole come la Cina in sede diplomatica abbia sostenuto la non- esistenza delle ex-repubbliche sovietiche al puro e semplice scopo di attirarle, sempre con trattati separati, né comprensivi né olistici, nella sua trappola del debito: lo mostrano in modo netto le mosse di Pechino per la ricostruzione dell’Afghanistan e la sua longa manus nella regione dell’Aksai Chin al confine con il Ladakh indiano (dove sono stati rinvenuti depositi di litio secondi solo a quelli argentini e pari a 410 bilioni di dollari).
Tutte queste microfratture vanno analizzate e ricomprese in un’ottica storica di analogia con gli Stati cuscinetto dell’Otto (Nepal) e del primo o secondo Novecento (Montenegro, Austria).
Si tratta del nuovo mondo teorizzato da Xi Jinping e dal Partito Comunista Cinese.
Per comprendere la partita a scacchi in corso, di cui l’aggressione russa all’Ucraina rappresenta solo una prima mossa, va ripreso quanto Zbigniew Brzezinski scrisse sul finire degli anni Novanta: «D’ora in poi, gli Stati Uniti potrebbero dover stabilire come far fronte a coalizioni regionali che cercano di spingere l’America fuori dall’Eurasia, minacciando in tal modo lo status degli Stati Uniti come potenza mondiale», col rischio di far spostare tutto l’equilibrio globale a favore della Cina e dei suoi alleati dispotici: dalla Russia all’Iran, da Cuba (vero Pivot nelle Americhe) alla Corea del Nord. L’Eurasia è la continuazione della Battaglia stessa per la libertà di Kiev, in un quadro dove libertà politiche e libertà economiche coincidono.
Senatore Giulio Terzi di Sant’Agata e Marco Rota