In occasione della ricorrenza del 90° anniversario della fondazione della prestigiosa Rivista Studi Politici Internazionali (RSPI) diretta dalla professoressa Maria Grazia Melchionni, Jean Monnet Chair of History, si è svolto un colloquio interdisciplinare intitolato “La ricerca di un ordine mondiale condiviso”.
Il tema proposto suggerisce anzitutto di valutare se un “ordine mondiale condiviso” possa corrispondere a quel “nuovo ordine” voluto dalle “potenze revisioniste” dell’attuale sistema internazionale, come le ha definite alcuni anni prima dell’aggressione russa all’Ucraina il professor Michael Mandelbaum in “The Rise and Fall of Peace on Earth”.
Da un lato si deve infatti constatare come la realtà geopolitica sia in rapidissima evoluzione e richieda trasformazioni e adattamenti di grande portata.
Dall’altro un ordine mondiale veramente condiviso deve garantire la pace, la sicurezza, il progresso economico e sociale per l’umanità intera. Non fanno invece che addensarsi i pericoli del “revisionismo” rivoluzionario e dogmatico, di Russia, Cina, Iran, e dei loro “satelliti” (Corea del Nord, Siria, Venezuela, Bielorussia) sia solo foriero di ancor più estese catastrofi.
Soprattutto se continueranno a prevalere in parti del mondo autocrati e dittatori assetati di potere assoluto, di ricchezze illimitate e non certo di giustizia, libertà, progresso e benessere.
La stragrande maggioranza dei paesi delle Nazioni Unite si è già espressa più volte, e ancora in questi giorni, in sostegno della inderogabile necessità di rispettare lo Statuto delle Nazioni Unite. Negli ultimi diciannove mesi, i tre quarti dell’Assemblea Generale ONU ha condannato nettamente la Russia, la sua aggressione all’Ucraina, chiedendo l’immediato ritiro delle forze di invasione.
D’altronde, è illusorio pensare che il “revisionismo” rivoluzionario e dogmatico di tali Paesi inclini all’uso indiscriminato della forza, a perpetrare crimini contro l’umanità, massacri genocidari contro intere popolazioni, ad eliminare oppositori politici, a censurare l’informazione, a manipolare la conoscenza, possa ormai trasformarsi come per miracolo in aperture al dialogo, al riconoscimento pacifico delle controversie, al pluralismo democratico, e alla libertà; se i fautori di “un nuovo ordine mondiale” sono leaders come Putin, Xi Jinping, Raisi, Assad, Kim Jong-un, Maduro, Lukashenko e altri autocrati e dittatori assetati di potere assoluto e di ricchezze illimitate, non certo di giustizia, libertà, progresso e benessere per i loro popoli.
Non è in questa direzione che si muove, da parte delle democrazie liberali dell’Occidente, la “ricerca di un ordine mondiale condiviso”. Né tale è la visione, la storia, l’impegno politico, la cultura della realtà euro-atlantica. Non solo l’Ucraina e i Paesi europei che la sostengono, ma anche la Federazione Russa e i governi vicini a Mosca, come Cina, Corea del Nord e Iran, vivono dal 24 febbraio 2022 in un mondo radicalmente diverso da quello che esisteva prima. Diverso per un vasto spettro di criticità geopolitiche, economiche, migratorie e in risposta alle sfide globali del clima, dell’ambiente, della salute, della tecnologia, che l’aggressione contro l’Ucraina e contro l’Europa non fa che aggravare.
Le modalità che saranno scelte per giungere alla pace condizioneranno profondamente il futuro dell’Europa, la sua sicurezza e ruolo globale. Così come, tali modalità, influiranno sulla convinzione maturata dai regimi autoritari e illiberali di poter continuare a negare i Diritti Umani, lo Stato di Diritto, la libertà dei loro cittadini e anche di altre nazioni.
La guerra potrà veramente finire solo con la certezza che non vi saranno impunità nel perseguire tutti i gravi crimini internazionali commessi da forze militari o paramilitari della Russia. Si tratta di questione di importanza esistenziale per gli Stati e le Istituzioni europee; più in generale, per l’intera Comunità internazionale.
Si deve innanzitutto porre termine all’aggressione dimostrando che la Russia di Putin ha fallito. Il costo per l’aggressore deve continuare a crescere attraverso il sistema sanzionatorio, il sostegno militare, economico e finanziario a Kiev; così come devono essere sempre più strette e visibili la coesione e la solidarietà occidentale concreta con l’Ucraina: denunciando e perseguendo giudiziariamente le stragi dei civili, la distruzione delle infrastrutture e dell’economia del Paese, e realizzando progressi tangibili nell’adesione dell’Ucraina alla NATO e all’Europa.
Una dimensione molto importante riguarda la giustizia, il ruolo dei paesi europei nel sostenere i team investigativi ucraini e internazionali, nonché le relazioni della Corte Penale Internazionale e delle giurisdizioni universali degli Stati che ne dispongono. Non può essere diversamente se leggiamo anche oggi cosa è la Russia di Putin con le tragiche parabole di oppositori come Boris Nemtsov e Alexei Navalny, avvocati come Sergei Magnitsky, giornaliste come Anna Politkovskaja, Natalia Estemirova, il nostro connazionale Antonio Russo e Vladimir Kara Murza, attualmente detenuto in un carcere siberaino, oppure l’ex agente del KGB Alexander Litvinenko che, dopo aver lasciato il servizio, era divenuto critico dell’agenzia gestita da Putin.
La capacità europea e occidentale di perseguire a tutti i livelli gli autori dei crimini avrà un effetto assai rilevante nel dare una chiara definizione di ruolo e di prospettiva per l’Unione Europea nella mutata realtà internazionale del post 24/2/22. Un ruolo che l’UE deve dimostrare sin da ora di esercitare da portatore e protagonista di una comunità di valori condivisi nella quale l’Ordinamento giuridico, i poteri politici, le società civili nel loro insieme, diventino efficaci fautori nell’affermazione universale dello Stato di Diritto e dei Diritti Umani.
La “accountability” che sapremo ispirare alle narrative di ciò che avviene nel mondo, alle nostre società e opinioni pubbliche, attraverso la diplomazia e l’azione dei Governi, deve contribuire a dissuadere in futuro e risolvere nel presente qualsiasi ulteriore aggressione contro l’Europa od ovunque nel mondo.
La fine delle ostilità e una pace giusta riguarderà certamente il futuro dell’Ucraina: un grande, valoroso, importante Paese che merita a pieno titolo di entrare nell’UE e nella NATO, contribuendo ad una nuova, condivisa architettura Euro-Atlantica di sicurezza.
L’Alleanza Atlantica e l’Unione Europea devono essere le vere “pietre d’angolo” di una costruzione regionale e globale capace di affrontare le sfide della sicurezza e dello sviluppo, dell’emigrazione, del clima, dell’ambiente, dell’emigrazione, della salute, della sicurezza alimentare, di un progresso tecnologico rivolto al progresso umano e non alla manipolazione cognitiva dei poteri autocratici.
Per questi motivi l’allargamento a un Paese – l’Ucraina – vittima dell’aggressione russa, deve essere manifestato in modo aperto e coeso sia dai membri dell’Alleanza Atlantica e dell’UE. Prendendo favorevolmente atto delle riforme già compiute, così come quelle in via di definizione per rispondere agli obiettivi dello Stato di Diritto, che interessano anche i Paesi dei Balcani Occidentali e gli altri candidati e aspiranti.
Il conflitto in Ucraina rappresenta uno spartiacque come il crollo del muro di Berlino. Non c’è spazio per tentennamenti nel proseguire il processo di adesione all’UE. Per l’Ucraina si renderebbero più concrete le opportunità di ricostruire il Paese. Grazie all’imminente presidenza del G-7, l’Italia può svolgere un ruolo di primo piano. Completare il processo di adesione all’Unione significa incardinare saldamente in tutti i Paesi che faranno parte dell’UE, lo Stato di Diritto, la lotta alla corruzione, la libertà dei media, il libero mercato.
A mio avviso, dobbiamo superare la proposta franco-tedesca di 12 professori su un’Europa a cerchi concentrici motivata da una presunta mancanza di volontà e/o capacità di certi Stati europei ad aderire all’UE nel prossimo futuro. Secondo i rapporteur è preferibile una forma di integrazione più flessibile, più blanda, organizzata attorno a 4 cerchi.
Occorre molta cautela nel promuovere un simile assetto per due ragioni:
1) Per quanto flessibile, la formula dei quattro cerchi cristallizza, formalizza la diversità e disparità di trattamento tra Stati membri, creando membri di serie A, serie B, serie C e serie D, e una frammentazione su cui la Russia ed altri Stati ostili possono insistere a loro vantaggio, soprattutto in termini economici e di sicurezza.
2) L’assetto più flessibile, dove il primato resta quello dell’economia, spinge l’Unione in una direzione opposta a quella concepita dai padri fondatori, fortemente politica e basata sulla democrazia liberale. Esso promuove inoltre e un connotato informale che trova una inquietante sintonia con il nuovo ordine mondiale perseguito dalla Cina, non fondato su regole condivise ma sulle capacità economico-finanziarie e sulla proiezione del proprio potere contro gli altri Stati. Assai discutibile inoltre, in questo nuovo ipotetico quadro istituzionale, un processo di adesione che avanzi in maniera reversibile, conferendo al tutto un insidioso grado di incertezza e indeterminatezza.
I rapporti con la Russia continueranno, anche dopo la fine del conflitto, a costituire un aspetto vitale per la sicurezza, l’economia, gli equilibri geopolitici in Europa e nel mondo. Tutto ciò riguarda prima di tutto il popolo russo. Ma dobbiamo essere consapevoli che la fiducia nella Russia del post Guerra Fredda è stata infranta con l’aggressione all’Ucraina così come, ripetutamente, nella storia europea del Secolo scorso, con l’annessione dei Paesi Baltici, la spartizione della Polonia, gli orrori delle deportazioni di massa, dei genocidi come l’Holodomor in Ucraina e altri misfatti.
Purtroppo, la credibilità di Mosca, con il 24/2/22, si è nuovamente intaccata nel modo più grave. Ricostruire un rapporto di fiducia sarà assai arduo. Le democrazie liberali dell’Occidente devono avvertire la consapevolezza di sentirsi ancor più impegnate, in modo coeso e solidale, in una “rifondazione” della sicurezza europea. Questo può accadere solo a tre condizioni.
1) Dimostrate coesione e solidarietà quando si affrontano sfide divisive come l’immigrazione o l’energia. In Africa come in America Latina e in Asia, non dobbiamo mai stancarci di affermare una legalità internazionale basata sull’universalità dello Stato di Diritto e dei diritti umani. È questo l’“Ordine mondiale condiviso” che desideriamo.
2) Sono indispensabili chiarezza, coerenza e anche assertività sui valori identitari della comunità euro-atlantica: solidarietà, responsabilità, tutela e promozione dei Diritti Umani.
3) L’impegno finanziario da riservare alla Difesa e alla Sicurezza dei nostri popoli e della loro libertà è imprescindibile.
Occorre inoltre una marcata rimodulazione del sistema societario delle Nazioni Unite che si adatti alle nuove realtà post 24/2/22, alle mutate dinamiche geopolitiche, economiche, demografiche e tecnologiche che hanno caratterizzato sì gli ultimi 20 anni, ma che si sono ulteriormente accelerate con l’aggressione russa all’Ucraina.
L’impostazione di fondo deve anche concentrarsi sulle variazioni di influenza degli Stati membri delle Nazioni Unite e nelle altre organizzazioni globali e regionali. In base a criteri precisi anzitutto per quanto riguarda l’attenzione per lo Stato di Diritto a livello nazionale e globale.
Se dovesse accadere diversamente, qualsiasi ricostruzione o ammodernamento sistemico dell’“ordine internazionale”, lascerebbe il tempo che trova perché sarebbe fondato sulla sabbia dell’inaffidabilità di quanti negano il principio “pacta sunt servanda”.
Sen. Giulio Terzi di Sant’Agata