L’editoriale del nuovo Vicedirettore di The Global News, Andrea Merlo, che affianca Barbara Silbe, Vicedirettore Vicario.
È solo con gli eventi tragici ed epocali di portata globale degli ultimissimi anni, che probabilmente anche il grande pubblico ha cominciato ad interrogarsi sulla minaccia derivante dal ritorno di moda di autocrazie, dittature e totalitarismi e sui danni che i crimini e il bullismo che questi provocano alle nostre vite, al nostro benessere e alle nostre democrazie. Pensiamo anche solo all’ultimo triennio: le nostre esistenze hanno subito l’urto economico, politico, talvolta anche psicologico causato prima da una pandemia venuta dritta dritta dalla Cina comunista, poi da una sconsiderata invasione militare da primo ‘900 a firma Vladimir Putin, e ora solo Iddio sa quali effetti produrrà il più grave eccidio di ebrei dai tempi della Shoah, made in Hamas.
Le nostre vite, la nostra tranquillità, i nostri piani (individuali, familiari o collettivi che siano) vengono sconvolti dalle conseguenze della condotta di regimi, organizzazioni e fenomeni che prosperano a migliaia di chilometri dalle nostre case, ma che condividono una caratteristica comune: tutti si collocano orgogliosamente all’opposto della democrazia, anzi con la democrazia liberale, con lo stato di diritto e con le libertà fondamentali sono in guerra aperta da sempre.
Ed è così che il grande pubblico comincia forse a familiarizzare con nomi di Paesi lontani, di leader autoritari, di luoghi del globo cruciali per gli effetti che quotidianamente da lì si sprigionano per giungere fino alle nostre realtà esistenziali: è stato così per Wuhan e i suoi laboratori di biotecnologia, per l’Ucraina, per Taiwan, per il Niger e via dicendo: realtà prima totalmente sconosciute, con cui abbiamo scoperto che bisogna fare i conti. Cerchiamo informazioni sull’Asia, sull’Africa, sul Medio Oriente, persino sulle isole più sperdute nel Pacifico.
C’è una sola area del mondo che sembra immune all’interesse generale, e non solo del grande pubblico, ma anche delle dirigenze politiche occidentali, incredibilmente: l’America Latina. Incredibilmente, sì. Perché se c’è una regione in cui il fenomeno autocratico ha visto una prepotente avanzata negli ultimi 30 anni, quella regione è l’America Latina, più di ogni altra. Nel 1990, solo la dittatura comunista cubana sopravviveva a sé stessa rimanendo senza sostegno sovietico.
Oggi, le dittature consolidate nel subcontinente sono ben tre, e tutte dello stesso colore: Cuba, Nicaragua, Venezuela. Se aggiungiamo la deriva autocratica della Bolivia di Evo Morales (ancora al governo, di fatto) e la lunga parentesi di Rafael Correa in Ecuador, il bilancio per la democrazia si aggrava. Peraltro, trattasi di regimi solidamente antioccidentali, sorti, sostenuti e mantenuti anche -in alcuni casi, esclusivamente- con l’aiuto e il sostegno diplomatico, economico e militare di quegli stessi campioni globali del disordine e della destabilizzazione che sono Russia, Cina e Iran.
Aiuto e sostegno che non sono gratuiti: chi ha una appena minima conoscenza delle dinamiche latinoamericane dal punto di vista della sicurezza, sa che da decenni la regione è terreno di conquista per le capitali dell’asse autoritario antioccidentale grazie anche all’assistenza fornita in loco dalla dittatura castrista, vero e proprio service provider per Mosca, Pechino e Teheran che garantisce loro benevolenza diplomatica dalle capitali latine, canali preferenziali per assicurarsi risorse e rotte commerciali, e tutta l’ospitalità che vogliono perfino per progetti di natura militare, se del caso. E come se non bastasse, le scorribande russe, cinesi e iraniane hanno propiziato anche lo sbarco delle rispettive mafie nazionali nella regione, con graduale consolidamento nell’area di un ambiente, del tutto unico al mondo, in cui consorterie criminali transnazionali si intrecciano e lavorano gomito a gomito con quelle nazionali: tutto ciò, al punto che in America Latina non è surreale guardare al crimine organizzato come ad un fattore determinante nella definizione delle dinamiche politiche e geopolitiche regionali.
Nessuno di sorprenderà quindi, se l’endemizzazione della presenza cinese, russa e iraniana in America Latina, la stanzializzazione nella regione del crimine organizzato legato a queste capitali e l’impennata dei profitti e della pervasività del crimine organizzato regionale coincidono temporalmente con l’ascesa al potere in America Latina di un numero impressionante proprio di governi riconducibili al Foro di San Paolo, l’internazionale “progressista” fondata nel 1990 da Castro e Lula da Silva e formata da partiti e movimenti benevoli con (quando non apertamente alleati di) Russia, Cina e Iran.
A chi ritiene che questo quadro non abbia alcun impatto sulle nostre vite, basti pensare che parte delle risorse che servono ad Hezbollah per la sua guerra santa contro Israele, vengono anche dall’America Latina; che parte del sostegno diplomatico di cui ancora gode Mosca, viene dall’America Latina; che parte delle materie prime che alimentano la sfida cinese al benessere delle nostre liberaldemocrazie viene dall’America Latina; che parte dei crimini transnazionali che compongono la complessissima supply chain che sostiene il terrorismo (dal riciclaggio ai traffici illegali internazionali, dal commercio di armi alla contraffazione e falsificazione di documenti) avviene in America Latina, sotto l’ombrello protettivo o con la diretta partecipazione di autocrazie regionali e governi molto, molto accomodanti verso le istanze delle potenze antioccidentali. L’America Latina del declino democratico, dell’indebolimento dello stato di diritto, dell’intreccio perverso tra crimine organizzato transnazionale e interessi delle autocrazie globali è una formidabile arma puntata dall’asse autoritario contro di noi, ed un vero incubo per la pace e la stabilità internazionali.
Siamo proprio certi, quindi, che per mettere al sicuro le nostre conquiste democratiche, le nostre libertà fondamentali, il nostro benessere, non dobbiamo avere un po’ più di fame di conoscenza sul presente dei nostri cugini latini d’America?
Andrea Merlo