Prelievo di grandi quantità di oro, lavoratori “schiavizzati”, inquinamento locale e tasse ridotte con uno stratagemma societario. Così Pechino si arricchisce sulle spalle dei boliviani.
La Cina ha bisogno di aumentare le riserve auree della sua banca centrale e per questo costringe da tempo attori cinesi ad andare non solo in Bolivia, ma anche in altri Paesi dell’America meridionale, per estrarre il metallo prezioso ed inviarlo poi a Pechino. La rivelazione è emersa nel corso di un incontro tenuto dalle Nazioni Unite a Brasilia sotto gli auspici di Chatham House.
Negli ultimi anni la Cina ha aumentato le sue riserve auree internazionali per far fronte a possibili sanzioni finanziarie dovute ai conflitti internazionali. Ad aprile di quest’anno, le riserve presso la Banca Centrale cinese sono state stimate in 2.068 tonnellate di oro, mentre quelle boliviane in sole 43 tonnellate.
“Stiamo iniziando a vedere prove che gli attori cinesi, siano essi aziende o organizzazioni criminali, spostano risorse da attività estrattive, come l’oro, in operazioni legali e illegali”, ha affermato David Soud, capo della ricerca e analisi presso IR Consilium, un’organizzazione che si occupa di temi di tutela ambientale e corruzione.
Secondo il sito on line Infobae, che ha dato la notizia, questo “schema” riguarderebbe non solo la Bolivia, ma anche altre Nazioni. In particolare, nel caso boliviano le organizzazioni cinesi operano principalmente nel nord di La Paz, camuffate da cooperative minerarie locali, in cambio della partecipazione ai profitti.
Secondo Simon Menet, investigatore in crimini minerari presso la Foundation for Strategic Investigation, anche in Suriname sarebbe stata accertata la presenza di attori cinesi, direttamente coinvolti nell’estrazione dell’oro.
Gli esperti ritengono che tale attività estrattiva riguarda non solo l’America Latina, ma anche l’Africa e il sud-est asiatico. Secondo testimonianze anonime raccolte dal quotidiano on line Los Tiempos, l’oro estratto dall’America Latina verrebbe successivamente trasportato via mare poiché questa forma di spedizione risulterebbe più economica e meno rischiosa rispetto ad altre.
L’inquinamento ambientale
Negli ultimi dieci anni, le importazioni di attrezzature per l’estrazione dell’oro da parte delle aziende cinesi in Bolivia sono cresciute da 6 a 900 tonnellate l’anno, rendendo il Paese sudamericano il più grande importatore di mercurio del pianeta.
Dallo scorso anno, le delegazioni dei popoli amazzonici chiedono al governo di Luis Arce, amico della Cina, di fermare o almeno regolamentare le pratiche estrattive delle compagnie cinesi che non solo danneggiano l’ambiente, ma avvelenano anche i fiumi con il mercurio impiegato, come notato anche dagli effetti provocati sulla salute indigena.
Per questo motivo, riferisce Infobae, gli ambientalisti di La Paz hanno avviato azioni legali contro le cooperative locali (che fungono da “prestanomi” di società cinesi) per i danni alla salute provocati alle popolazioni locali. Non solo; questo schema di copertura societaria permette anche alle imprese cinesi di pagare le tasse minerarie più basse della Bolivia.
Sul danno alla salute, Infobae cita in particolare un’indagine condotta su 302 persone appartenenti a 36 comunità delle popolazioni indigene di Tacanas, Lecos e Mosetenes nella regione amazzonica di La Paz dalla quale sarebbe emersa una presenza di mercurio sui capelli quattro volte superiore al limite consentito.
Il Centro di documentazione e informazione boliviano (CEDIB) calcola che la Bolivia importa circa 140 tonnellate di mercurio all’anno e ne riesporta circa 60 attraverso canali illegali nei vicini Perù e Brasile. Il 16 giugno scorso, il governo boliviano ha approvato un regolamento per l’uso del mercurio, ma le cooperative sostengono che non si applichi a loro ma solo al settore della libera impresa.
Lo sfruttamento dei lavoratori e l’evasione fiscale
Per estrarre oro, le aziende cinesi operano nel nord di La Paz 24 ore al giorno per 365 giorni l’anno, nascondendosi dietro cooperative minerarie che ricevono denaro direttamente da Pechino. Così, i cinesi si arricchiscono con l’oro boliviano senza pagare le tasse.
Un’inchiesta scioccante di Sergio Mendoza Reyes per Los Tiempos de Bolivia, con il sostegno del Rainforest Journalism Fund del Pulitzer Center del 2022, avrebbe rivelato i meccanismi messi in atto dalle aziende cinesi per “saccheggiare” l’oro boliviano.
Il lavoro nei campi minerari di Mayaya, una comunità nella foresta amazzonica a nord di La Paz, non si ferma mai. Migliaia di lavoratori operano in turni di 11 ore in gigantesche aree di suolo arido, inquinato e desertico. Da qui, viene avvelenato il fiume Kaka, le cui acque, chilometri più in basso e insieme ad altre correnti, raggiungono le rive del Parco Nazionale Madidi.
“I minatori lavorano per uomini d’affari cinesi. Un’associazione illegale tra cooperative boliviane e investitori stranieri (per lo più del gigante asiatico) hanno reso realtà questa devastazione con la complicità dello Stato boliviano”, rivela l’inchiesta.
Il meccanismo di lucro sarebbe questo: in virtù di un accordo ben collaudato, la cooperativa ottiene tra il 25% e il 40% dei profitti senza lavorare o investire capitale, mentre la società cinese prende fino al 75% del valore dell’oro senza pagare tasse. E questi loschi affari sarebbero diventati una consuetudine tra le cooperative minerarie boliviane.
Queste ultime, dunque, farebbero da scudo a società di comodo cinesi e ciò consentirebbe loro di essere “legalmente” esentate dal pagamento dell’imposta sul reddito (IUE) fino al 37,5%, dell’imposta sul valore aggiunto (IVA) del 13%, dell’imposta sulle transazioni (IT) del 3% e fino al 7% delle royalties per le regioni in cui operano. Dietro la facciata di una cooperativa, le regioni ricevono solo il 2,5% di royalties, con lo Stato che dovrebbe conseguire solo il 4,8% di tasse. Quest’ultimo tributo, sarebbe stato concesso dal Governo alle cooperative in quanto sue alleate politiche, ma in sostanza andrebbe a vantaggio soprattutto delle società di comodo cinesi.
Secondo i dati del Ministero delle Miniere, nel primo trimestre del 2022, il 99% dell’oro prodotto in Bolivia era registrato come prodotto da cooperative e solo l’1% proveniente da società private.
Rintracciare queste società di comodo è un compito quasi impossibile. C’è il sospetto che i loro capitali siano collegati ad altre attività illegali, come il traffico di droga. Diverse fonti hanno riferito al quotidiano Los Tiempos che tali imprese non sarebbero registrate nel Paese, farebbero transazioni in contanti (senza dunque lasciare traccia) con il loro oro venduto sul mercato nero boliviano portato all’estero.
L’impero cinese in Bolivia
Un articolo di Infobae del novembre 2022, sostiene che le sponde dei fiumi, disboscate, inquinate e trasformate in ghiaioni, sarebbero piene di macchinari di origine cinese, fabbricati da gigantesche aziende per lo più legate al Partito Comunista Cinese (PCC).
Va anche aggiunto che negli ultimi anni la Repubblica popolare cinese è diventata il principale creditore della Bolivia. Alla fine del 2021, infatti, Pechino deteneva il 10,3% del debito estero pubblico boliviano, pari a 1.312 milioni di dollari.
Gabriele Iuvinale