Sono passati ventidue anni da quella mattina dell’11 settembre quando il mondo si risvegliò e nulla apparve più come prima.
Le immagini delle fiamme alle torri gemelle del World Trade Center, hanno segnato la vita di ognuno di noi come uno spartiacque incredibile: c’è un prima 11 settembre ed un dopo.
Inesorabilmente è così.
Quell’11 settembre del 2001 fu la giornata in cui celebrammo anche i funerali di mio padre, Antonio Terzi, che morì pochi giorni prima. Tornati tutti a casa accendemmo la televisione e vedemmo ciò che stava accadendo: “papà ci ha preceduto di pochi giorni” fu il pensiero che passò nelle nostre teste perché quell’evento per ognuno di noi significava essere entrati nella terza guerra mondiale.
Ed in effetti da quel 2001 tutto ha iniziato a trasformarsi con grande rapidità.
Ma all’indomani di quel tragico e drammatico episodio ci sentimmo tutti americani.
Una solidarietà internazionale fece da comune denominatore in qualsiasi giornale tra le due sponde dell’Atlantico, prefigurando al contempo una fase geopolitica d’instabilità che coinvolgerà le sorti collettive a più livelli (economico, militare, sociale) e ben al di fuori del territorio americano.
Ma come titolavano il 12 settembre i giornali di tutto il mondo ?
Una delle ricorrenti forme di narrazione fu il ricorso alla metafora bellica e apocalittica, soprattutto nei titoli oltre che nelle testimonianze riportate immaginando così di prefigurare un futuro che approva davvero catastrofico.
Ogni analista politico ed ogni commentatore cercava costantemente dei riferimenti significativi nel passato che potessero essere presi come riferimento di ciò che stava accadendo anche se spesso, i più attenti, cercavano di mantenere una certa dose di cautela perché ancora non si comprendeva esattamente ciò che stava accadendo.
A questi toni analitici fa da contrappunto, e vi si alterna, il largo uso delle testimonianze dirette, anche abbinato a uno stile giornalistico quasi narrativo, che lascia ampiamente spazio al pathos. Ultimo, ma non ultimo, su tutto aleggia un senso d’incredulità: la percezione della vulnerabilità umana e delle strutture sociali, che l’azione terroristica ha messo in luce, si riassume nella ricorrente sensazione di trovarsi di fronte a un film catastrofico o a un romanzo di fantascienza, chiamando l’immaginazione a soccorso dell’elaborazione di una realtà troppo nuova e difficile da metabolizzare.
A ventidue anni di distanza, per l’esattezza ieri, sono state trovate altre due vittime del World Trade Center. L’annuncio è stato fatto dalle autorità di New York: l’uomo e la donna, i cui nomi non sono stati resi pubblici su richiesta delle famiglie, sono rispettivamente la 1.648esima e 1.649esima vittima che l’ufficio del medico legale ha identificato, ha annunciato un portavoce del sindaco, grazie a test avanzati del Dna. Il totale delle vittime del commando di Al Qaeda che schiantò due aerei di linea contro le Torri Gemelle di Manhattan sale quindi a 2.753 morti.
Ma a ventidue anni di distanza la geopolitica è’ talmente trasformata è cambiata che quel grido, a volte soffocato, di “siamo tutti americani”, immaginando l’America come la nazione con la democrazia più avanzata, forse non appartiene più ad un sentimento comune .
Giovanni Terzi