“Libertà, quanti delitti si commettono in tuo nome!”, disse Madame Roland prima di essere ghigliottinata. Lo stesso si potrebbe dire della transizione ecologica: un obiettivo oggetto di grandi mobilitazione e che sempre più decisori politici stanno mettendo al centro della loro attenzione, ma che pure rischia di diventare occasioni per gravissime violazioni dei diritti umani. In particolare, a opera della Cina.
Lo denuncia ad esempio il Business & Human Rights Resource Center (business-humanrights.org), che ha appena pubblicato un rapporto sulle violazioni dei diritti umani legate agli investimenti cinesi in progetti minerari di transizione all’estero (business-humanrights.org). Ciò per il fatto che la Cina ha cercato di imporsi come attore significativo grazie al suo dominio sulla lavorazione e raffinazione dei principali “minerali di transizione” necessari per il passaggio alle energie rinnovabili.
Il rapporto ha identificato ben 102 accuse di violazione dei diritti umani e ambientali legate agli investimenti cinesi all’estero in progetti minerari di transizione tra il 2021 e il 2022. Ciò includeva investimenti diretti nell’esplorazione, concessione di licenze, estrazione e lavorazione di nove minerali principali: cobalto, rame, litio, manganese, nichel, zinco, cromo, alluminio ed elementi delle terre rare. “Molti progetti in cui investono le società cinesi si trovano in paesi ospitanti ricchi di risorse, che spesso hanno una governance debole e opzioni limitate per le vittime di abusi per cercare rimedio”, spiegava il documento. Nel contempo, in Cina non esiste una legislazione che imponga diritti umani extraterritoriali e dovuta diligenza ambientale, lasciando i lavoratori e le comunità vulnerabili ai danni.
Le denunce di abusi registrate hanno riguardato 18 paesi, con il maggior numero di abusi in Asia (42%). Ma un numero significativo si è verificato anche in America Latina (27%) e Africa (24%). Il Paese con il maggior numero di abusi è stato l’Indonesia (27), seguito da Perù (16), Repubblica Democratica del Congo (12), Myanmar (11) e Zimbabwe (7). Questi cinque paesi hanno rappresentato oltre il 70% di tutte le accuse segnalate e la Cina è un importante partner economico per tutti loro.
Il rame è il minerale più frequentemente associato ad accuse di abuso (33), seguito dal nichel (24). Le violazioni dei diritti umani contro le comunità locali e le organizzazioni della società civile rappreseno il 68% di tutte le accuse. I diritti dei lavoratori sono stati lesi nel 35% delle denunce. I danni ambientali sono presenti nel 53% delle accuse di abuso. Solo otto società sono state collegate a più della metà (57%) del numero totale di accuse di abuso. Solo la metà di loro ha pubblicato politiche sui diritti umani. Nonostante gli impegni per l’apertura e la trasparenza, il tasso di risposta tra le aziende contattate in merito alle preoccupazioni sui diritti umani legate alle loro operazioni è stato solo del 18%.
Un portavoce del Business & Human Rights Resource Center ha dichiarato che “la Cina ha mostrato impegno per la transizione verso l’energia verde impegnandosi a smettere di costruire centrali elettriche a carbone all’estero e attraverso i significativi investimenti delle società cinesi nei minerali di transizione necessari per le ambizioni net-zero del globo. Tuttavia, ciò è offuscato dai gravi rischi per i diritti umani associati alle loro operazioni commerciali all’estero”.
“I nostri dati mostrano che i diritti umani e l’abuso ambientale sono prevalenti nell’esplorazione, estrazione e lavorazione dei minerali di transizione. Le comunità locali stanno subendo il peso maggiore di questi abusi, con i loro mezzi di sussistenza compromessi, i diritti sulla terra ignorati e l’erosione dei diritti degli indigeni. La maggior parte delle aziende non dispone nemmeno di politiche sui diritti umani, e quelle che lo fanno sono state collegate al maggior numero di accuse, indicando una significativa necessità di miglioramento sia in termini di politica che di pratica. Dato il loro ruolo fondamentale nei settori energetici a livello globale, gli attori cinesi sono ben posizionati per guidare una transizione energetica responsabile. Tuttavia, questo può essere raggiunto solo se le imprese e le autorità di regolamentazione cinesi adottano misure proattive per affrontare i diritti umani endemici e gli abusi ambientali legati ai minerali di transizione.
L’avvertimento è che “la mancanza di azione aziendale rischia di portare a conflitti, sospensioni, ritardi e aumento dei costi”. Dunque, “vi è un urgente bisogno di trasformare i modelli di business esistenti, consentendo la realizzazione di una transizione giusta a vantaggio delle imprese, degli investitori e delle comunità locali. Tre principi fondamentali per la transizione energetica giusta – prosperità condivisa, rispetto dei diritti umani e della protezione sociale e negoziazione equa – sono essenziali per generare sostegno pubblico e offrire vantaggi a comunità, lavoratori e aziende. Poiché le aziende cinesi investono nell’estrazione di minerali di transizione all’estero, si assumono la responsabilità cruciale di garantire che la transizione verso l’energia pulita non sia solo rapida, ma anche equa”.
Maurizio Stefanini