Israele, il diritto di difendersi e l’Occidente.
Israele ha smentito la notizia di un accordo di cessate il fuoco umanitario di alcune ore per consentire l’ingresso di aiuti a Gaza e l’apertura del valico di Rafah, al confine con l’Egitto.
Il quotidiano Italia Oggi riporta la nota dell’ufficio del Primo Ministro israeliano, Benjamin Netanyau, rilanciata dai media locali, nella quale si dice che «Al momento non esiste un cessate il fuoco per gli aiuti umanitari nella Striscia di Gaza e per l’uscita degli stranieri».
Nel mentre, si susseguono incontri diplomatici e contatti tra le principali agenzie di intelligence, dagli Stati Uniti agli Emirati Arabi Uniti, dalla Turchia all’Egitto passando per Turchia, Qatar, Italia, Regno Unito, Svizzera.
L’Italia sta fornendo la propria consulenza, affiancando gli esperti americani con la propria didattica e le capacità multiruolo, in particolare relative a negoziazione e infiltrazione.
Queste skills nella liberazione di ostaggi e in altri interventi richiedono un livello altissimo di preparazione circa la precisazione degli obiettivi da raggiungere, nell’ottica di ridurre quanto più possibile il rischio di danni collaterali.
Intanto, il Medio oriente è in totale fibrillazione, mentre Washington cerca una mediazione possibile tra il diritto di Israele a rispondere all’aggressione operata da Hamas, la liberazione degli ostaggi catturati dai palestinesi e la tutela degli stessi abitanti di Gaza, usati puntualmente dai terroristi come scudi umani.
Una gestione degli ostaggi assai complicata, vista la eterogeneità di questo gruppo terroristico sunnita e l’influenza dell’Iran sciita e della Russia sulla galassia di sigle politiche palestinesi e sul terrorismo islamico nella regione.
L’Iran – con una precisa regia internazionale – sta minacciando Israele di un’escalation in tutta la regione se l’esercito israeliano entrasse a Gaza per un’invasione di terra.
Il Ministro degli Esteri iraniano Hossein Amir- Abdollahian ha dichiarato ad Al Jazeera che «Se le misure volte a fermare immediatamente gli attacchi israeliani che stanno uccidendo bambini nella Striscia di Gaza finiscono in un vicolo cieco, è altamente probabile che si apriranno molti altri fronti. Questa opzione non è esclusa e sta diventando sempre più probabile».
Questo mentre si registra una frattura sostanziale tra Occidente e Oriente. Da un lato l’Occidente (il G7 nel suo insieme) appoggia Israele, pur in presenza di alcune fisiologiche sfumature diplomatiche; dall’altro vi sono Stati più vicini alle posizioni di Iran, Russia e Cina, per motivazioni che sono più geopolitiche e religiose che umanitarie.
Due dossier che stavano investendo direttamente anche gli ultimi mesi della presidenza di Joe Biden erano il nucleare iraniano e quello saudita, ossia due progetti ormai destinati a restare inattuati, mentre la macchina bellica americana è pronta per sostenere Gerusalemme.
Jake Sullivan, il Consigliere per la Sicurezza Nazionale, in un’intervista alla CBS ha affermato che «La minaccia è reale. C’è il rischio di un’escalation di questo conflitto, dell’apertura di un secondo fronte nel nord e ovviamente del coinvolgimento dell’Iran. Dobbiamo prepararci ad ogni evenienza».
Nel G7 fa eccezione il Giappone che, pur essendo un alleato stretto degli Stati Uniti, sta ancora elaborando una propria politica diplomatica in Medio Oriente. Tokyo è dipendente in gran parte dal Medio Oriente per il petrolio e non vuole attriti con i Paesi della regione, in particolare con l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti, a loro volta impegnati – fino a pochi giorni fa– nel miglioramento dei rapporti con Israele.
L’Arabia Saudita ha annunciato oggi per bocca del suo Ministro degli Esteri che respinge «categoricamente» qualsiasi spostamento della popolazione di Gaza, condannando il bombardamento israeliano dei «civili indifesi».
La Cina ha detto che le azioni di Israele sono andate «oltre l’ambito dell’autodifesa» e che il governo israeliano deve «cessare la punizione collettiva del popolo di Gaza»; Pechino, inoltre, ha chiesto a tutte le parti «una de- escalation e di tornare al tavolo del negoziato il prima possibile».
Pechino ha un rapporto privilegiato con l’Iran, la cui leadership religiosa sostiene sia Hamas che Hezbollah, il gruppo militante libanese sciita che potrebbe aprire un secondo fronte contro Israele.
Tutti parlano di pace, tutti si sentono legittimati ad avviare negoziati, persino Mosca, che in questo momento, nella regione di Donetsk in Ucraina, sta martellando di bombe Avdiivka – la nuova Mariupol – una cittadina che prima della guerra contava 30mila abitanti e oggi poco più di 1.600.
Per Putin, aggressore dell’Ucraina e a capo di una nazione genocidaria che il Parlamento europeo ha classificato come «Stato terrorista», la città di Gaza «è come Leningrado» assediata dai nazisti durante la Seconda Guerra Mondiale.
Putin sta equiparando fattualmente Israele ai nazisti di Hitler, ricorrendo per l’ennesima volta alla retorica della guerra patriottica sovietica.
Ma contro il diritto di Israele a difendersi si è schierato pure il Presidente dell’Egitto, Abdel Fattah al Sisi, il quale ha dichiarato che la reazione di Gerusalemme all’attacco perpetrato da Hamas lo scorso 7 ottobre «è andata oltre l’autodifesa e si è trasformata in una punizione collettiva». Una definizione precisa, quest’ultima, su cui tornerò nelle conclusioni.
Il Presidente turco Recep Erdogan, durante una conferenza trasmessa dalla televisione di Stato TRT, si è disallineato dagli alleati della NATO: «Non ci può essere spiegazione per gli attacchi a Gaza, che hanno raggiunto il livello di un massacro».
In ogni caso, nessun Paese arabo si è reso disponibile ad accogliere i civili palestinesi che stanno cercando di fuggire.
Israele li ha incoraggiati a lasciare Gaza e ha detto a coloro che vivono nel nord della città di evacuare verso sud, ma Hamas sta impedendo loro di andarsene.
Ho riportato appositamente alcune dichiarazioni ufficiali, perché esse aiutano a comprendere come alcuni Stati (Cina e Russia in testa, ma anche Iran e Turchia) stiano usando il tema del Diritto internazionale e in specie la condizione degli abitanti di Gaza per un riallineamento strategico, in virtù del fatto che i temi classici del Panarabismo ideologico e del Terzomondismo risultano come sempre perfetti per tentar di recuperare credibilità internazionale, soprattutto in funzione antioccidentale.
Una credibilità che Mosca e Pechino hanno perduto con l’attacco all’Ucraina e la conseguente condanna da parte della comunità internazionale.
Per dare una definizione classica, si può dire che il Diritto internazionale umanitario abbia per scopo soprattutto la protezione di civili e di infrastrutture civili, cercando di coniugare due ragioni tra loro in contrasto: la necessità militare e il principio di umanità. Un esercizio sempre difficile, in cui si misurano la politica e la diplomazia.
E questa difficoltà appare tanto più evidente nell’applicazione pratica del principio di proporzionalità del diritto alla difesa, che si estrinseca principalmente con mezzi armati e che affronteremo a breve.
Abbiamo registrato le dichiarazioni egiziane, saudite, turche, cinesi.
Ma davvero Israele non è legittimata a difendersi? E con quali mezzi può farlo?
L’esperto legale Mark Goldfeder, consulente speciale per gli affari internazionali presso l’American Center for Law and Justice, ha spiegato perché l’assedio di Gaza da parte di Israele è legale secondo il Diritto internazionale e non rappresenta una «punizione collettiva». Breitbart News Network ha riportato alcune sue riflessioni.
Goldfeder ha esposto tre principi che si applicano nel Diritto internazionale: «distinzione, necessità militare e, per l’appunto, proporzionalità». «Distinzione» significa che i combattenti non dovrebbero lanciare attacchi militari che prendano intenzionalmente di mira i civili.
Hamas fa proprio questo; Israele no.
Negare i servizi essenziali a Gaza colpisce i civili, ma non si tratta di un attacco militare deliberato contro di loro. Poi, Israele non ha alcun obbligo legale di fornire approvvigionamenti di prima necessità a un territorio il cui governo de facto ha lanciato un attacco terroristico contro i civili israeliani e il cui scopo dichiarato è quello di distruggere lo Stato d’Israele (e di uccidere gli ebrei in qualsiasi parte del mondo).
«La necessità militare», spiega Goldfeder, si riferisce a «misure che sono effettivamente necessarie per realizzare uno scopo militare legittimo e non sono altrimenti vietate dal Diritto umanitario internazionale». Blocchi e assedi, quindi, possono essere ritenuti legali. Gli aiuti umanitari possono essere consegnati, ha detto ancora Goldfeder, ma non vi è alcun obbligo di farlo se Hamas sfrutta tali aiuti per generare con l’imbroglio altra violenza contro Israele, altri morti o altri ostaggi.
Un assedio o un blocco il cui scopo fosse quello di affamare la popolazione locale sarebbe illegale, dice ancora Goldfeder, ma l’obiettivo specificamente dichiarato da Israele è quello di costringere Hamas a rilasciare gli ostaggi, israeliani e internazionali, che sono stati sequestrati con la forza, non quello di creare una carestia.
La «proporzionalità», infine, misura l’impatto di qualsiasi azione militare legittima rispetto all’impatto che ha sui civili.
La proporzionalità non riguarda il numero di vittime da entrambe le parti, ma se il numero di vittime è accettabile dato lo scopo militare. Nei conflitti del passato, l’obiettivo di Israele era fermare gli attacchi missilistici di Hamas. Questa volta Hamas ha compiuto atrocità contro i civili israeliani su vasta scala e l’obiettivo di Gerusalemme – del tutto giustificato – adesso è quello di neutralizzare completamente Hamas, rimuovendo i terroristi da Gaza.
Israele ha l’obbligo, ai sensi del Diritto internazionale, di prevenire il genocidio, compreso il genocidio degli ebrei. Pertanto la sua guerra contro Hamas non solo è ammissibile, ma è richiesta dallo stesso Diritto internazionale. Per questo il presidente Joe Biden ha affermato la settimana scorsa che Israele non solo ha il «diritto» di rispondere ai recenti attacchi terroristici, ma ha anche il «dovere» di entrare in guerra contro Hamas. Il sensum è che Hamas attacca i civili israeliani e si nasconde tra i civili palestinesi, quindi è interamente responsabile di tutte le vittime civili.
In aggiunta alle considerazioni di Goldfeder, si ricordi come il requisito della proporzionalità sia comparso e si sia evoluto sin dai tempi della
Società delle Nazioni, laddove si era previsto che «la légitime défense suppose l’emploi de moyens proportionnés à la gravité de l’attaque». E l’attacco subito da Israele si configura, come mai accaduto prima, quale minaccia reale alla sua stessa esistenza, e, di più, con una regia internazionale che fa da supporto agli iraniani e ai suoi satelliti terroristi.
Per concludere, un’ulteriore sottolineatura.
La rappresaglia è una delle forme di «punizione collettiva», non la legittima difesa (quella di Israele ad esempio) che, invece, per natura, prevede che il tempo intercorrente tra l’attacco subito e la risposta sferrata sia minimo.
Questo vuol dire che la difesa deve essere condotta prontamente o comunque adottata, fintanto ché l’aggressione continua a produrre i suoi effetti. E in questo caso il pensiero corre al Libano, alla Siria, oltre che all’Iran stesso, in un quadro internazionale che vede lo Stato d’Israele sotto attacco.
Un altro requisito che infatti possiamo inserire è quello dell’«immediatezza» legata alla minaccia, sempre a sostegno della legittima difesa di Israele.
Hamas aveva smesso di lanciare razzi contro Israele e sembrava voler contenere il Jihad islamico, l’unico suo vero concorrente diretto, data anche la crisi conclamata dell’OLP.
Ma Hamas ha utilizzato questa rivalità per ingannare gli israeliani, facendogli credere che non avrebbe più lanciato razzi essendo un partito politico armato di matrice sunnita, desideroso di concordare con Israele un percorso di riconciliazione, sulla scia di altri Paesi arabi, dal Marocco al Bahrein.
Per il momento, fonti confidenziali sostengono che il Pentagono avrebbe ottenuto una rassicurazione dall’IDF affinché Israele non attacchi preventivamente Hezbollah, con la garanzia americana, attraverso i suoi dispositivi, di monitorare qualsiasi cosa si muova da nord quale minaccia per Gerusalemme.
Tuttavia, si tratta di un equilibrio molto fragile.
È il quadro geopolitico globale che sta cambiando, e il Medio Oriente ne rappresenta un pezzo fondamentale, soprattutto per distrarre gli americani da Taiwan e dall’Ucraina mentre l’asse Cina-Russia-Iran-Corea del Nord-Cuba diventa sistemico, giorno dopo giorno. Nonostante la divisione tra sunniti e sciiti sia ancora oggi determinante per la geopolitica del Medio Oriente, «lo jihadismo fa parte di un’operazione ad ampio raggio per destabilizzare l’Occidente, in un contesto geopolitico in cui l’Islam non è l’unico attore», ha detto lo storico Roberto de Mattei, citando il report realizzato dalla Fondazione Med-Or dal titolo Nemico silente. Presenza ed evoluzione della minaccia jihadista nel Mediterraneo allargato.
Secondo il Sottosegretario di Stato Alfredo Mantovano, lo sforzo per difendere Israele ci riguarda molto da vicino: «Guardando a questo scenario più ampio, il lavoro che stanno svolgendo le diplomazie occidentali è fare in modo che la lotta al terrorismo che Israele sta combattendo eviti contraccolpi per tutti. […] L’attacco non è come tutti gli altri, ha una matrice religiosa. Forse varrebbe la pena recuperare quella lezione che Benedetto XVI tenne a Ratisbona: ha ancora tanto da dirci».
Marco Rota