Anche la Bielorussia deporta bambini ucraini nel suo territorio. Il 17 marzo la Corte Penale Internazionale, di cui Mosca non riconosce la giurisdizione, aveva emesso mandati di arresto contro il presidente russo Vladimir Putin e la commissaria russa per i diritti dei bambini Maria Lvova-Belova, accusandoli del “crimine di guerra di deportazione illegale di popolazione (bambini) e di trasferimento illegale di popolazione (bambini) dalle zone occupate dell’Ucraina alla Russia». In risposta a questa decisione tre giudici della Cpi e il procuratore Karim Khan sono stati incriminati da Mosca con varie accuse, tra le quali “attacco a un rappresentante di uno Stato estero sotto protezione internazionale con lo scopo di complicare le relazioni internazionali” e l’incriminazione di “una persona che si sa innocente”. Ma anche la Bielorussia, primo alleato di Mosca nella guerra in Ucraina, è coinvolta in questa pratica illegale, che potrebbe costituire un crimine di guerra.
In totale, più di 2.150 ucraini di età compresa tra 6 e 15 anni che vivono in aree occupate dalla Russia sono stati deportati in Bielorussia dall’inizio dell’invasione russa nel febbraio 2022. Lo denuncia Le Monde citando documenti ufficiali bielorussi e le indiscrezioni raccolte dall’oppositore bielorusso Pavel Latushko, capo del gruppo di Gestione nazionale anticrisi (lemonde.fr). Questo ex membro del regime, condannato a marzo a diciotto anni di carcere in contumacia a Minsk durante un processo farsa, ha trasmesso il 27 giugno alla Cpi le prove del coinvolgimento della Bielorussia in questi sfollamenti forzati.
Anche il presidente bielorusso Alexander Lukashenko potrebbe dunque essere oggetto di un mandato di arresto. La storia dei 2150 bambini ucraini deportati è una delle motivazioni per cui il Parlamento Europeo cha chiesto il suo arresto per crimini di guerra (it.euronews.com). Una risoluzione votata riconosce ufficialmente il regime del presidente bielorusso Alexander Lukashenko come “complice dei crimini di guerra” dell’omologo russo Vladimir Putin. Lukashenko ha consentito “l’ingiustificata guerra di aggressione della Russia contro l’Ucraina” e quindi è responsabile “della distruzione e dei danni causati” al Paese attaccato da Mosca, si legge nel documento. Un futuro tribunale internazionale sui crimini di aggressione russi dovrà quindi indagare anche sulla leadership di Minsk, afferma il documento di Strasburgo invitando gli stati dell’Unione a “intraprendere tutte le azioni necessarie” affinché i funzionari bielorussi possano essere perseguiti. Il Parlamento Europeo ha inoltre condannato la Croce rossa bielorussa per il suo coinvolgimento. La risoluzione definisce inoltre la Bielorussia uno “Stato satellite della Russia”; chiede all’Ue di applicare contro Minsk le stesse sanzioni che attualmente applica contro Mosca; afferma che Russia e Bielorussia dovrebbero essere inseriti nell’elenco Ue dei paesi terzi ad alto rischio di riciclaggio di denaro e di finanziamento del terrorismo; si pronuncia per il boicottaggio degli atleti di entrambi i Paesi.
Nel frattempo, la repressione continua. Con un processo a porte chiuse a Gomel, dopo otto mesi di detenzione, la giornalista e documentarista bielorussa Larysa Shchyrakova è stata condannata a tre anni e mezzo, che dovrà scontare in una colonia penale di massima sicurezza. Inoltre, dovrà pagare una multa di 3500 rubli bielorussi (odg.it). L’accusa, nei suoi confronti, è “raccogliere, creare, elaborare, archiviare e trasmettere informazioni” per il principale centro per i diritti umani della Bielorussia, Viasna, nonché per il canale televisivo Belsat, che il governo, guidato dal dittatore Lukashenko, considera “organizzazioni estremiste”. Nel denunciare la cosa l’Ordine dei Giornalisti ha sottolineato che proprio in ciò per cui è stata condannata consiste l’essenza del lavoro di una cronista. A Larysa è stato inoltre tolto il figlio, prima messo in un orfanotrofio e poi affidato all’ex marito. In Bielorussia sono 33 i giornalisti e le giornaliste dietro le sbarre, insieme ad altri 1500 prigionieri politici, fra cui il premio Nobel Ales Bialiatski.
Maurizio Stefanini