“Mi rivolgo a Lei, Presidente Mattarella, affinché chieda libertà per mio marito José Daniel Ferrer”.
Questo l’appello che Nelva Ismarays Ortega Tamayo, sposa del noto detenuto politico cubano, rivolge direttamente al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, dopo la visita di Diaz Canel a Roma la scorsa settimana.
Nelva, che da tempo conduce una battaglia non violenta intrapresa per dare visibilità di fronte all’opinione pubblica mondiale al caso di suo marito, leader della UNPACU e prigioniero nelle carceri di massima sicurezza del castrismo dall’agosto del 2021, invoca l’aiuto della Presidenza della Repubblica Italiana per ottenere la liberazione immediata di José, arrestato dalle autorità del regime castrista dopo le proteste dell’11 luglio 2021, quando ingenti folle di cittadini scesero in piazza e nelle strade in decine e decine di città dell’isola, chiedendo libertà e democrazia per un popolo sottomesso da più di 60 anni alla ferocia della repressione, del controllo sociale e poliziesco.
La dittatura castrista, oggi guidata da Miguel Diaz Canel, ma in realtà ancora saldamente nelle mani di Raul Castro e dei gerarchi della vecchia guardia, ha represso le manifestazioni del 2021 con violenza, ma ha dovuto ricorrere alla mano dura più del consueto, spaventata dall’imponente successo di una protesta che aveva contagiato spontaneamente in pochissime ore ogni angolo del Paese. Tra le migliaia di cubani e cubane finiti nelle carceri del regime dopo quella storica giornata (che i cubani chiamano, iconicamente, “once jota”, cioè 11J, con la “j” iniziale del mese di luglio in spagnolo), proprio il leader di una delle formazioni dissidenti anticastriste più rappresentative, la UNPACU.
José Daniel Ferrer infatti si trova detenuto senza giusto processo dall’agosto dello stesso anno: unica colpa, essere dissidente. Viene sottoposto da quasi due anni a tortura fisica e psicologica, gli viene negata l’assistenza medica, vive in isolamento e per lunghissimi periodi senza alcun contatto con l’esterno; per 3 volte in meno di due anni, racconta Nelva nel video diretto a Mattarella, è stato fatto “sparire forzatamente” (desaparecido), tenuto cioè in condizione di non comunicazione con l’esterno, cosicché nemmeno la famiglia poteva sapere se fosse vivo o morto. Attualmente versa in condizioni di salute drammatiche, secondo quanto descrive Nelva, che ha potuto vederlo solo brevemente pochi giorni fa, dopo che per 3 mesi le autorità carcerarie e gli aguzzini del regime comunista avevano impedito arbitrariamente che la famiglia avesse accesso alle visite nel carcere di massima sicurezza di Mar Verde (Santiago de Cuba), dove José Daniel vive la tragedia della sua detenzione politica.
Vista l’esistenza di canali bilaterali tra Roma e La Habana e la recente visita di Diaz Canel, Nelva rivolge al Presidente Mattarella la richiesta sua e della famiglia: “Presidente Mattarella, Le chiedo di esigere che non solo venga data prova dell’esistenza in vita di mio marito in questo momento, ma soprattutto che venga data a lui libertà immediata. Libertà per José Daniel Ferrer García”. Nella lotta per il marito, Nelva non dimentica però che la battaglia individuale è in realtà battaglia per tutti quelli cui il regime nega la libertà. L’ultimo grido, è per i tanti detenuti di coscienza e per ragioni politiche: “libertà per tutti i prigionieri politici a Cuba”. E da ultimo, un motto deflagrato in faccia al regime pochi anni fa, sulla scorta di un brano musicale divenuto manifesto di una generazione, anzi di tutto un popolo: non più “Patria o muerte”, bensì “Patria e vita!”.
Andrea Merlo