Gli storici osservano che fu la lotta per la libertà religiosa il principio a cui si aggiunsero poi le altre; è la libertà religiosa assieme alla libertà di espressione, alla libertà dal bisogno e dalla miseria e alla libertà dalla paura una delle “quattro libertà” di cui “ogni persona del mondo dovrebbe godere” nel famoso discorso di Franklin Delano Roosevelt del 6 gennaio 1941 (voicesofdemocracy.umd.edu), ma ancora in 61 Paesi su 196 la libertà di culto viene violata. Il 31%, quasi uno su tre. Lo denuncia la Fondazione Pontificia Aiuto alla Chiesa che soffre (Acs) (acs-italia.org) nel suo Rapporto 2023 sulla libertà religiosa nel mondo (acs-italia.org). Ma se andiamo alla popolazione di questi Paesi, vediamo che si arriva a 4,9 miliardi di persone, pari al 62% della popolazione mondiale, viventi in nazioni in cui la libertà religiosa è fortemente limitata.
“La persecuzione in odio alla fede, rapimenti, conversioni e matrimoni forzati con minorenni, sono complessivamente aumentati”. Tra i “Paesi caldi” riconfermati non solo regimi comunisti come Cina o Corea del Nord ma anche democrazie come India, Pakistan e Nigeria. Ma c’è pure la novità sempre più grave del Nicaragua (swissinfo.ch), in cui una escalaton che va avanti da anni (swissinfo.ch) è culminata con la detenzione di Rolando Álvarez (vidanuevadigital.com), vescovo di Matagalpa che ha rifiutato di andare in esilio. L’Africa è il continente più aggredito, le già citate Cina e Corea del Nord si confermano maglia nera
Dei 61 Paesi in cui la discriminazione e la persecuzione sono chiaramente evidenti, è in 49 che il governo che perseguita i propri cittadini per motivi religiosi, con scarsa reazione da parte della comunità internazionale. Nel planisfero del Rapporto, 28 Stati sono contrassegnati in rosso come “Paesi caldi”, indicanti persecuzione. Essi denotano i luoghi più pericolosi al mondo per praticare liberamente la religione. Altri 33 Stati sono in arancione, e indicano alti livelli di discriminazione. In 47 di questi Paesi la situazione è peggiorata da quando è stata pubblicata la precedente edizione del Rapporto, mentre le cose sono migliorate solo in nove di essi.
Una delle principali conclusioni del rapporto è che le comunità religiose minoritarie si trovano in una situazione sempre più drammatica. In alcuni casi sono a rischio estinzione a causa di una combinazione di azioni terroristiche, attacchi al patrimonio culturale e misure più subdole come la proliferazione delle leggi anti-conversione, la manipolazione delle regole elettorali e le restrizioni finanziarie. Ci sono tuttavia anche casi di comunità religiose maggioritarie perseguitate, come in Nicaragua e Nigeria.
Al fine di quantificare numericamente la persecuzione ai danni delle comunità cristiane, dai 28 Paesi caldi vengono esclusi Camerun, Repubblica Democratica del Congo e Mozambico: perché lì il fenomeno persecutorio, molto cruento, interessa porzioni relativamente piccole dei rispettivi territori, nelle quali la maggioranza religiosa non è quella cristiana. Se escludiamo tali nazioni, il totale dei cristiani che vivono in terre di persecuzione è pari a oltre 307 milioni di fedeli.
Negli ultimi due anni Acs ha rilevato l’aumento globale del potere di governi autoritari e leader fondamentalisti che cercano di esercitare un potere illimitato e per questo sono sia gelosi sia timorosi dell’autorità spirituale, in particolare per la sua capacità di mobilitazione delle comunità religiose. Questo ha un effetto deleterio sulla libertà religiosa. L’impunità è diventata una costante in tutto il mondo e in 36 paesi gli aggressori sono perseguiti raramente, o addirittura mai, per i loro crimini. A questo fenomeno dell’impunità contribuisce il silenzio della comunità internazionale nei confronti di regimi ritenuti strategicamente importanti per l’Occidente, come Cina e India, che non subiscono sanzioni internazionali o altre conseguenze per le loro violazioni della libertà religiosa. Lo stesso vale per Paesi come la Nigeria e il Pakistan.
Quasi la metà dei “Paesi caldi” presenti nel planisfero del Rapporto, cioè 13 su 28, sono in Africa. La concentrazione dell’attività jihadista è particolarmente evidente nella regione del Sahel, intorno al lago Ciad, in Mozambico e in Somalia, e si sta estendendo ai Paesi vicini, molti dei quali rimangono sotto osservazione, avendo subito attacchi islamisti ai propri confini.
Cina e Corea del Nord rimangono i due Paesi asiatici con il peggior record di violazioni dei diritti umani, inclusa la libertà religiosa. Lo Stato vi esercita un controllo totalitario attraverso la sorveglianza e misure estreme di repressione contro la popolazione. Il Rapporto presta molta attenzione anche all’India, dove i livelli di persecuzione sono in aumento, attraverso l’imposizione di un pericoloso nazionalismo etnico-religioso, particolarmente dannoso per le minoranze religiose. Leggi anti-conversione sono state approvate, o sono allo studio, in 12 dei 28 Stati dell’India; tali normative prevedono pene fino a 10 anni di reclusione e includono vantaggi finanziari per coloro che si convertono o ritornano alla religione maggioritaria.
Gli episodi di conversioni religiose forzate, rapimenti e violenze sessuali (inclusa la schiavitù sessuale) non sono diminuiti nel biennio in esame, anzi rimangono largamente ignorati dalle forze dell’ordine e dalle autorità giudiziarie locali, come accade in Pakistan, dove giovani cristiane e indù vengono spesso rapite e sottoposte a matrimoni forzati. Oltre alla grave violazione dei loro diritti umani, inclusa la libertà religiosa, queste pratiche hanno anche l’effetto di limitare la crescita delle loro comunità religiose.
Molti giovani musulmani continuano ad essere attratti dalle reti terroristiche islamiste, ma nel contempo soprattutto in Medio Oriente, si registrano segnali di una diffusa secolarizzazione. In Iran, secondo alcuni sondaggi condotti durante la recente “rivoluzione dell’hijab” delle donne, in Iran il 47% della popolazione non dichiara alcuna affiliazione religiosa e solo il 32% si identifica come sciita.
Il Rapporto di Acs denuncia anche i crescenti limiti alla libertà di pensiero, coscienza e religione nei Paesi che appartengono all’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Osce). Negli ultimi due anni, nei confronti di coloro che vogliono esprimere e vivere apertamente la propria fede, l’Occidente è passato da un clima di “persecuzione educata” a una diffusa “cultura dell’annullamento” e al “discorso forzato”, caratterizzato da forti pressioni sociali per indurre a conformarsi alle correnti ideologiche di tendenza.
Maurizio Stefanini