Riceviamo e pubblichiamo un intervento di Ghzal Afshar, giovane esule iraniana e cittadina italiana costretta a lasciare il suo Paese per fuggire dalle persecuzioni del regime teocratico di Teheran che giustiziò il padre in quello che è conosciuto come il Massacro dell’88 quando, in una sola estate, furono uccisi oltre 30 mila prigionieri politici che combattevano in difesa dei diritti umani. Ghzal Afshar fa parte dell’ Associazione dei Giovani Iraniani in Italia.
Esattamente un anno fa, l’Iran è stato teatro di una notevole rivolta antigovernativa nazionale sfociata in seguito alla brutale morte della giovane curda Mahsa Amini per mano della cosiddetta “polizia morale”. La protesta iniziata a causa dell’obbligo dell’hijab è diventata rapidamente politica e mirava al destino dell’intero regime. Slogan come “Abbasso il dittatore”, “Abbasso Khamenei” e “Abbasso l’oppressore, sia esso lo Scià o il leader [Khamenei]”, sono stati uditi da quasi 300 città in tutte le 31 province dell’Iran.
Queste potenti parole riflettevano da subito il rifiuto popolare del regime teocratico nonché della dittatura monarchica precedente, la stessa che spianò la strada all’arrivo di Khomenei.
In pochi giorni, la rivolta divenne una tempesta di dissenso che investì ogni provincia e scosse nel profondo la teocrazia dominante. In risposta, il regime ha intrapreso una campagna per reprimere spietatamente la rivolta.
L’anno trascorso è stato inequivocabilmente caratterizzato da un lato dalla rivolta popolare e dall’altro dalla incessante repressione del regime. Tuttavia, quando contempliamo il futuro dell’Iran, sorge una domanda fondamentale: quale di queste forze determinerà, in ultima analisi, il destino della nazione? I mullah vogliono dare l’impressione che gli equilibri di potere siano tornati allo stato precedente alla rivolta. Ma le realtà quotidiane vissute dalle persone dipingono una narrazione nettamente contrastante: un’economia in bancarotta, un’inflazione sfrenata, una disoccupazione cronica e una discriminazione istituzionalizzata stanno contribuendo a creare una situazione in cui la società iraniana è pronta a scoppiare nuovamente.
Gli eventi di settembre 2022 hanno rivelato un malcontento diffuso che trascende la classe, la regione, la generazione e il genere. Le proteste erano guidate da donne. Le classi medie e basse scesero in piazza nei maggiori centri urbani e nelle città più piccole. E nonostante il tentativo quarantennale del regime di esercitare il controllo sulle università e di isolare giovani e studenti, questi hanno svolto un ruolo di primo piano nella rivolta, ricevendo spesso il sostegno risoluto dei concittadini. Ciò incarna il fervore della gente desiderosa di spodestare la teocrazia che, per oltre quattro decenni, è rimasta aggrappata al potere attraverso una brutale repressione.
Tuttavia, nonostante la sua brutalità, il regime non è riuscito a spegnere la scintilla delle proteste e le ragioni sono inoltre da ricercare nell’esistenza di una decennale resistenza organizzata. Resistenza che ha gradualmente guadagnato importanza all’interno del paese, in particolare grazie alle attività delle cosiddette “Unità di Resistenza” affiliate ai Mujahedin-e Khalq (MEK/PMOI) la cui influenza sul corso delle proteste divenne sempre più evidente. Documenti recenti provenienti dall’ufficio presidenziale del regime forniscono prove inequivocabili che le agenzie di intelligence hanno monitorato attentamente le attività delle Unità di Resistenza fin dall’inizio delle rivolte.
Negli ultimi mesi, i funzionari del regime hanno più volte sottolineato la questione definendoli “leader delle” proteste. Il 22 luglio, Mohsen Qalibaf, presidente del Parlamento e uno dei capi dei tre rami del regime, ha affermato: “Gli ipocriti [termine peggiorativo usato dal regime per screditare gli attivisti del MEK] hanno svolto il ruolo più significativo nell’organizzazione di questi eventi.” Gli analisti governativi hanno apertamente rifiutato qualsiasi silenzio riguardo alla questione nei media controllati dallo stato e hanno apertamente suggerito che è di fondamentale importanza per il governo.
Il 1° aprile 2023, il Segretariato del Consiglio Nazionale della Resistenza iraniana (coalizione politica democratica di organizzazioni e personalità dell’opposizione iraniana, fondata a Teheran nel luglio, di cui il Mek rappresenta il principale partito) ha riferito che, dall’inizio della rivolta fino al primo giorno del Capodanno iraniano (20 marzo 2023), non avevano ricevuto alcuna informazione riguardante la sorte di 3.626 individui appartenenti alle Unità di Resistenza affiliate al MEK. Questi dettagli sottolineano il ruolo fondamentale svolto dalla rete di resistenza all’interno del paese.
Questa alternativa duratura, con il suo programma completo in 10 punti guidato dalla signora Maryam Rajavi, ha ottenuto un sostegno e un riconoscimento significativi a livello globale. Negli ultimi mesi ha raccolto il sostegno di oltre 3600 parlamentari nella maggioranza di 61 parlamenti in 41 paesi, ottenuto l’appoggio di più di 125 ex leader mondiali, ricevuto il sostegno di 75 premi Nobel, nonché recentemente il sostegno di oltre 1000 donne dignitarie, tra cui ex capi di stato, vicepresidenti, primi ministri e ministri.
Gli analisti occidentali, colti di sorpresa dal profondo malcontento sociale, avrebbero potuto essere meno sorpresi se fossero stati in sintonia con i recenti sviluppi nella società iraniana. Dal dicembre 2017 si sono verificate diverse rivolte a livello nazionale, in costante aumento in frequenza, portata e inclusività sociale, mentre le richieste dei manifestanti sono diventate progressivamente radicali. Tutto ciò è aggravato dal fatto che il regime è deplorevolmente incapace di attuare grandi cambiamenti economici, politici o sociali. Sa che qualsiasi cambiamento sostanziale rischierebbe di sfuggire al controllo, intensificando il desiderio di autogoverno e libertà della popolazione e, in definitiva, accelerando la propria disintegrazione. Di conseguenza, il regime può fare affidamento solo su misure limitate e a breve termine per reprimere il dissenso o placare temporaneamente l’opinione pubblica. Non ha una strategia a lungo termine per evitare conflitti duraturi.
Khamenei è profondamente consapevole che una rivolta più ampia si profila all’orizzonte. Tuttavia, la sua risposta rimane limitata al consolidamento del potere all’interno dei ranghi lealisti, pronti a imporre future misure repressive. Ciò serve solo a rafforzare le richieste della gente per un cambio di regime globale, intensificando le tensioni sociali e ponendo le basi per una rivolta più devastante. Il popolo iraniano è risoluto nella ricerca della libertà.
L’Occidente deve ora ricalibrare le sue politiche, coerentemente con questa realtà, e abbandonare la politica di pacificazione. Dovrebbe astenersi dall’offrire concessioni al regime, designare il Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica come organizzazione terroristica e riconoscere il diritto inalienabile del popolo iraniano di resistere alla tirannia, permettendo così agli iraniani e alla resistenza organizzata di ottenere, autonomamente e senza interferenze esterne, la tanto attesa libertà!
Ghzal Afshar