La leader dell’opposizione a Myanmar e Premio Nobel per la Pace Aung San Suu Kyi è uscita dal carcere per essere messa agli arresti domiciliari ed ha anche ricevuto una grazia parziale, ma per solo 5 delle 19 condanne a suo carico. Insomma, cadono solo 6 dei 33 anni di carcere cui era stata condannata.
78 anni, allora Consigliere di Stato, Ministro degli Esteri e Ministro dell’Ufficio del Presidente, Aung San Suu Kyi fu arrestata il primo febbraio 2021, dopo un golpe. E fu poi condannata a 33 anni, dopo vari processi a porte chiuse condotti da tribunali militari, per una serie di accuse tra cui corruzione, possesso di walkie talkie illegali e violazione delle restrizioni del coronavirus. In questi due anni non c’era stata alcuna notizia sulle sue condizioni, ma lunedì 24 luglio fonti carcerarie hanno riferito alla sezione locale della Bbc che era stata portata in un “edificio governativo” della capitale Nay Pyi Taw. L’agenzia di stampa Afp ha dichiarato di aver confermato il trasferimento della signora Suu Kyi con una fonte nel suo partito Lega nazionale per la democrazia. Una fonte di un altro partito politico ha detto che Suu Kyi è stata trasferita in un complesso per vip.
La premio Nobel è stata vista solo una volta da quando è stata trattenuta dopo il putsch del 1° febbraio 2021, in foto sgranate dei media statali da un’aula di tribunale. È stata poi agli arresti domiciliari fino a giugno di quest’anno, quando è stata trasferita in isolamento in una prigione della capital. Non c’è stata alcuna conferma da parte dei militari del suo trasferimento dal carcere, ma il passaggio agli arresti domiciliari potrebbe essere un segnale positivo da parte delle autorità, che hanno dovuto far fronte a numerose richieste di scarcerazione del leader democraticamente eletto del Paese. Sempre secondo la Bbc i militari avrebbero organizzato un incontro tra la signora Suu Kyi e Ti Khun Myat, presidente della camera bassa del parlamento.
Dal colpo di stato, il Myanmar è precipitato in una spirale di guerra civile. Si stima che circa 1,5 milioni di persone siano sfollate all’interno del Paese, mentre 75.000 persone sarebbero fuggite nei paesi vicini. Più di 23.000 civili sono stati arrestati e più di 3500 sono stati uccisi. La violenza della giunta contro la popolazione è quotidiana: bombardamenti, villaggi bruciati ed esazioni. Per stare al passo con questo ritmo, l’esercito birmano ha bisogno di armamenti sofisticati, come munizioni o aerei. Non potendo produrle sul territorio nazionale, ha importato per più di un miliardo di dollari in armi dal momento del golpe, secondo l’Onu. Una sempre più massiccia ondata di violenza sessuale è una componente di una repressione per cui è stato chiesto il deferimento del governo di Myanmar alla Corte Penale Internazionale per crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Ma la capacità del Consiglio di Sicurezza di assumere una posizione forte su Myanmar è stata ostacolata da Russia e Cina, che forniscono armi ai militari e hanno usato i loro poteri di veto per proteggerli dalle pressioni
La denuncia sulla violenza sessuale e la richiesta di intervento della Cpi vengono da Naw Hser Hser: una attivista di lunga data nella difesa dei diritti umani, che è stata selezionata per rappresentare la società civile di Myanmar al dibattito aperto del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite sulla violenza sessuale correlata ai conflitti nel luglio 2023. La chiamata in causa di Mosca e Pechino viene sia dallo special rapporteur sulla situazione dei diritti umani a Myanmar Tom Andrews che da una inchiesta di Le Monde assieme alla Ong Myanmar Witness. Per questo Naw Hser Hser ha anche chiesto azioni più incisive per tagliare le forniture cruciali di armi e finanze alla giunta militare. Come ha spiegato, “in questo momento l’esercito ha solo tre cose per sostenersi: denaro, armi e legittimità internazionale. Queste cose provengono tutte dal supporto internazionale”.
Secondo lei, l’uso della violenza sessuale per attaccare le popolazioni civili è il “modus operandi” dei militari. Dal colpo di stato, la Lega delle Donne di Birmania ha documentato più di 100 casi di violenza sessuale legata ai conflitti e violenza di genere: probabilmente solo la punta dell’iceberg, secondo Naw Hser Hser. Tra i casi documentati vi sono incidenti in cui donne sono state stuprate in gruppo da soldati e stuprate ai posti di blocco perché non in grado di pagare tangenti. La paura di ulteriori molestie avrebbe dissuaso molte vittime dal denunciare violenze sessuali, mentre le reti di attivisti che cercavano di documentare tali casi, tra cui molte donne, hanno incontrato enormi difficoltà nel raccogliere prove.
Maurizio Stefanini