Quando qualche giorno fa Amina (nome di fantasia a tutela della giovane) una ragazza pakistana di sedici anni mi ha scritto, attraverso una persona amica, della sua situazione personale di violenza avuta dal padre, mi si è gelato il sangue nelle vene.
Amina è venuta a vivere in Italia con la famiglia, nel nostro paese si è integrata, ha iniziato a vivere tra i nostri adolescenti come, legittimamente, una di loro. Tutto questo, però, è stato fermato.
La sua serena giovinezza è stata bloccata dalle violenze del padre, che ha abusato di lei, e da quelle della famiglia che l’ha promessa in sposa ad un giovane pakistano.
Amina però è riuscita a scappare e ad essere accolta in una casa famiglia che le ha permesso di denunciare penalmente il padre.
Amina è la Saman che, per ora, è riuscita a salvarsi.
Questi alcuni versi che mi ha inviato:
“(…)Pochi i suoi anni per essere donna,
per promettere a un uomo la vita.
Ma lui la prese, divenne sposa,
fu una prigione, la gabbia d’oro(…)”
“(…)si fingeva di essere grande(…)”
“(…)ora grande voleva fuggire(…)sfidare il destino, dispiegar finalmente le ali e scoprì all’improvviso che volar non sapeva(…)”
“(…)Qui per la prima volta so che sono me stessa,
non la figlia di questo, o la moglie di quell’altro(…)”
“(…)Non avevo scelta(…)”
“(…)I miei pensieri svolazzano come uccelli per la mia cella, quasi quasi scivolano via dalle sbarre(…)”
Il servizio su theglobalnews.it sulle bambine promesse in sposa in molti paesi è uno schiaffo al cuore e non si può più, nel nome della diversa cultura, tollerare questi abusi.
Per combattere questa piaga, è indispensabile che venga riconosciuta a livello internazionale come una violazione dei diritti umani e come una evidente discriminazione di genere. Questo primo passo potrebbe contribuire a diffondere consapevolezza tra le famiglie e le giovani donne.
Forse una goccia del mare ma da qualche parte vogliamo, strenuamente, cominciare .
Simona Ventura