Si chiama Leadi Kataleya Naranjo, ha 3 anni. Il suo nome ha fatto il giro del mondo in questi giorni, perché sotto il tallone del regime castrista, capita che bimbi così piccoli finiscano nelle maglie della repressione e delle tecniche di controllo sociale. Sua unica colpa: essere figlia di Idael Naranjo Perez, giovane detenuto politico dopo le storiche proteste dell’11 Luglio 2021.
Il caso di Leadi è diventato pubblico grazie alla mobilitazione di alcune ONG che lavorano per visibilizzare le violazioni dei diritti umani nell’isola caraibica. In particolare, Prisoners Defender ha raccolto la testimonianza della madre di Leadi, e moglie di Ideal, che informava come uomini degli apparati di sicurezza del castrismo avessero consegnato a casa della nonna una citazione a testimoniare rivolta alla bimba. Un citazione senza motivazione, senza dettagli, salvo quello aberrante delle conseguenze in cui la minorenne sarebbe incorsa in caso di mancata presentazione: come minimo, una multa, ma con il rischio persino di essere ritenuta colpevole di “disobbedienza”.
Non è certo la prima volta che fatti simili accadono a Cuba: per costringere i detenuti politici e i dissidenti, infatti, ogni tipo di pressione anche attraverso la famiglia, o anche solo la minaccia di coinvolgere nella repressione congiunti stretti sono mezzi validissimi per il regime castrista.
Fortunatamente, grazie alla mobilitazione della società civile internazionale, il fatto non ha avuto alcuna conseguenza per Leadi. Il giorno 8 infatti, alla madre, presentatasi alla stazione di polizia per chiedere spiegazioni, le autorità presenti hanno riferito che si era trattato di un semplice errore. Un errore, dicono, dell’ufficiale che ha consegnato la citazione. Come se nulla fosse, insomma. La giovane madre ha potuto così fare rientro a casa, ed ha approfittato dei canali social per ringraziare la società civile internazionale per la pronta mobilitazione, di fronte alla quale evidentemente l’apparato repressivo castrista deve aver compreso che non era il caso di proseguire.
A chi ha cercato di sminuire il fatto, hanno fatto coro molti dissidenti cubani, tra cui Luz Escobar, che su Twitter ha ricordato il caso toccato a lei un paio di anni fa. Un caso del tutto simile, un tentativo di coinvolgere i figli minori di Luz per costringere la madre ad abbandonare il lavoro di giornalista dissidente, come spiega la stessa, mostrando le foto dell’atto di citazione. “Il regime cubano usa senza pietà i figli dei detenuti politici, degli attivisti, degli oppositori e dei giornalisti indipendenti per vessarli, che nessuno abbia alcun dubbio in proposito. Quelli che negano questa realtà -conclude Luz- vengano pure a chiedermelo, glielo spiego io personalmente”.
Nell’isola del “paradiso socialista”, insomma, neanche i bimbi di 3 anni si salvano dalla repressione. E non è certo colpa dell’ “embargo”.
Andrea Merlo