“La telefonata a Giorgia Meloni non è uno scherzo, ma è una autentica operazione di disinformazione per colpire il nostro paese, che è all’incrocio tra Ucraina e Medio Oriente. I due comici russi sono tutto tranne che burloni e personaggi dello spettacolo. Occorre capire bene cosa è accaduto a Palazzo Chigi, per evitare che simili episodi si ripetano” (twitter.com). L’osservazione di Enrico Borghi, senatore di Italia Viva, è importante non solo perché segna una comune valutazione tra opposizione e governo, ma perché lo stesso Borghi aveva poco prima fatto la proposta di legge di istituire una agenzia contro la disinformazione secondo un modello già adottato dalla Svezia, per “difendere la nostra società contrastando le attività volte a influenzare il dibattito pubblico con notizie false”. “Nel regime dell’informazione in cui siamo immersi, una delle conseguenze di una mancata capacità di regolazione rischia di essere un assist clamoroso ai regimi che fanno della disinformazione un perno della cosiddetta guerra ibrida”, ha spiegato (linkiesta.it).
Sempre Borghi ha ricordato che “il tema della diffusione di fake news – insieme con la guerra psicologica e gli attacchi cyber – è fondamentale nella combinazione delle operazioni finalizzate ad attuare il nuovo modo di combattere nella società odierna. Lo abbiamo visto con l’Isis, che combinava tattiche comunicative e disinformative, formazioni strutturate e uso crudele del terrore come elemento essenziale del proprio arsenale. Lo abbiamo visto in Ucraina, dove il concetto della Dottrina Gerasimov come guerra ibrida ha visto mettere in campo – a fianco degli attacchi fisici – una strategia di attacco cognitivo e informativo. Lo vediamo ormai quotidianamente in diversi campi, nei quali l’avvento dei social media ha fornito a Paesi che vogliono minare o indebolire le nostre democrazie la possibilità di utilizzare gli stessi strumenti inventati un secolo fa dal Kgb. E L’Italia rischia di essere un ventre molle della disinformazione. Lo denotano i primi rapporti che stanno emergendo dal lavoro che abbiamo fatto in Europa: l’Italia nel primo semestre 2023 è su Facebook e Instagram seconda dopo la Francia per contenuti classificati come fake news, e prima per contenuti rimossi”. Riferimento al rapporto di fine settembre della Commissione europea sulla rimozione da Facebook di oltre 45.000 contenuti italiani perché “violavano le politiche di disinformazione dannosa per la salute”. Molto più della Germania (22.000 contenuti rimossi) o della Spagna (16.000) (agi.it).
Rilevava sempre Borghi come “l’ultima conferma, se mai ce ne fosse stato bisogno, è arrivata dall’attacco di Hamas a Israele: come ha documentato l’osservatorio Newsguard decine sono state le fake news veicolate, con tanto di video alterati, fatti circolare anche da account ‘verificati’. ‘Il che significa – fa notare Newsguard – che l’utente pensa che siano vere. E che, essendo abbonati paganti al servizio premium della piattaforma, il raggio d’azione dei loro post falsi viene amplificato dall’algoritmo di X’”.
Denuncia e proposta di legge erano state peraltro presentata a un convegno che si era tenuto il 18 ottobre al Senato su “Infowar: la disinformazione minaccia la sicurezza internazionale” (radioradicale.it). Appunto il moderatore Aldo Torchiaro, giornalista del Riformista, era partito dalla bomba sull’ospedale Al-Ahli Arabi Baptist Hospital di Gaza, con le accuse reciproche tra Hamas e Israele. Un invito a riflettere che l’intelligence non può sottovalutare le fonti umane per puntare troppo sulle informazioni che derivano dalla tecnologia. “L’evoluzione della tecnica ha un trend esponenziale; invece, l’evoluzione degli strumenti giuridici propri delle democrazie ha un trend lineare”, ha infatti osservato Ciro Sbailò: Preside di Scienze Politiche presso l’Università Internazionale di Roma (my.unint.eu) e autore di una relazione appunto sul tema del “perché l’intelligence fallisce”. Riassumendo una analisi alla base del suo libro Europe’s call to arms, (amazon.it), Sbailò ha spiegato che, per questa ragione, “mentre i vincoli a tutela della libertà personale riescono ad essere dei limiti alla deriva della tecnoscienza nei regimi liberali, la tecnologia in mano alle autocrazie diventa estremamente pericolosa, dà luogo ad una deriva entropica, proprio per la sua hybris, la sua tracotanza nel senso greco del termine. Si era già visto con riferimento all’attacco alle Torri gemelle dell’11 settembre 2001; adesso l’attacco di Hamas ad Israele dimostra sempre di più un approccio olistico (per cielo, per terra, per mare)”.
Per comprendere il contesto, dunque, “è necessario che gli analisti di intelligence studino prima di tutto storia e filosofia, perché non si può comprendere il conflitto israelo-palestinese o ciò che avviene nel mondo arabo senza conoscere la storia dell’Islam. Non si può paragonare la differenza tra sciiti e sunniti allo scisma tra chiesa cattolica e chiesa protestante.” Per combattere la minaccia ci vuole dunque “un approccio olistico”, che la studi partendo dalla Storia.
L’altra relazione è stata su “Le guerre ibride e gli agenti di influenza”: di Luigi Sergio Germani, direttore dell’Istituto Gino Germani di Scienze Sociali e Studi Strategici (servizisegreti.com). Esperto di Russia che si occupa in particolare di disinformazione, attività di influenza e destabilizzazione. Germani aveva ricordato che non tutti agiscono facciano nello stesso modo. Ci sono attori statali e non statali. La disinformazione di matrice statale mira alla destabilizzazione di un sistema. Hamas mira a far crescere l’odio verso gli ebrei e la fake new nella guerra è uno strumento per creare il caos. La Russia punta a logorare le democrazie occidentali. Le campagne propagandistiche russe erano usate anche in passato. Si tratta di una strategia: anche l’Italia ha rischiato di essere destabilizzata negli anni di piombo. Putin ha ripreso la tradizione della guerra olistica propria delle autocrazie per colpire la società stessa, la sua coesione politica. Si crea confusione sulla reale esistenza della minaccia per lo Stato aggredito.
Sulla “sbornia dei social networks” si è soffermato Alessio De Giorgi, direttore web del riformista. un dilagare di notizie superficiali, non verificate e false che ha caratterizzato i primi anni del terzo millennio, e che ha conosciuto però una battuta d’arresto nel 2018, quando appunto per questi problemi Mark Zuckerberg è stato convocato a riferire di fronte al Congresso degli Stati Uniti. In particolare, alla luce del caso Cambridge Analytica e delle indagini sulle interferenze della Russia nella campagna elettorale. Iniziano da quel momento i percorsi di autoregolamentazione dei social network, anche se il livello di coinvolgimento generato dalle fonti di disinformazione russe, cinesi e iraniane ha continuato a crescere, del 70%. Professore ordinario all’Università della Calabria e uno dei massimi studiosi europei di intelligence a livello accademico, Mario Caligiuri (cybersec2022.it) ha ricordato infine che le fake news si diffondono anche perché disinformazione e livello di istruzione sono inversamente proporzionali. “Il 27,1% delle persone in Italia è sostanzialmente analfabeta funzionale ed il 75% non è in grado di interpretare una frase complessa”. Vale a dire il problema è anche l’assenza di capacità critica, che è direttamente legata al livello di istruzione.
Maurizio Stefanini