Un effetto del golpe in Cile sull’Italia fu la proposta del Compromesso Storico da parte del segretario del Pci Enrico Berlinguer, secondo cui l’esperienza di Allende dimostrava che importanti trasformazioni sociali non si potevano fare solo col 50% più uno dei voti, ma bisognava elaborare una strategia di alleanze più ampia. Appunto, nel nostro Paese attraverso una intesa tra Pci e Dc. Un altro effetto fu lo strepitoso successo del complesso degli Inti-Illimani, identificati con la musica folklorica cilena e con la loro hit El pueblo unido (youtube.com). Solo che, in realtà, la loro non era musica foklorica cilena, né El pueblo unido era una loro canzone.
L’autore di queste note ha spiegato questo punto varie volte (ideazione.com), anche nel capitolo di un suo libro (amazon.it). Ma la storia è stata spiegata anche dal leader storico del gruppo Horacio Salinas, nella sua autobiografia (amazon.it). Salinas vi racconta appunto del viaggio in Europa del 1973, per partecipare al X Festival Mondiale della Gioventù e degli Studenti di Berlino Est. Segue poi una tournée per Cecoslovacchia, Polonia, Unione Sovietica, Vietnam del Nord e poi, il 3 o 4 settembre (Salinas non ricorda bene), in Italia, a suonare alla Festa dell’Unità di Milano. Pure a Milano registrano di passaggio un album antologico destinato farli conoscere al pubblico italiano, per i Dischi dello Zodiaco, che sono specializzati in musica folk. Il 10 settembre vanno a Roma, e l’11 settembre stanno visitando San Pietro quando dalla radio sanno del colpo di Stato di Pinochet. Già il giorno dopo suonano a una manifestazione di protesta, e quasi subito sono ricevuti da Giancarlo Pajetta, che come responsabile Esteri e storico leader del Pci offre e quasi impone loro l’ospitalità del partito.
In Italia gli Inti-Illimani rimarranno per 15 anni, rientrando in Cile solo nel 1988, quando ormai il regime militare è agli sgoccioli. I primi tempi del loro soggiorno coincidono con la grande spinta a sinistra del quadriennio che segue la vittoria del no al referendum del divorzio del 1974, con le grandi avanzate del Pci alle amministrative del 1975 e alle politiche del 1976 e la protesta studentesca del 1977. Quest’ultima, però, rappresenta anche una contestazione della linea moderata che ha portato il Pci ad appoggiare dall’esterno un monocolore democristiano di Giulio Andreotti, e questa frattura è rappresentata anche dal terrorismo delle Brigate Rosse, che nel 1978 uccidono Aldo Moro. E il contraccolpo è appunto la chiusura di quel “Quadriennio Rosso”. Questa spinta a sinistra in Italia, d’altronde, coincide con una spinta a sinistra mondiale. E tra 1978 e 1979 è mondiale anche la crisi di questa spinta a sinistra.
Il Pci dell’eurocomunismo, che Enrico Berlinguer ha elaborato proprio a partire dall’esperienza cilena, ha in qualche modo intuito certe debolezze di fondo, cercando un percorso alternativo. Ricorda infatti Salinas, parlando della fine degli anni ’70: “da qualche tempo i nostri militanti cileni parevano incapaci di fornire risposte a problemi del mondo (e del mondo socialista in particolare) che saltavano clamorosamente agli occhi, perciò diventava naturale seguire le riflessioni che invece proponevano gli italiani. D’altra parte la solidarietà internazionale al nostro Paese, energicamente propugnata dai comunisti italiani, ce li rendeva particolarmente cari e vicini”. Alla fine, infatti, il blocco sovietico cadrà. Ma a quel punto il corpaccione del Pci – con tutti gli interessi che gli erano legati – troverà più conveniente lasciar perdere del tutto il difficile e generoso ma probabilmente velleitario tentativo di quadratura del cerchio berlingueriano, per approdare armi e bagagli prima alla socialdemocrazia; poi al modello del Partito Democratico Usa.
Il movimento di Folk Revival che in Italia tra 1974 e 1978 esce per un po’ dalla sua tradizionale connotazione di nicchia per conoscere un pur effimero successo di massa è potentemente pompato da quella macchina culturale del Pci contro cui Bennato si farà beffe in Sono solo canzonette. Perfino l’ultima edizione di Canzonissima si inventa un “Girone Folk”, e di questo fenomeno gli Inti-Illimani sono tra i massimi fiori all’occhiello. Come ricorda appunto Salinas, erano anni in cui vendono dischi quasi come i Pink Floyd. In seguito tornano anche loro a una nicchia in cui realizzano molta musica di grande qualità, ma fatalmente rimasta meno nella memoria collettiva rispetto agli album del “Quadriennio Rosso”. Per lo meno in Italia. Una madeleine di quegli anni, forse un po’ più amara del biscotto caro a Proust, è la famosa scena di Ecce Bombo di Nanni Moretti, con la coppia che si libera dalla ragazza sciroccata e petulante interpretata da Lina Sastri spiegandole: “dobbiamo andare a vedere gli Inti-Illimani alla basilica di Massenzio”.
Gli Inti-Illimani, dunque, restano nella memoria collettiva come il gruppo “comunista” che portò in Italia il folklore cileno e soprattutto la canzone simbolo El pueblo unido. Ma, appunto, ci sono alcune cose da puntualizzare. Certamente, lo abbiamo ricordato, gli Inti-Illimani furono ospitati in Italia dal Pci e fecero successo grazie al suo aiuto, lavorando un po’ da agenti di collegamento culturale con il Partito Comunista del Chile (Pcch), e finanziando anche generosamente lo stesso Pcch con i propri incassi. Come ammette Salinas nel suo libro, però, col tempo le cose si modificarono. A parte la crisi della macchina culturale del Pci, a un certo punto i musicisti degli Inti-Illimani si stufarono di versare al Pcch praticamente a fondo perduto: anche se la cosa è più accennata che detta esplicitamente. Salinas si sofferma di più sull’effetto Gorbaciov, e sull’idea che gli sarebbe venuta di sottoporre anche il loro impegno culturale a un processo di glasnost e perestrojka simile a quello che si stava vivendo in Unione Sovietica. Più indipendenza politica, quindi; e maggior cura nella ricerca musicale rispetto ai testi. Già quando gli Inti-Illimani tornano in Cile per appoggiare la campagna elettorale della “Concertazione” dei partiti anti-Pinochet non si dichiarano più collegati al Partito Comunista ma indipendenti. In seguito questa evoluzione porterà a scontri personali e nel 2004 alla scissione tra Inti-Illimani e Inti-Illimani Histórico: Salinas sta ora in questa seconda formazione.
Quanto al Pueblo unido, malgrado la sua importanza nell’immaginario legato agli Inti-illimani non è nel primo storico LP con cui si presentano a fine 1973 in Italia: Viva Chile! (youtube.com). Invece, compare nell’LP numero due: La Nueva Canción Chilena (youtube.com) dell’anno successivo, che è il primo registrato in Italia da esuli. Dunque, non lo consideravano esattamente il loro principale biglietto da visita. Tra l’altro, anche in questo secondo lp non compare che al posto numero 6 del lato B: l’ultimo. E chi sono indicati come autori? “Quilapayún-Sergio Ortega”. Ora, Sergio Ortega Alvarado, nato ad Antofagasta il 2 febbraio 1938 e morto a Parigi il 15 settembre 2003, non era un membro degli Inti-Illimani, i cui componenti originari erano in media una decina di anni più giovani. Si trattava invece di un compositore che aveva fatto studi classici al Conservatorio Nazionale dell’Università del Cile. Notoriamente legato al Pcch, nel 1973 per sostenere Allende in un momento di difficoltà aveva appunto composto El pueblo unido, che era cantato dall’altro gruppo dei Quilapayún (youtube.com), più importante. Per gli Inti-Illimani aveva già scritto per Unidad Popular l’altro inno Venceremos (youtube.com), che infatti compare in Viva Chile!.
Come mai allora El pueblo unido in Italia è identificato con gli Inti-Illimani? Molto semplicemente, perché quando il golpe costrinse tutti questi gruppi all’esilio i più importanti Quilapayún andarono in Belgio per riservarsi la più importante piazza francofona, confinando i più marginali Inti-Illimani nella più marginale Italia. Fu un accidente della storia se negli anni successivi il Partito comunista francese entrò in una storica crisi facendosi sorpassare come principale forza a sinistra dai socialisti di Mitterrand, proprio mentre il Pci conosceva invece i suoi maggiori fasti. Come già ricordato, fu appunto sull’onda dell’avanzata politica e culturale di tutto ciò che era collegato al Pci, che gli Inti-Illimani si trovarono di colpo proiettati alla testa delle Hit Parade italiane, mentre in Francia e Belgio i Quilapayún vivacchiavano. Paradossalmente, il successo rimbalzò in Cile, dove dopo qualche anno i dischi dei due complessi ripresero a essere venduti legalmente, anche se i musicisti erano ancora in esilio e Pinochet si manteneva al potere. E gli Inti-Illimani superarono così anche in patria gli antichi maestri.
Di buon accordo, i due gruppi avevano nel frattempo messo gran parte dei rispettivi repertori in comune. Ma il maggior successo degli Inti-Illimani tradusse l’operazione in un’annessione di El pueblo unido, che nell’immaginario dura tuttora. “Raccogliemmo un successo tale, che ancora oggi gli italiani credono che El pueblo unido sia una canzone nostra” ricordava onestamente Salinas in un’intervista alla stampa cilena rilasciata nel luglio del 2001.
Né El pueblo unido né Venceremos, però, sono musica popolare in senso stretto ma di autore. Pure d’autore sono le numerose altre canzoni di Victor Jara e Violeta Parra disseminate per i vari lp degli Iti-Illimani, assieme a altre composizioni di altri autori. E sono queste in particolare le canzoni che riempiono metà del primo album degli Inti-Illimani, oltre agli interi album 2 e 4. Invece, la musica etnica vera e propria è presente nell’altra metà delle canzoni di Viva Chile!, oltre che nei volumi 3 e 5, intitolati non a caso Canto de Pueblos Andinos. Ma praticamente nessuna di queste canzoni è cilena. Si tratta invece di un repertorio tipico di Bolivia, Perù e Ecuador, con qualcosa anche dal nord-ovest argentino.
All’origine di questa particolarità c’è quel che avvenne nel 1964, quando presidente del Cile fu eletto il democristiano Eduardo Frei Montalva, che aveva promesso una “rivoluzione nella libertà” per togliere spazio ai social-comunisti, nello spirito dell’Alleanza per il Progresso kennedyana. Il fulcro di questa politica fu appunto una radicale riforma agraria, del tipo di quella che sempre per togliere spazio alle sinistre e costruire un potente ceto medio rurale di contadini proprietari il generale MacArthur aveva imposto in Giappone e i governi democristiani avevano fatto in Italia. Ma ciò inferocì l’oligarchia agraria cilena, per cui il possesso della terra era un asset non solo economico, ma identitario. Alla sua radicalizzazione a destra dal punto di vista politico corrispose una controffensiva culturale il cui simbolo divenne il huaso: il cow-boy cileno, testimone di un mondo patriarcale e feudale che la riforma agraria aveva cancellato.
Al huaso si intitolarono appunto gli Los Huasos Quincheros (youtube.com): un gruppo musicale i cui quattro membri erano vicini al gruppo di estrema destra Patria y Libertad. Cantavano vestiti da huasos e alla figura del huaso avevano dedicato una canzone di orgogliosa affermazione di identità: Huaso per donde me miren (youtube.com). Anche le loro melodie erano quasi tutte romantico-nostalgiche.
Insomma, la musica folk cilena era diventata un’arma in mano alla destra. E quale miglior risposta, allora, che promuovere un’altra musica folk che si dichiarasse invece come di sinistra? Un esperimento fu la Nuova Canción Chilena di Violeta Parra (youtube.com) e Victor Jara (youtube.com): quest’ultimo, non a caso, membro del Comitato Centrale dei Giovani Comunisti del Cile, e con incarichi formali di promotore culturale in campo giovanile. Si ispirava alla Nueva Canción nata in Argentina attorno al 1962, a opera di cantanti come Mercedes Sosa (youtube.com) e Armando Tejado Gómez (youtube.com). Questa però, per lo meno all’inizio, non era un tipo di canzone espressamente politica, ma si basava sul recupero di alcuni generi musicali dimenticati, tipo la chacarera, la zamba o il chamame. È passando in Cile che la Nueva Canción perde questo carattere esplicito di folk revival per configurarsi espressamente come arte di protesta politica: un fenomeno analogo alla grande stagione del cantautorato negli Stati Uniti o in Italia. Entrambi i suoi cretori, purtroppo, fecero una fine tragica. Violeta si uccise a soli 49 anni, depressa anche per una grave delusione sentimentale. Jara fu assassinato dopo il golpe.
Figlia di un maestro elementare che era anche musicista, Violeta Parra aveva anche lei iniziato partendo dal patrimonio folklorico nazionale, che però abbiamo visto a un certo punto “espropriato” dagli Huasos. Poi, cambiò impostazione. Come racconta sempre Salinas, “il Cile non è un paese che presenti uno strumentario tradizionale molto ricco. Violeta ha aggirato l’ostacolo: ha preso il cuatro venezuelano, il charango dell’altopiano, e ha composto canzoni, inventato ritmi nuovi, utilizzato ritmi tramandati oralmente fuori dai contesti regionali”. Insomma, iniziò a attingere a quella musica andina, che negli anni ’60 la sinistra cilena decise infine di contrapporre formalmente come “folklore di sinistra” al “folklore di destra” degli Huasos. La novità degli Inti-Illimani fu poi che in chiave andina proposero non solo alcuni classici del folklore boliviano, ecuadoriano e peruviano e alcune loro composizioni, ma riarrangiarono anche tutti i pezzi più noti della Nueva Canción Chilena.
Peraltro, anche la musica andina era stata un’”invenzione della tradizione”. Era stato dopo la Rivoluzione Boliviana del 1952 che il nuovo governo del Movimento Nazionalista Rivoluzionario aveva deciso di valorizzare le tradizioni musicali di etnie amerindie come i quechua e gli aymara, facendo nascere nuovi festival e facendo trasmettere musica tradizionale alle radio. Questo “rinascimento andino” fu guidato dai Los Jairas di Edgar Jofré (youtube.com), con una line-up che assieme alla chitarra e al tamburo, detto bombo, metteva assieme il charango, piccola chitarrina con la cassa in corazza di armadillo, e la quena, flauto dolce di bambù. Fu una piccola rivoluzione, perché questi strumenti non erano mai stati riuniti prima di allora, in uno stesso gruppo.
Molti cileni, ricorda Salinas, non hanno mai digerito questa irruzione di strumenti “stranieri” nel loro folklore. Perfino un grande scrittore pure lui comunista come Francisco Coloane (youtube.com), racconta, si arrabbiò con loro di brutto quando ascoltò la canzone dedicata alla sua isola di Chiloé (youtube.com), tutta imperniata sul suono della quena. “Questo suono non è di Chiloé!”, sbottò. “A Chiloé non esiste la quena, punto!”.
Maurizio Stefanini