Il 20 settembre, all’hotel Parco de’ Medici a Roma, si è tenuto un seminario intitolato “Modernizzazione e diversità dei diritti umani fra civiltà”, per promuovere in Italia i diritti umani con caratteristiche cinesi. Ore e ore di manipolazione Made in China per confezionare un raffinato pacchetto di grandi principi umani condivisibili da chiunque in cui avvolgere un contenuto avvelenato ben preciso: lo smantellamento dell’ordine internazionale basato su regole condivise e sull’universalità dei diritti umani.
Ce ne saremmo fatti una ragione se a preparare il pacco fosse stata solo l’associazione Roma 9 Cina-Italia, ma leggere sull’imballaggio la sponsorship proprio della Facoltà di giurisprudenza dell’Università di Roma La Sapienza, che dell’evento propagandistico è stata co-promotore attraverso il preside della facoltà, Oliviero Diliberto, conferisce al tutto una inaudita preoccupazione che non può passare inosservata.
Dopo una sessione mattutina, il seminario si è diviso in tre gruppi: il primo “Scambi e apprendimento reciproco tra civiltà e sviluppo di una cultura moderna dei diritti umani”; il secondo “Modernizzazione e sviluppo pieno e libero di ogni persona”; il terzo “Evoluzione dei diritti umani nell’era digitale”.
Il Comitato Globale per lo Stato di Diritto “Marco Pannella” era presente al primo gruppo, non certo in qualità di relatore, ma nel tentativo di partecipare ad uno spazio di domande e risposte, rivelatosi prevedibilmente inesistente. Una volta esaurita la lista dei diciannove oratori in programma, il moderatore ha riservato meno di cinque minuti a due brevi interventi accuratamente preselezionati che hanno permesso di chiudere senza alcun dissenso. Anzi, sono state tessute le lodi del nuovo codice civile, promulgato nel 2021, esito delle fatiche dell’ineffabile ex Ministro della Giustizia Diliberto.
La stucchevole parata apologetica di umane virtù includeva: saggezza, reciprocità, armonia nella diversità, rispetto, fiducia, apprendimento reciproco e, naturalmente, amore. Tutte qualità che in Cina coesistono e fluiscono armoniosamente senza sovrapporsi né tantomeno urtarsi ma che sono incompatibili con i valori occidentali imposti come universali perché ritenuti superiori.
Per questo sono proprio l’universalità dei diritti umani e l’attuale ordine mondiale i bersagli. Per proseguire l’opera di erosione del caposaldo onusiano alla base della Dichiarazione Un iversale dei Diritti Umani, gli esponenti del PCC, sostenuti dai relatori europei presenti, propinano un assetto relativista che non opprima altre culture e tradizioni. Poco importa se la Cina è una delle potenze con potere di veto in Consiglio di Sicurezzache intreccia rapporti sempre più stretti con la Russia di Putin o con l’Iran che si appresta a presiedere, su indicazione del Consiglio ONU per i Diritti Umani, il Social Forum di novembre 2023 che tratterà di scienza, tecnologia, innovazione e promozione dei diritti umani.
Secondo Lifeng Wang, membro del Centro per i Diritti Umani della scuola centrale del Partito Comunista Cinese (PCC), l’Occidente dovrebbe familiarizzare con il detto cinese “regalare una pesca e ricevere una prugna”, che simboleggia la reciprocità e la capacità di riconoscere e apprezzare ogni forma di bellezza, anche quella degli altri. Naturalmente, Wang sa benissimo che mentre un qualsiasi cittadino cinese può circolare liberamente in Italia ed Europa, lo stesso non vale nel caso opposto. Il Tibet e lo Xinjiang sono storicamente sottoposti ad un ferreo controllo se non del tutto inaccessibili. Naturalmente, ha proseguito Wang, i diritti umani con caratteristiche cinesi ruotano attorno alla persona e alla sua possibilità di esprimersi liberamente.
E sulla libertà di espressione individuale, i partecipanti hanno potuto beneficiare del contributo di Gerardo Lo Russo, ex direttore dell’Accademia delle Belle Arti, incentrato sul rivoluzionario “diritto alla creatività”. Il punto, ha spiegato l’ex direttore, consiste nella perdita di libertà, di spontaneità (tipica dei bambini) e quindi di creatività che subiamo crescendo. Nel divenire adulti, la disciplina, l’ordine e la tecnica prevalgono e ci opprimono. Attingendo alla sua esperienza di docente ha dunque proposto che, almeno in campo artistico, le università cinesi facciano come gli atenei italiani: lascino gli studenti liberi di creare. Un visionario insomma.
Dopo questo sussulto di libertà, è stata la volta di Su Faxiang, ricercatore sui diritti umani alla Minzu University, secondo il quale i responsabili del PCC sono ben consci del fatto che tutti i cinesi vogliano la democrazia, tant’è vero che il traguardo è proprio quello di realizzarla. L’unica differenza è il come: un percorso diverso da quello europeo e occidentale, cioè, senza guerre e senza violenze. In fondo, ha aggiunto il ricercatore, Pechino è già a buon punto: la Cina è già un sistema multipartitico in cui esistono ben otto partiti. Quello che ha dimenticato di specificare è che sono tutti subordinati al PCC. In questo senso la democrazia con caratteristiche cinesi ad oggi si può definire come una “democrazia consultiva”.
Naturalmente, la Cina è all’avanguardia anche rispetto al digitale e allo sviluppo tecnologico. Bisogna “obbligatoriamente aderire al percorso di costruzione dei diritti umani stabilito dal Presidente Xi Jinping per creare
una Cina digitale, regolamentando giuridicamente anche i diritti digitali”, ha detto Zhang Xinping, professore associato del Centro per i Diritti umani della Central South University. Sistemi di governance complementari c he agiscano in parallelo a favore di un’innovazione sana. In Cina, ci viene spiegato, l’unione tra diritto e tecnologia avanza in conformità con la legge. Viviamo in società sempre più online, in cui le informazioni sono filtrate dagli algoritmi e dalle loro logiche. Di conseguenza anche la partecipazione popolare avviene tramite piattaforme online e per evitare abusi, le informazioni devono essere protette, altrimenti sono proprio la libertà di stampa e il diritto all’accesso alle informazioni ad essere danneggiati. Un mix letale di norme alla base del social credit system e delle leggi sulla sicurezza e sullo spionaggio, con cui si giustifica la censura della stampa, si limita la libertà circolazione e si controlla il pensiero.
Il momento più discutibile in cui si è voluta dare una parvenza di apprezzamento storico-culturale per l’Italia e l’Europa facendo poi leva sull’emotività degli astanti stranieri, è stato quando la professoressa Zhao Shukun, in una presentazione intitolata “La dimensione emotiva del concetto moderno di diritti umani” è passato dagli elogi per l’opera leonardiana della Monna Lisa all’avvento dell’Illuminismo nel XVII secolo, culminato con la rivoluzione francese. Un periodo storico a cui la Cina guarda con ammirazione e al quale si è ispirata addirittura ampliandone il significato. Come? Ovviamente ponendo la persona al centro, che non è più estensione del divino, ma individuo tra gli individui, in armoniosa connessione con la natura. Questo non è solo un’aspirazione, ma una realtà, naturalmente. Questo avviene perché i cinesi seguono un principio sulla compassione che la vista di un animale ferito può generare. Ed è a questo punto che la professoressa, ha proiettato un’immagine di una mano di un adulto di razza bianca che accoglie quella di un bambino nero africano evidentemente malnutrito con la scritta “I diritti umani hanno bisogno di un sentimento interiore ampiamente condiviso ma difficile da descrivere come sostegno”. Nessuna vergogna nel giocare la carta della pena, della pietas che dovrebbe generare una tale immagine. Occorre ripartire dalla comprensione e substrato emotivo della compassione dell’armonia perché siamo tutti soggetti connessi tra loro e con la natura.
Anche il contributo dei relatori italiani ed europei ha lasciato il segno. Secondo il norvegese Thore Vestby le scene di giubilo che vediamo alla fine dei congressi dell’Assemblea Nazionale della Repubblica Popolare Cinese a Pechino in cui tutti i delegati applaudono sono la dimostrazione che il sistema è in buona salute. Gli applausi, sinceri, segnano infatti il raggiungimento di un compromesso dopo faticosi negoziati, avvenuti a porte rigorosamente chiuse, e l’avvio del programma di lavoro per tutto il Paese. Morale: quello che avviene dopo le elezioni in Europa, in Cina avviene prima.
Matteo Carbonelli, docente di diritto internazionale all’università di Viterbo, ha attaccato l’universalità dei diritti umani e con essa la formula “diritti umani nuova generazione”, a vantaggio di una modernizzazione che deve comprendere tutti i diritti, senza superiorità, senza egemonie e senza prevaricazioni a danno dei Paesi più poveri.
Sono state poi menzionate la Dichiarazione di Stoccolma e la Convenzione di Aahrus per dimostrare che a livello ambientale la leadership è all’avanguardia e applica alla perfezione quanto stabilito da tali documenti.
A sostegno del goffo tentativo di un non meglio precisato negoziato tra la sfera occidentale e quella cinese è stato perfino invocata la categoria del Diritto Interculturale, che dovrebbe aiutare a trovare una fantomatica soluzione tra il diritto positivo, alla base di testi imprescindibili come la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, il diritto naturale che considera altre fonti di diritto a cui guarda chi ha obiettivi relativisti, antitetici, all’universalità.
Come vengano applicati i diritti umani con caratteristiche cinesi in Tibet, Xinjiang, Hong Kong, Taiwan, con i praticanti falun gong, rispetto ai cittadini rimpatriati dalle stazioni di polizia cinesi clandestine rimane un mistero.
Non è un mistero invece il ruolo dell’Università di Roma La Sapienza. Rimaniamo convinti sostenitori dell’universalismo, come affermato dal Presidente Mattarella il 10 dicembre 2021, in occasione della Giornata mondiale dei diritti umani: “Occorre oggi ribadire il carattere universale, inalienabile, indivisibile e interdipendente dei diritti umani, perché il loro godimento da parte di tutti è una condizione imprescindibile per uno sviluppo autenticamente sostenibile”.
Matteo Angioli