Dopo l’attacco brutale di Hamas nel sud di Israele, Evo Morales, ex presidente autocrate della Bolivia e artefice della trasformazione del Paese andino in una dittatura de facto narcosocialista, aveva espresso la sua solidarietà con la causa palestinese, senza ovviamente la minima condanna nei confronti del terrorismo di Hamas. Nessuna condanna, d’altra parte, era arrivata nemmeno dal governo di Luis Arce, dello stesso partito di Morales (MAS, Movimiento Al Socialismo).
Arriva invece, poche ore dopo l’incontro tra Luis Arce (attuale presidente boliviano) e Mahmoud Elalwani (ambasciatore della Palestina presso la Bolivia) l’annuncio della rottura delle relazioni diplomatiche con Israele, per bocca del viceministro degli esteri Freddy Mamani Machaca, che ha spiegato le ragioni della decisione dell’autocrazia boliviana. E a dir la verità, non è la prima volta che succede: nel 2009, durante un’altra crisi in Medio Oriente in cui Israele dovette reagire militarmente contro Hamas, Evo Morales espulse l’ambasciatore israeliano rompendo rapporti bilaterali che si sarebbero ristabiliti solo nel 2019-2020, durante la breve e sfortunata parentesi del governo provvisorio guidato da Jeanine Áñez dopo i colossali brogli elettorali operati da Morales.
Il governo del MAS (al potere quasi ininterrottamente dal 2006 tra elezioni farsa, persecuzione di oppositori, utilizzo della magistratura a fini politici e tanto, tanto narcotraffico) da anni ha trasformato il Paese andino in uno dei più fedeli alleati dell’Iran degli ayatollah e della Russia di Putin e della Cuba comunista, non mancando quasi un appuntamento, anche nei fori multilaterali, per allinearsi alle capitali di riferimento. È di appena questa estate la firma con la Repubblica Islamica dell’Iran di un accordo strategico in materia di difesa e sicurezza, accordo che aveva attirato l’attenzione e la preoccupazione degli esperti di sicurezza internazionale e di Washington. Oggi, con questa scelta, la Bolivia compie l’ennesimo passo che dimostra la forza dei legami tra parte della cosiddetta sinistra progressista latinoamericana e le capitali, come Teheran, che conformano quello che sembra sempre più chiaramente l’asse mondiale delle dittature antioccidentali.
Andrea Merlo