Lo scorso 3 luglio è stato istituto il Centro internazionale per il perseguimento del crimine di aggressione contro l’Ucraina (ICPA) la cui creazione era stata annunciata nel quadro della Conferenza “Uniti per la Giustizia” tenutasi a Leopoli nei mesi scorsi.
La creazione del Centro rappresenta uno step rilevante verso quegli sforzi da parte della comunità internazionale di ritenere la leadership russa responsabile della guerra in Ucraina. Costituito all’Aia presso la sede di Eurojust e con la collaborazione dell’UE, degli Stati Uniti e della Corte penale internazionale (CPI), ICPA ha l’obiettivo di “agevolare la costituzione di fascicoli per futuri procedimenti giudiziari “, fornire “una struttura per dare supporto e impulso alle future indagini e a quelle in corso sul crimine di aggressione” e contribuire “allo scambio e all’analisi delle prove raccolte dall’inizio dell’aggressione russa”.
Nell’architettura della giustizia penale internazionale emergono, tuttavia, delle problematiche che ostacolano il processo di accertamento delle responsabilità russe per il crimine di aggressione.
A livello normativo, in base all’art 5 e 8 bis dello Statuto di Roma, la CPI ha competenza a giudicare – in aggiunta ai crimini di genocidio, contro l’umanità e di guerra – il crimine di aggressione. Grazie all’entrata in vigore degli emendamenti di Kampala nel 2018 che hanno portato ad una evoluzione del diritto penale internazionale, questo crimine viene definito come “la pianificazione, la preparazione, l’inizio o l’esecuzione (…) di un atto di aggressione che per carattere, gravità e portata costituisce una manifesta violazione della Carta delle Nazioni Unite del 26 giugno 1945” e può essere commesso solo “da parte di una persona in grado di esercitare effettivamente il controllo o di dirigere l’azione politica o militare di uno Stato”. Proseguendo con la lettura dell’art 15 bis (4) e (5), vale la pena sottolineare che la CPI può esercitare la sua giurisdizione, in relazione ad un atto di aggressione, solo se commesso da cittadini di uno stato membro. In altre parole, ciò significa che per gli Stati che non hanno aderito allo Statuto di Roma, come appunto la Federazione russa, la Corte non è competente a giudicare i leader politici e militari responsabili di aver commesso atti di aggressione.
Anche l’ipotesi di un referral da parte del Consiglio di Sicurezza (CdS) delle Nazioni Unite – cioè di quel meccanismo secondo cui l’organo responsabile del mantenimento della pace e della sicurezza internazionali può segnalare un atto di aggressione al Procuratore della CPI – sembra non essere una via percorribile per il fatto che la Russia, in qualità di membro permanente del CdS, può avvalersi del proprio diritto di veto.
In conclusione, se da un lato è vero che la CPI è la sede naturale per indagare e perseguire i soggetti responsabili della commissione di un crimine di aggressione, dall’altro si presentano degli ostacoli che nei fatti impediscono alla stessa Corte di attivarsi. Per questo motivo, per ovviare alle difficoltà operative della CPI, è in corso di valutazione da parte della comunità internazionale l’opzione di istituire un tribunale speciale che necessiterà del supporto e lavoro prezioso di ICPA per poter essere in grado, in futuro, di dimostrare la responsabilità penale individuale dei più alti funzionari russi.
Federica Donati