Compromesso storico di Enrico Berlinguer e Inti-Illimani a parte, una terza storica ricaduta del golpe in Cile del 1973 fu tre anni dopo: quando l’Italia si trovò in una finale di Coppa Davis che avrebbe dovuto giocare a quell’Estadio Nacional di Santiago che Pinochet aveva trasformato in un carcere per i prigionieri dopo il colpo di Stato. Immagini che erano rimbalzate in tutto il mondo (youtube.com), e che probabilmente con logica militare il generale aveva voluto far conoscere apposta per annichilire ogni velleità di resistenza, al costo politico di farsi una fama terribile.
A quel punto, in Italia iniziò un dibattito circa l’opportunità di partecipare alla finale in quel luogo (academia.edu). La partecipazione italiana era contestata da numerosi gruppi politici, soprattutto di sinistra, con proteste a mezzo stampa e in piazza. Ma anche una testata in teoria solo sportiva come La Gazzetta dello Sport aveva preso una posizione del genere. Il governo, guidato da Giulio Andreotti e con la non sfiducia del Pci, preferì non prendere posizione, come il Coni. Il cerino acceso passò dunque in mano alla Federazione italiana tennis, che autorizzò la partecipazione.
Nel corso del doppio Adriano Panatta, noto per le sue simpatie politiche di sinistra, il 18 dicembre 1976, decise di giocare con una maglietta rossa, in omaggio alle vittime della repressione di Pinochet, convincendo il suo compagno Paolo Bertolucci a fare lo stesso. Solo nell’ultimo set i due atleti indossarono la tradizionale casacca azzurra. Vinse l’Italia, per 4-1. Nel 2009 la vicenda fu raccontata in La maglietta rossa (facebook.com): un film documentario diretto da Mimmo Calopresti, che fu presentato alla quarta edizione del Festival Internazionale del Film di Roma nell’ottobre 2009. Una pellicola che prova a raccontare l’Italia degli anni ’70 partendo dall’evento sportivo che si svolse nel Cile di Pinochet, e lo fa attraverso i racconti di Paolo Villaggio, Paolo Bertolucci, Tonino Zugarelli e lo stesso Panatta che venne contestato all’epoca e scelse di giocare indossando una piccola provocazione.
Della cosa, l’autore di queste righe parlò appunto con lo stesso Panatta. “Io ho giocato con la maglietta rossa in Cile quando Pinochet era dittatore”, ricordò. Ma un po’ lo ridimensionò. “Tra le due opposte possibilità di boicottare la finale di Davis in Cile o far finta di niente lei scelse di giocare simbolicamente in maglia rossa. Un buon compromesso?”, gli chiedemmo. La risposta: “ma no! Non trovai nessun cavolo di compromesso! Giocai nel 1976 con la maglietta rossa, ma non dissi niente a nessuno e nessuno ci capì niente. Nessuno. Né i giornalisti, né il governo cileno. Poi, dopo 30 anni, raccontai la storia a Mimmo Calopresti, una volta che eravamo a cena. E lui fece di quella storia un docufilm: La maglietta rossa. Ma per tanti anni non ne avevo parlato con nessuno, e meno che mai me ne ero vantato. Fu una scelta personale di me e Paolo Bertolucci, che decidemmo di fare questo gesto provocatorio. Ma nessuno scrisse un rigo”.
Maurizio Stefanini