Petroleos de Venezuela SA, per gli amici, PDVSA: un tempo, una delle prime imprese petrolifere al mondo, quando il Venezuela era un Paese ricco, florido, democratico, e all’avanguardia nel settore estrattivo. Corposi sono stati per decenni i programmi sociali e assistenziali anche interni finanziati con i proventi di un’impresa che era così importante globalmente da fungere spesso da calmiere nei periodi caldi della geopolitica dell’energia. Oltre ai programmi sociali e assistenziali di PDVSA a beneficio degli impiegati (decine e decine di migliaia, negli anni d’oro), c’erano l’impresa gestiva anche un fondo pensioni alimentato con le quote versate dai dipendenti, un fondo ricco, abbondante, solidissimo fino a che PDVSA è stata la PDVSA che in tutto il mondo si conosceva.
Venne poi la devastazione chavista, con i cataclismi economici e sociali che ha provocato già pochi anni dopo l’inizio della “Revolucion bolivariana”; cataclismi da cui non si è certo salvato nemmeno il colosso statale venezuelano, anzi se possibile è proprio la distruzione del settore petrolifero e petrolchimico a rappresentare il migliore emblema del tragico fallimento del modello chavista, sul quale le sanzioni USA hanno inciso lievemente e comunque solo nell’ultimo quinquennio. Tra i danni collaterali provocati dal collasso di un intero Paese e del suo sistema produttivo nazionale, c’è anche il gigantesco debito che il fondo pensioni della statale petrolifera ha accumulato con i contributori. Un bubbone che risale almeno al 2015, da quando cioè PDVSA ha cominciato a non corrispondere il dovuto. Tanto per dare una dimensione del buco, secondo le cifre fornite da esperti ed associazioni dei danneggiati, stiamo parlando di più di 2 miliardi di dollari di debito con più di 40mila pensionati. 2 miliardi di dollari in un Paese in cui la vita dipende sostanzialmente dalla disponibilità di dollari in casa, visto l’altro grande emblema della piaga biblica chavista: il crollo del Bolivar, un tempo moneta solida e apprezzata nel settore valutario, oggi poco più -o forse, poco meno- che cartastraccia.
Per queste cifre spaventose, dietro alle quali si nascondono le storie di vita e di stenti di decine di migliaia di famiglie venezuelane, da anni si svolgono proteste in lungo e in largo nel Paese. E non mancano, come nel caso del video qui presentato, casi di rivendicazioni “estreme”: un gruppo di pensionati creditori del fondo di PDVSA annunciano lo sciopero della fame per ottenere il dovuto. Ad oggi, l’impresa pare abbia concesso un incontro con i pensionati per cercare di risolvere la questione. Ci permettiamo di essere poco ottimisti a riguardo.
Quale soluzione potrebbe mai inventarsi il regime di Maduro, di cui PDVSA è niente più che una longa manus? Difficile dare la colpa alle sanzioni per un problema nato e diventato ingestibile ben prima che piovessero le prime sanzioni commerciali sul potere chavista-madurista, quel potere che ha avvinghiato il Venezuela nella peggiore tragedia della sua storia (e senza dubbio, della storia dell’intero continente americano), ma che prometteva, ai suoi albori, un’era di godimento di diritti sociali e fine della povertà.
Andrea Merlo