Per l’italiano Roberto Mancini l’Arabia Saudita ha rappresentato un contratto da 30 milioni di euro all’anno fino al gennaio 2027, per passare da ct della nazionale italiana a ct della nazionale del regno. Ma per l’italiana Ilaria De Rosa, hostess 24enne nata a Resana in provincia di Treviso e assistente di volo per la compagnia lituana Avion Express, la stessa Arabia Saudita ha rappresentato una condanna a sei mesi di reclusione, per essere stata trovata con uno spinello nel reggiseno durante una festa in una villa. Arrestata il 5 maggio, lei ha sempre respinto l’accusa, dalla quale è stata scagionata anche dai tre amici che quella sera erano con lei: un tunisino, un egiziano e un saudita, tutti condannati a un anno e mezzo di reclusione. Sono i tre uomini assieme ai quali Ilaria De Rosa era stata vista l’ultima volta all’esterno dell’hotel Spectrums Residence di Gedda mentre saliva in un’auto scura. Con loro si stava dirigendo al party dove è avvenuto il blitz, effettuato da una decina di agenti armati. L’uso di stupefacenti sarebbe escluso anche dal fatto che la compagnia aerea la sottopone a controlli tossicologici continui.
L’una e l’altra cosa sono ordinaria amministrazione in uno Stato che il petrolio rende ricchissimo, ma una ideologia ufficiale ispirata a una interpretazione dell’Islam particolarmente integralista rende repressivo a massimo, anche se il suo regime è sempre riuscito a conciliare questa chiusura con una stretta integrazione alle alleanze occidentali. Fino a un certo punto, peraltro, visti i recenti flirt con l’Iran e con i Brics nella loro nuova declinazione tendenzialmente anti-occidentale.
Ma c’è comunque a chi va molto peggio che a Ilaria De Rosa, e per accuse molto più futili. Mohamed bin Nasser al Ghamdi, un insegnante in pensione di 54 anni, è stato infatti addirittura condannato a morte, per alcuni tweet (amnesty.org). È fratello del noto attivista Saeed bin Nasser al Ghamdi, in esilio nel Regno Unito dal 2018, e che denuncia che con questo provvedimento le autorità chiedono il suo rimpatrio.
La sentenza è stata emessa il 10 luglio, dopo aver pubblicato da “un account sconosciuto” sulla piattaforma X “critiche alla corruzione” e alle “violazioni dei diritti umani” commesse in Arabia Saudita. Suo fratello pure su X il 24 agosto ha denunciati che che il tribunale specializzato in casi di terrorismo ha processato il suo parente senza accettare i referti medici che indicavano come il condannato soffra di “malattie neurologiche croniche”. Neanche si è tenuto conto del fatto che il profilo da cui provenivano queste pubblicazioni era “sconosciuto” e aveva “solo nove follower”. Secondo lui il tutto ha appunto l’evidente obiettivo di costringerli a tornare in patria, dopo il fallimento di vari tentativi dei Servizi sauditi di riportarcelo a forza.
Il dissidente è stato vittima della feroce campagna che il governo saudita ha lanciato contro i critici nel 2017, arrestandone in quantità. Nel 2018 ha dunque chiesto asilo politico nel Regno Unito e da lì gestisce la Sanad Rights Foundation, che documenta le violazioni dei diritti umani nel regno (sanad.uk). La Ong parla di “pericolosa escalation dopo le scioccanti condanne detentive decennali pronunciate contro i difensori dei diritti umani” “ L’Arabia Saudita è stata trasformata in uno stato di polizia repressivo per eccellenza”. La Sanad Rights Foundation ha pure ricordato che decine di attivisti sono stati recentemente arrestati per le loro attività su Internet, e ha affermato di “credere fermamente che la pena di morte sia stata ampiamente utilizzata come strumento politico dalle autorità saudite ed è progettata per seminare paura nel Paese e terrorizzare i cittadini, in particolare gli attivisti per i diritti umani”.
L’Arabia Saudita ha giustiziato un totale di 196 condannati a morte nel 2022: il numero più alto di richieste di pena di morte nel Paese arabo negli ultimi 30 anni, secondo Amnesty International. Sono triplicate rispetto alle 65 del 2021, quando era in vigore una moratoria per i condannati per reati legati alla droga. 85 sono state condannate per reati legati al terrorismo e le altre 57 per traffico di droga. Ma anche le 65 del 2021 erano il triplo rispetto alle 27 del 2020.
Come l’assassinio del giornalista Jamal Khashoggi nel 2018, questo verdetto porta al culmine le contraddizioni insite nel programma del principe ereditario e uomo forte Mohammed Ben Salman, che da una parte apre ad esempio concedendo il diritto di guidare alle donne e sviluppando il turismo, ma dall’altra aumenta la repressione politica.
Nè c’è solo questo. Nel frattempo, Human Rights Watch ha reso nota una dura denuncia su uccisioni in massa di centinaia migranti etiopici al confine con lo Yemen da parte di guardie di frontiera, tra marzo 2022 e giugno 2023. (hrw.orgr): “spendere miliardi per acquistare golf professionistici, club di calcio e grandi eventi di intrattenimento per migliorare l’immagine saudita non dovrebbe distogliere l’attenzione da questi orrendi crimini”. Il rapporto, di 73 pagine, denuncia che le guardie di frontiera saudite hanno utilizzato armi esplosive per uccidere molti migranti e hanno sparato ad altri migranti a distanza ravvicinata. Tra di loro, molte donne e bambini, in uno schema di attacchi diffuso e sistematico. In alcuni casi, le guardie di frontiera saudite hanno chiesto ai migranti a quale arto sparare, e poi hanno fatto fuoco a distanza ravvicinata. Le guardie di frontiera saudite hanno anche sparato con armi esplosive contro i migranti che tentavano di fuggire nello Yemen.
Circa 750.000 etiopici vivono e lavorano in Arabia Saudita. Mentre molti emigrano per ragioni economiche, un certo numero è fuggito a causa delle gravi violazioni dei diritti umani in Etiopia, anche durante il recente e brutale conflitto armato nel nord. Sebbene Human Rights Watch abbia documentato le uccisioni di migranti al confine con lo Yemen e l’Arabia Saudita sin dal 2014, nelle ultime uccisioni sembra esserci un’escalation deliberata, sia nel numero che nelle modalità. Migranti e richiedenti asilo hanno affermato di aver attraversato il Golfo di Aden su navi non idonee alla navigazione, i trafficanti yemeniti li hanno poi portati nel governatorato di Saada, attualmente sotto il controllo del gruppo armato Houthi, al confine con l’Arabia Saudita. Molti hanno affermato che le forze Houthi lavoravano con i trafficanti e li sottoponevano a estorsioni, o li trasferivano in quelli che i migranti descrivono come centri di detenzione, dove le persone subivano abusi fino a quando non riuscivano a pagare una “tassa di uscita”.
I migranti in gruppi fino a 200 persone tentavano regolarmente di attraversare il confine con l’Arabia Saudita, spesso facendo più tentativi dopo che le guardie di frontiera saudite li avevano respinti. I migranti hanno affermato che i loro gruppi erano composti più da donne che uomini o da bambini non accompagnati. Human Rights Watch ha identificato i posti di guardia di frontiera saudita dalle immagini satellitari che sono coerenti con questi resoconti, e ha anche individuato quello che sembra essere un veicolo corazzato, posizionato dal 10 ottobre 2021 al 31 dicembre 2022, in uno dei posti di guardia di frontiera saudita. Sembrava che il veicolo avesse una mitragliatrice pesante montata in una torretta sul tetto. Le persone che viaggiavano in gruppo hanno descritto di essere state attaccate da proiettili di mortaio e altre armi esplosive dalla direzione delle guardie di frontiera saudite, una volta attraversato il confine. Gli intervistati hanno descritto 28 incidenti con guardie di frontiera saudite che utilizzavano armi esplosive. I sopravvissuti hanno detto che i sauditi a volte li trattenevano in strutture di detenzione, in alcuni casi per mesi.
Tutti hanno descritto scene di orrore. “Ci sono alcune persone che non è possibile identificare perché i loro corpi vengono gettati ovunque. Alcune persone erano divise in due”.
Un’indagine digitale di Human Rights Watch sui video pubblicati sui social media o inviati direttamente a Human Rights Watch e verificati e geolocalizzati mostrano migranti morti e feriti sui sentieri, nei campi e nelle strutture mediche. L’analisi geospaziale ha rivelato un aumento dei luoghi di sepoltura vicino ai campi dei migranti e un’espansione delle infrastrutture di sicurezza delle frontiere. Alcuni hanno denunciato di essere stati picchiati con pietre e sbarre di metallo. Quattordici intervistati hanno assistito a ferimenti o sono rimasti feriti loro stessi in sparatorie a distanza ravvicinata. Sei sono stati presi di mira sia da armi esplosive che da spari.
Alcuni hanno affermato che le guardie di frontiera saudite sarebbero scese dai loro posti di guardia di frontiera e avrebbero picchiato i sopravvissuti. Un ragazzo di 17 anni ha detto che le guardie di frontiera hanno costretto lui e altri sopravvissuti a violentare due ragazze sopravvissute dopo che le guardie avevano giustiziato un altro migrante che si era rifiutato di violentare un’altra sopravvissuto.
Maurizio Stefanini