Far dipendere l’intelligence italiana dalla Presidenza della Repubblica piuttosto che dalla Presidenza del Consiglio: è una “modesta proposta” che emerge da “Controingerenza: la protezione dei processi decisionali del sistema-Paese da interferenze straniere occulte” (takethedate.it). Un convegno che si è tenuto l’8 novembre (radioradicale.it) su iniziativa dell’Istituto Gino Germani di Scienze Sociali e Studi Strategici (twitter.com).
“Un tema su cui non c’è ancora molto dibattuto in Italia”, ha ricordato all’inizio la moderatrice Arianna Pacioni: ricercatrice associata all’Istituto e analista di intelligence (books.google.it). Come ha spiegato Luigi Sergio Germani (ibs.it), direttore dell’Istituto, ingerenza e spionaggio sono minacce collegate ma distinte. Il convegno rappresenta un evento introduttivo e di presentazione del corso di alta formazione “Spionaggio e ingerenza: le minacce intelligence al sistema-Italia” che si svolgerà a Roma dal 23 al 25 novembre prossimi, nell’ambito della Scuola di Formazione in Intelligence e Analisi Strategica dell’Istituto Germani, e che appunto si presenta come il primo corso in Italia che prova a spiegare questa distinzione. L’Intelligence è infatti strumento di conoscenza al servizio di una leadership statuale. Può però essere rivolta non solo ad acquisire informazione ma a fare quella che nel mondo anglosassone è definita “covert action”: non solo conoscere il mondo ma cambiarlo. E questo “cambio” si può tentare sia con l’intervenire sui decisori pubblici; sia col cambiare le percezioni di una intera società, agendo sulle opinioni pubbliche.
Come ricorda sempre Germani, quella che nel mondo anglosassone è definita “covert action” e in italiano ingerenza si può fare in molti modi: agenti di influenza, che operano per orientare processi decisionali o percezioni.; appoggio e finanziamenti a partiti; appoggio a gruppi armati: omicidi mirati; acquisizione di settori strategici. Anche nei Paesi occidentali le covert action si fanno, ma c’è l’idea di fondo che siano da considerare discutibili, da cui grandi polemiche ogni volta che se ne sa qualcosa. Quindi, il core business dell’intelligence è la raccolta informazioni. Nelle culture strategiche del mondo orientali, invece, le covert actions non si discutono. Da qui una tradizione di Paesi come Russia, Cina o Iran per una minaccia ibrida fatta con vari tipi di ingerenza. Ad esempio, una cosa fabbricata dai Servizi zaristi come i Protocolli dei Savi di Sion continuano a fare danni dopo 120 anni. E adesso questa minaccia ibrida sta aumentando: sia per gli sviluppi tecnologici; sia per quelli geopolitici.
Come hanno ricordato diversi relatori, nell’intelligence non ci sono amici, ma solo al massimo alleati. Germani ha appunto ricordato che anche i Servizi alleati fanno informazione e ingerenza su Italia. Ma le “priorità sono ovviamente Russia, Cina, Iran, forse Turchia”. In particolare, la covert action nella cultura russa è definita “misure attive”. Una volta puntavano a creare tensioni e delegittimare, e al tempo dell’Urss in Italia no c’erano solo gli agenti di influenza, la disinformazione o l’appoggio al Pci, ma anche il sostegno al terrorismo, come poi si è accertato. “ Ma è una storia di destabilizzazione che è stata oggi rimossa”. Le misure attive furono poi accantonate negli anni ’90 dopo il collasso dell’Urss, ma con Putin dopo Eltsin andò al potere in Russia un nuovo ceto politico costituito proprio da ex-dirigenti del Kgb. Le Misure Attive così tornarono, anche approfittando delle nuove possibilità offerte dallo sviluppo tecnologico. Non a caso, facendo anche reclutamenti di massa tra una criminalità informatica emergente.
Fino al 2013, l’obiettivo di questa intelligence russa alla controffensiva è essenzialmente reclutare agenti di influenza e fare affari. M dopo inizia una strategia di guerra ibrida: non solo per influenzare l’establishment, ma anche per destabilizzazione. Cresce l’appoggio a forze antisistema, sia a destra che a sinistra. Ci sono campagne appunto d destabilizzazione. Vengono fomentati e strumentalizzati flussi di migrazione. Addirittura ci sono omicidi mirati nei confronti degli oppositori di Putin all’estero. Ultimamente ci sono anche misure attive per fomentare l’antisemitismo.
La Cina, secondo Germani, è più insidiosa nel lungo termine, anche perché ricorre ancora di più allo spionaggio tecnologico. Ma la disinformazione cinese è più manipolazione che creazione. Finora non sostiene forze politiche e non fa ancora destabilizzazione, ma si concentra su cooptazione e penetrazione. Attraverso investimenti, e attraverso anche gli accordi e finanziamenti con cui si è cercato di penetrare il mondo dei media italiani in una fase di crisi economica piuttosto acuto. Anche esponenti della classe politica sono stati cooptati come lobbisti, allo stesso modo di giovani leader e esponenti del mondo accademico. La Cina usa anche la diaspora, compresa la criminalità. Quanto all’Iran, emergono due aspetti: la crescente minaccia cyberware e il sostegno al terrorismo. In conclusione, secondo Germani “l’Italia è vulnerabile anche per scarsa consapevolezza di questa minaccia”.
Docente di intelligence e sicurezza nazionale presso l’Università di Firenze, già Responsabile Comunicazione del Dipartimento Informazioni per la Sicurezza, Adriano Soi (twitter.com) ha convenuto che cuore dello spionaggio russo non è acquisizione di informazioni ma sovversione, fin dai tempi dello zarismo. Ma, appunto, nel 2008 la crisi di Lehman Brothers bloccato quella redistribuzione e quell’ascensore sociale che sono alla base delle democrazie, creando il malcontento diffuso da cui si aprono gli spazi per cui Putin fa il primo dei tre passi: Georgia, Donbas, Ucraina. L’Occidente ha aperto le porte, la risposta la deve dare la politica. L’intelligence non è che uno strumento. Anche le democrazie sanno fare certe operazioni, come dimostrano quella Operazione Mincemeat con cui si ingannò l’Asse sullo sbarco in Sicilia e quella Operazione Fortitude con cui si preparò lo sbarco in Normandia. Ma l’obiettivo di influenzare dirigenti e opinioni pubbliche è più tipico delle autocrazie, e adesso con web e troll è diventato più facile. Anche Soi ha insistito sulla necessità della formazione per affrontare queste minacce.
Advisor del settore sicurezza dell’Università di Bologna ed ex-parlamentare, Alberto Pagani (unibo.it) ha ricordato che “se si logora la fiducia si logora la democrazia”. Anche lui ha sottolineato che le agenzie di intelligence dipendono dal decisore politico, e che le covert actions molto più pericolose e più difficili da parte di una società aperta.
Generale della Guardia di Finanza, già funzionario dei Servizi d’intelligence italiani, Ceo di Rotas Consulting-A Legal Intelligence Firm, Paolo Costantini (paolocostantini), ha appunto proposto che le agenzie di intelligence vadano portate sotto la presidenza della repubblica, perché con i 640 giorni di durata media dei governi italiani “non si fa pianificazione”. E anche che si formi humint e intelligence con una accademia apposita.
Le conclusioni a Carlo Parolisi (giano.news): già capo della Divisione Controspionaggio dell’Aise, in precedenza vice capo del Centro Operativo del Sisde dedicato al controterrorismo e alla controeversione. Anche lui ha segnalato il progressivo depauperamento culturale dei decisori politici, e che “non esistono servizi amici, ma alleati, avversari, terzi”. Tra gli alleati dell’Italia, “in particolare i francesi sono molto aggressivi”, mentre “noi siamo spesso remissivi, anche per non avere copertura politico adeguato”. Mentre in altri Paesi il controllo parlamentare sui Servizi pur necessario in democrazia ha spirito bipartisan, in Italia diventa spesso occasione di scontro tra maggioranza e opposizione. Anche lui ha ricordato che “c’è ancora gente che crede ai Protocolli dei Savi di Sion 120 anni dopo”.
Maurizio Stefanini