A detta di osservatori autorevoli, la sfida tra Stati Uniti e Cina in campo tecnologico mostra Pechino più debole di quanto venga raccontato dalla sua “guerra informativa”. La Cina, all’inizio della pandemia, sembrava essere capace di produrre un vaccino competitivo con quelli occidentali ma, ad oggi, non risulta essere in grado di sperimentare con successo un vaccino a mRNA. Nonostante Sinovac e Sinopharm fossero drasticamente meno efficaci, Pechino ha imposto l’impiego di questi vaccini ad alcuni Paesi, soprattutto, ma non solo, in Africa. E così accade anche nel settore degli armamenti, dove a detta di alcuni analisti lo sviluppo impressionante dell’industria militare è enfatizzato circa le sue realistiche capacità di impiego, ad esempio in ambito navale.
Lo stesso vale per il 6G.
Greg Austin, responsabile del programma Cyber, Space and Future Warfare presso l’International Institute for Strategic Studies di Singapore, ha affermato: «Nel novembre dello scorso anno, i media cinesi hanno riferito falsamente che la Cina avesse lanciato con successo in orbita il primo satellite 6G al mondo. […] Ma si tratta della tipica propaganda cinese dato che, secondo gli specialisti, al momento non esiste un satellite 6G». E ancora: «Dire che oggi la Cina è leader nella tecnologia 6G sarebbe una grossolana esagerazione. […] L’obiettivo della Cina è convincere i propri cittadini e il resto del mondo che in realtà sta andando molto bene nella competizione tecnologica con gli Stati Uniti e i suoi alleati». E questa è una parte della strategia cinese, quella che riguarda l’infowar. L’altra è la strategia del divide et impera, dal Medio Oriente all’Europa. Nel suo articolo How XI Jinping’s policies could lead China to economic implosion (National interest, 18 luglio 2023) Elaine Dezenski ha spiegato come la Belt and Road Initiative abbia messo in luce la trappola del debito cinese, suscitando sentimenti nazionali molto forti. Tuttavia, Stati come Australia e Canada, e altri con economie più piccole come Lituania e Repubblica Ceca, hanno dimostrato che la resilienza paga rispetto all’assertività cinese, e rafforza la difesa del proprio interesse nazionale. In Cina, viene sempre imposta la presenza di un esponente del Partito Comunista (con funzioni di sorveglianza) nel board delle aziende straniere. Al tempo stesso, le multinazionali straniere non possono raccogliere dati sui loro clienti e profilarne i bisogni. Secondo il Generale Keith Alexander, già a capo dell’NSA, il furto di proprietà intellettuale da parte di Pechino – ai danni di aziende e governi occidentali – si è già configurato come «il più grande trasferimento di ricchezza della storia». L’Unione Europea è al lavoro per varare direttive con cui verrà setacciata tutta la catena di approvvigionamento, per valutare il rispetto dei diritti umani, ambientali e del lavoro (non dimentichiamo il lavoro forzato nello Xinjiang), così come la concorrenza sleale nelle acquisizioni e nelle partecipazioni societarie di aziende europee, che non saranno più consentite se realizzate o supportate anche parzialmente con l’aiuto statale del Partito Comunista Cinese (finanziario e assicurativo).
Il rafforzamento della supply chain deve essere visto come una parte della risposta alla coercizione della Cina, nell’ambito di un contrasto strategico euro-atlantico, a cominciare dalla concreta attuazione di un “perimetro di sicurezza naturale” nella produzione strategica con un più esteso ed incisivo utilizzo del Golden Power. Una definizione di deterrenza strategica partendo dal caso del gallio ricavato dalla bauxite e fondamentale per le guerre del futuro: lavorare ad una collaborazione degli Stati Uniti con gli alleati e i partner per far crescere in scala le estrazioni di gallio e le capacità di rifinimento.
In uno scenario siffatto è fondamentale sviluppare la deterrenza alla coercizione cinese e – com’è spiegato in China’s diplomatic coup in the Middle East: the facts behind the hype (The Diplomat, 20 luglio 2023) – a quell’eredità specifica che arriva dalla Guerra Fredda, “l’onda di riconciliazione” come la chiamano i propagandisti cinesi del think tank CICIR (sotto l’ala del Ministero della Sicurezza di Stato), che dovrà consistere secondo i cinesi nel tentativo di impiantare fabbriche di droni in Arabia Saudita e consegnare missili silkworm anti-nave al regime iraniano. Così come il Congresso degli Stati Uniti nei decenni ha codificato gli sforzi di sicurezza nazionale e di politica estera come valida motivazione per l’imposizione di sanzioni (ricordiamo fra i tanti casi quelli di Iran e Cuba), adesso si sente l’esigenza di una radicata coesione politica nel consesso euroatlantico, per quanto riguarda fondamentali questioni di sicurezza nazionale che si estendono a vasti settori produttivi delle alte tecnologie e della ricerca.
Sen. Giulio Terzi