Nel 1969 Naftalí Ricardo Reyers Basoalto, in arte Pablo Neruda, si candidò alla Presidenza della Repubblica del Cile. Nel 1971 prese il Premio Nobel per la Letteratura. Nel 1973 morì, a soli 69 anni. Nel 2023 si celebra appunto il mezzo secolo da quella morte, ma in una atmosfera strana. Da una parte, infatti, circola sempre più la tesi che sia stato avvelenato su mandato di Pinochet, che aveva appena preso il potere 12 giorni prima. La stessa famiglia se ne dice convinta (infobae.com). Dunque, anche lui come il presidente Salvador Allende e il cantante Victor Jara diventa una vittima iconica della dittatura. Allo stesso tempo, però, da alcuni anni Neruda è diventato bersaglio di una versione cilena del Me Too, per via di uno stupro da lui confessato nella sua autobiografia. Il movimento femminista in Cile è forte, e ciò ha fatto sì che il poeta celebrato all’estero continui a essere trascurato in Cile anche con l’attuale governo di sinistra di Boric, come lamenta la stessa Fondazione a lui dedicata ( infobae.com).
In effetti, quella della primavera cilena del 1969 era stata la più bizzarra delle campagne elettorali. Passando per case del popolo, Neruda non parlò quasi di programmi ma lesse poesie. Lo spettacolo andò avanti solo per tre mesi. All’inizio del 1970 annunciò il suo ritiro dalla candidatura cui era stato proposto dal Partito comunista del Cile (Pcch), a favore del socialista Salvador Allende. Se ne consolò l’anno dopo col Premio Nobel per la letteratura. Per conto di Allende, nel frattempo eletto, riprese la carriera diplomatica. Ma la interruppe per colpa del cancro che secondo la versione ufficiale lo stroncò il 23 settembre 1973: appunto, dodici giorni dopo il golpe di Pinochet, e nove giorni dopo aver terminato la sua autobiografia Confesso che ho vissuto (einaudi.it).
Il 23 settembre, però, a quanto si sa ora, tutto era pronto per la sua fuga (legrandcontinent). Già tre giorni dopo il colpo di stato, il 14 settembre 1973, la casa che condivideva con la moglie è stata saccheggiata da un gruppo di soldati (infobae.com). Il 19 è stato mandato in una clinica privata anche per metterlo al sicuro. Il 20 ha rifiutato l’invito dell’ambasciatore messicano a recarsi a Città del Messico. Ma poi la moglie lo ha convinto a accettare. Neruda le ha però chiesto di andare a prendere prima alcuni libri cui era particolarmente affezionato. Ma il 22 settembre lei viene informata che Pablo ha appena chiamato la vicina locanda Santa Elena: la casa non ha il telefono. “Torna subito, non posso più parlare”. Lei torna di corsa in clinica, e lo trova sconvolto per le notizie della gente che sta venendo ucciso nel golpe. Per calmarlo, gli iniettano un sedativo. Il pomeriggio successivo, domenica 23 settembre, Pablo dorme ancora. Quando comincia a muoversi, la moglie pensa che si stia finalmente svegliando dal letargo indotto dal rimedio del giorno prima. Un tremore gli percorre il corpo, raggiungendo il viso e poi la testa, che a sua volta ha delle convulsioni. Matilde si avvicina. Pablo non si è svegliato. È appena morto. I medici scrivono sul certificato di morte che Pablo Neruda è morto di cancro alla prostata, metastasi tumorali e cachessia – uno stato di estrema debolezza accompagnato da malnutrizione.
Ma nel 2013 e 2015 sono stati fatti esami sulla salma. Pur se non sono state trovate tracce di veleni, la seconda volta si riscontrarono proteine dubbie. Da qui una dichiarazione del governo cileno dell’epoca secondo cui è probabile che Neruda non sia morto “a causa del cancro alla prostata di cui soffriva”, e che “risulta chiaramente possibile e altamente probabile l’intervento di terzi”, concludendo che al paziente “fu applicata un’iniezione o gli fu somministrato qualcosa per via orale che ha fatto precipitare la sua prognosi in appena sei ore”. Uno studio dimostrerebbe ora che in effetti è stato avvelenato (infobae.com).
Eletto senatore nel 1945, Neruda era già stato costretto in esilio all’epoca in cui il Partito Comunista era stato già messo messo fuorilegge, tra 1948 e 1958. In quell’epoca era finito in Italia, come racconta il film con Massimo Troisi Il postino (dailymotion.com). Dunque, il sospetto di omicidio rilancia l’immagine del poeta martire. Però, appunto, nel contempo c’è quella dello stupratore, per cui il movimento femminista cileno ha ad esempio bloccato una proposta per intitolargli l’aeroporto di Santiago. Le cose sono arrivate a un punto tale che ha sentito il bisogno di prendere le sue difese Salvador Allende. “Se ci mettiamo a tagliare teste, non resterà più nessuno”, ha detto durante la presentazione del suo romanzo Violeta (feltrinellieditore.it). Forse per saldare un antico debito. Lei stessa ha infatti raccontato che da giovane era stata contattata dal poeta. La convocò, le disse che seguiva con attenzione i suoi articoli, e sparò: “lei deve essere la peggior giornalista di questo paese, figliola. È incapace di essere obiettiva, si mette al centro di tutto, e sospetto che mente abbastanza, e quando non ha la notizia, la inventa. Perché non si dedica piuttosto a scrivere romanzi? Nella letteratura questi difetti sono virtù”.
In teoria terrificante: ma i due la presero a ridere, divennero amici, lei seguì il consiglio, ed in effetti divenne un grande fenomeno editoriale. Un esempio di fusione tra tecniche di letteratura di genere e la lezione dei grandi del Boom latino-americano, che può far arricciare il naso a chi i libri di García Márquez, Vargas Llosa o Cortázar li ha letti, e che però offre effettivamente qualcosa di molto più articolato del solito a un pubblico di lettori e soprattutto lettrici spesso al livello di Collana Harmony.
Il fatto è che prima darsi alla politica e di emergere come poeta Pablo Neruda era stato diplomatico, e come ricordato con Allende lo sarebbe ridiventato per un paio di anni, dirigendo tra 1970 e 1972 l’ambasciata a Parigi. Tra anni ’20 e ‘30 era stato console tra Giava, Birmania e Ceylon. A suo dire, soprattutto per mettere la firma a cospicue spedizioni di tè, di cui i cileni sono tradizionalmente grandi consumatori. Tè e pane era in Cile la tradizionale cena di chi era troppo povero per permettersi due pasti al giorno. Nella sua autobiografia Confesso che ho vissuto (amazon.it) racconta appunto di quando era console del Cile a Colombo, e stava in un bungalow il cui gabinetto scaricava in “un semplice cubo di metallo sotto il buco rotondo”.
“Il cubo ogni giorno, di buon mattino, riappariva pulito senza che riuscissi a capire come sparisse il suo contenuto. Una mattina mi ero alzato più presto del solito. Rimasi sbalordito vedendo cosa stava succedendo. Dal retro della casa, come una statua scura che camminava, entrò la donna più bella che avessi fino a quel momento visto a Ceylon, di razza tamil, della casta dei paria. Era vestita di un sari rosso e dorato, della tela più ruvida e grossolana. Sui piedi scalzi, portava pesanti cavigliere. Ai lati del naso le brillavano due puntini rossi. Saranno stati fondi di bicchiere, ma su di lei parevano rubini. Si diresse con passo solenne verso il gabinetto, senza neppure guardarmi, senza curarsi della mia esistenza, e scomparve con il sordido recipiente sulla testa, allontanandosi con il suo passo da dea”.
Colpo di fulmine! “Era così bella che malgrado il suo umile lavoro mi lasciò turbato. Come se si trattasse di un animale scontroso, venuto dalla giungla, apparteneva a un’altra vita, a un mondo separato. La chiamai senza risultato. Poi qualche volta, sulla sua strada, le lasciai qualche regalo, seta o frutta. La donna passava senza sentire né guardare. Quel tragitto miserabile era stato trasformato dalla sua oscura bellezza nella cerimonia obbligatoria di una regina indifferente. Un mattino, deciso a tutto, l’afferrai per un polso e la guardai faccia a faccia. Non c’era nessuna lingua in cui potessi parlarle. Si lasciò guidare da me senza un sorriso e a un tratto fu nuda sul mio letto. La sottilissima vita, i fianchi pieni, la traboccante coppa del seno, la rendevano identica alle millenarie sculture del Sud dell’India. Fu l’incontro di un uomo e di una statua. Rimase tutto il tempo con gli occhi aperti, impassibile. Faceva bene a disprezzarmi. L’esperienza non venne più ripetuta”.
Molto letterario, in realtà, e a quanto ne possiamo sapere potrebbe benissimo essere stata inventata. Ma, insomma, è la confessione di uno stupro. Uscita postuma nel 1974, quindi ormai senza più possibili conseguenze penali. Ma era stata di fatto come dimenticata, e nel 2016 dopo l’esumazione era stato anzi fatto un nuovo funerale che era stata una celebrazione del poeta probabile martire. Proprio su quell’ondata emotiva nel novembre del 2018 era venuta dalla Camera la richiesta di intitolargli l’aeroporto della capitale. Ma nell’ottobre del 2017 dal caso Weinstein era intanto montato il movimento Me Too, e il poeta da allora ne è stato investito in meno.
“Forse la cosa più saggia sarebbe che la storia venisse insegnata come dovrebbe essere insegnata, non solo come raccontata dal vincitore, che di solito è l’uomo bianco, ma come raccontata dagli sconfitti, le voci silenziate, che sono quelle che devono essere portate nei testi di storia”, ha detto dunque Isabel Allende. “Ma non puoi sempre eliminare quei simboli che ci ricordano quel passato, puoi piuttosto rivedere quel passato”. Nel dettaglio: “Neruda confessa di aver violentato una donna e le femministe cilene vogliono eliminare Neruda, ma una cosa è l’uomo che sbaglia, e tutti sbagliamo, e un’altra cosa è il lavoro”. “Se nel caso di un artista come Neruda vogliamo mantenere quello che ha fatto, rivediamo la sua vita privata, ma non eliminiamo tutto, perché altrimenti nessun burattino rimarrà con la testa”. Consiglio dunque ai Cancel Culture: “non eliminiamo la storia, andiamo a rivederla in modo che sia raccontata come dovrebbe essere raccontata”.
Troisi a parte, sono stati fatti film sia sul Neruda perseguitato nel 1948 (rtve.es), sia su quello stupratore del 1929 (netflixmovies.com). Ma la tensione tra il martire e lo stupratore non è peraltro l’unica nella figura di Neruda. Cantore dello stalinismo nel Canto general (amazon.it), si era poi candidato contro Allende alle primarie di Unidad Popular in una chiave di moderatismo togliattiano contro estremismi che poi avrebbero infatti perso Allende. Confesso che ho vissuto definisce il presidente
appena morto “il più grande cileno del secolo”, ma a leggere bene tra le righe dell’elogio qualche dubbio trapela. “Allende non è mai stato un grande oratore. E come statista era un governante che chiedeva consiglio per tutte le misure che prendeva. Fu un antidittatore, il democratico per principio fin nei minimi particolari”. Potrebbe essere pure un modo elegante per dire che non controllava più nulla…
Andando su versante letterario, una cosa che è stata pure ora di nuovo rilevata è la sua antipatia con Jorge Luis Borges (infobae.com), peraltro abbondantemente ricambiata. In effetti, la sua poesia è una delle due chiavi di evoluzione rispetto a un modello Whitman di cui l’altra era Borges, ma i due si detestavano, e il racconto L’Aleph (adelphi.it) è anche una gran presa per i fondelli del Canto General. Il racconto di un misterioso oggetto sferico- a sua volta per ammissione dello stesso Borges ispirato al racconto di Herbert George Wells L’uovo di cristallo – che permette come una telecamera di affacciarsi con la vista in tutti gli angoli del mondo, e che il mediocre poeta Carlos Argentino Daneri utilizza per documentarsi nel comporre un prolisso e tedioso poema in cui vorrebbe “mettere in versi tutta la rotondità del pianeta”. “Nel 1941 già aveva sbrigato alcuni ettari dello stato di Queensland, più di un chilometro del corso dell’Ob, un gassometro a nord di Veracruz, le principali ditte commerciali della parrocchia della Concezione, la villa di Mariana Cambaceres de Alvear in via Undici Settembre, in Belgrano, e uno stabilimento di bagni turchi posto non lungi dal ben noto acquario di Brighton”.
Ma, sul punto, Sul punto, merita di essere ricordato quel che scrisse Francesco Varanini (francescovaranini.it) nel suo Viaggio letterario in America Latina (libraccio.it). Appunto, “entrambi si rifanno a Whitman, le sue Foglie d’erba intese come testo protostorico, catalogo, enumerazione, prima e mitica descrizione dell’universo americano, ovvero della nuova nazione, della nuova società. Ma il modello è rivisitato dai due in modi opposti. Borges guarda il tempo con occhio metafisico, e legge la storia come paradossale coacervo di contraddizioni: le riflessioni sul Tempo Circolare e sull’Eterno Ritorno sono anche elaborazioni del lutto di fronte all’evidente, irrimediabile assenza di sorti magnifiche e progressive per la patria latinoamericana. Neruda, trionfalistico e ridondante, incurante delle contraddizioni della storia, delle sue pieghe paradossali, crea un mondo possibile manicheo e colorato, retto da una escatologica certezza: il futuro dell’America Latina sta nel Socialismo, e il Socialismo trionferà. La retorica di Borges è fondata sull’ellissi, sull’understatement, sull’allusione. La retorica di Neruda è fondata sull’esplicitazione del dettaglio, sulla accurata oggettivazione. Borges si propone come Autore vicario di testi altrui. Autore forse inesistente, presenza ambigua. Neruda si impone come guida intellettuale, maestro di indiscutibile autorità letteraria e morale. Il rapporto di cooperazione interpretativa instaurato da Borges con i suoi lettori si basa sul chiamare questi ultimi a riempire i vuoti di un testo di cui sono proposte solo l’ossatura e la sintesi. Neruda, in cambio, si propone di suscitare nel lettore meraviglia per la superiore capacità di accumulazione di immagini, la ricchezza del vocabolario, per la sua totale copertura, attraverso la parola, di un universo tematico — o meglio: di un’area geografica, l’America Latina”.
Insomma, due gemelli nemici. “Le Obras di Borges si presentano come tessere sparse di un ipotetico mosaico. Il Canto general si presenta come un quadro chiuso, esaustivo. Borges si rifà formalmente a Whitman, mutuandone la tecnica dell’enumerazione caotica. In Neruda l’enumerazione — retta da un disegno strategico, finalizzata a intenti apologetici — non è più caotica. Il risultato è un testo che non lascia spazio all’espressione dell’inconscio, non è flusso di coscienza. È, all’opposto, scrittura asservita a un rigoroso progetto, a una pedagogia delle masse. Borges allude all’Argentina e all’America centrando la sua attenzione su alcuni luoghi, solo alcuni luoghi, e lascia al lettore il compito di riempire i vuoti, di ricostruire un’immagine complessiva del mondo. Così Buenos Aires è segno e ricapitolazione di ogni città, e la Pampa è il simbolo che rappresenta tutta l’America vergine. Neruda descrive invece con accanimento ogni luogo: a ogni regione del Cile, a ogni repubblica latinoamericana è dedicato un non casuale numero di versi, una calcolata serie di aggettivi”.
Alla fine, però, non è questo il Neruda che è restato. Soprattutto, il creatore di una grande epica politica è oggi amato soprattutto come autore di poesie d’amore (amazon.it): oltre che per quelle Odi elementali che celebrano il gatto, la cipolla, il pomodoro o il carciofo (lafeltrinelli.it).
Maurizio Stefanini