Mentre il dittatore Miguel Diaz Canel era in viaggio verso Roma per incontrare il pontefice, in un video filtrato attraverso la fitta maglia della repressione e del controllo sulle comunicazioni personali, la moglie di José Daniel Ferrer, Nelva Ismarays Ortega-Tamayo, torna a chiedere prova di vita e liberazione di suo marito, dopo tre mesi di sparizione forzata del noto detenuto politico.
Il Leader della Unione Patriottica di Cuba (UNPACU), come recentemente ricordato da Nelva in altri video, si trova in situazione di salute critica, non avrebbe accesso ad acqua potabile e sarebbe tenuto in condizioni di malnutrizione, in compagnia soltanto di insetti e ratti. Soprattutto, Nelva denuncia come dallo scorso 14 marzo non abbia avuto modo di aver alcun contatto diretto con José, che avrebbe anche cominciato una serie di atti di protesta pacifica nel carcere per ottenere il rispetto dei suoi diritti fondamentali. Unica prova di esistenza in vita del detenuto politico, ad oggi, è una piccola nota scritta che le autorità del regime hanno consegnato alla famiglia lo scorso 7 giugno, giorno del compleanno di Daniel José, il figlio di 4 anni di José e Nelva. Quest’ultima indica chiaramente Raul Castro e Miguel Diaz Canel come responsabili ultimi del trattamento disumano di José Daniel: “siete voi i colpevoli di qualsiasi cosa gli possa accadere”. E alla fine, dopo il suo grido di libertà per Cuba (il “Patria y Vida” reso celebre da un successo musicale di pochi anni fa, in risposta all’urlo di battaglia guevarista-castrista “Patria o Muerte”), il figlio di José Daniel chiude il video con il più tenero degli appelli: “Libertà per papà”.
Sulla vicenda di José Daniel Ferrer, arrestato per l’ennesima volta dopo le massicce proteste spontanee dell’11 luglio 2021, è in corso da tempo una campagna, tra gli altri, di Amnesty International, che punta il dito soprattutto contro le condizioni di detenzione di un individuo che versa in stato di salute precario e viene tenuto in situazione di privazione di terapie e cure mediche. “La detenzione senza comunicazione col mondo esterno facilita la tortura e altri maltrattamenti e la sparizione forzata, e in certi casi può di per sé costituire una forma di tortura, di trattamento crudele, inumano o degradante”, ricorda la lettera aperta di Amnesty, che inoltre precisa come “a sua volta, il confinamento in solitudine deve essere utilizzato solo in circostanze eccezionali, e se mantenuto per periodi prolungati, può automaticamente violare il divieto di tortura e di altri trattamenti crudeli”.
La prestigiosa ONG, rivolgendosi direttamente al dittatore Diaz Canel, ha chiesto la liberazione del noto detenuto politico, ricordando le tappe più dolorose della detenzione di Ferrer come la negazione di visite familiari negli ultimi mesi, e la totale assenza di comunicazione con il mondo esterno dal marzo scorso (i tre mesi e più di cui parla la moglie di José Daniel nel suo ultimo video). Ovviamente, come ogni appello da parte della società civile, la lettera di Amnesty a La Habana è caduta nel vuoto. Nessuna risposta dal regime cubano, e nessuna risposta ad una moglie, ad un bimbo e a tutta una famiglia che attendono solo di poter rivedere il loro caro, colpevole di pensarla diversamente dai gerarchi al potere dal 1959 a Cuba, una delle dittature più longeve della storia dell’umanità, e la più longeva di tutto il continente americano.
Andrea Merlo