L’attenzione per la politica dello Stato di Israele è stata uno dei punti dell’azione transnazionale di Marco Pannella che, a partire dal 1988, promosse a più a riprese un’iniziativa per l’ingresso di Israele nell’Unione europea. Una campagna supportata da una serie di sondaggi favorevoli sulla stampa ebraica, meno dal ceto politico di Israele. La forza di tale proposta si trova nella storia, nei valori e principi condivisi da Israeliani ed Europei quale base che faceva e fa di Israele una testa di ponte democratica in Medio Oriente. Come disse Pannella, in un convegno nel maggio 2010, “Israele costituisce la speranza che, in termini politici, sarebbe riuscita ad intervenire per nutrire con forza lo sviluppo economico, sociale, politico, democratico dei Palestinesi.”
L’idea dell’adesione all’UE fu lanciata da Pannella, il 18 ottobre 1988, dalle pagine del Jerusalem Post. Lo stesso quotidiano, pochi giorni dopo, il 25 ottobre, dava conto di una riunione del Partito Radicale convocata da Pannella a Gerusalemme. L’articolo evidenziava le critiche radicali al governo israeliano per la “mancanza di immaginazione e capacità di proporre soluzioni credibili”, al contempo notava come solo i radicali e i repubblicani non condannarono Israele – non essendo pacifisti – per aver bombardato la sede de OLP a Tunisi nel 1986.
Venuta meno, dopo la scomparsa di Marco Pannella, la convinzione di riproporre la campagna per Israele nell’UE – in primis da ex esponenti radicali che hanno avuto importanti ruoli istituzionali – i Patti di Abramo sono stati probabilmente l’atto diplomatico più significativo in grado di almeno avviare un cambiamento geopolitico di una portata certa. Una delle pochissime iniziative condivisibili dell’amministrazione Trump che, fuoriuscendo dal circoscritto contesto Israele-Palestina, aveva generato una dinamica nuova in grado di determinare una crescita politica anche della nazione palestinese e la definizione della sua condizione statuale.
Impresa già in salita all’epoca, dopo l’attacco terroristico contro Israele dello scorso 7 ottobre, la campagna a favore di Israele nell’UE appare ancora più impraticabile e l’obiettivo ancora più utopico. Tuttavia, credo sia legittimo chiedersi se non sia più o meno utopico l’obiettivo “due popoli due stati”, a sostegno del quale in questi giorni si sono espressi già in molti autorevoli attori.
Non è in discussione la necessità di creare uno Stato per i Palestinesi, bensì se e come riprendere un cammino che, nonostante abbia visto decenni di impegno ai massimi livelli, non ha portato al traguardo perseguito. Dobbiamo allora interrogarci sull’opportunità di creare, accanto ad Israele, uno Stato munito delle tipiche strutture e prerogative, ma privo di diritti fondamentali e di minime garanzie democratiche.
Il pericolo è quello di creare un nuovo contenitore “ufficiale” statuale che, visto il dominio di Hamas e i forti legami con Teheran, non sia l’ennesima dittatura della regione e nello scacchiere internazionale. Una sorta di mini- Iran che porta acqua al mulino di despoti e cleptocrati intenti a sovvertire l’ordine mondiale fondato sul principio dell’universalità dei diritti umani.
Siamo certi che sia proprio questo l’orizzonte a cui aspirano gli abitanti di Gaza e della Cisgiordania?
Nel 2005 gli ebrei che popolavano gli insediamenti nella Striscia di Gaza furono costretti a lasciare le loro abitazioni perché, a malincuore, l’allora Primo Ministro Ariel Sharon affermò di non poter più garantire la loro sicurezza. Le speranze di prosperità che avrebbero potuto e dovuto sviluppare i Palestinesi caddero subito sotto i colpi di Hamas che ha continuato a dirottare i fondi provenienti da donatori come ONU e UE, e fare strame di diritto e di vita. Anziché trasformare quel territorio civilmente, economicamente e socialmente, i terroristi lo hanno asfissiato con una militarizzazione clandestina distruttiva.
Se e quando Hamas verrà eliminata, Israele, Autorità Nazionale Palestinese e i principali attori della comunità internazionale torneranno probabilmente a promuovere un processo di pace ispirandosi a quello degli accordi di Oslo. Ammesso e non concesso che l’adesione di Israele all’UE sia impensabile, non è il momento di interrogarsi sull’ipotesi “due popoli, due stati” e parlare invece “due popoli, due democrazie”?
Matteo Angioli