Quando quasi due anni fa, il presidente salvadoreño Nayib Bukele aveva annunciato l’avvio della sua costruzione, la nuova Biblioteca Nazionale sembrava uno di quei sogni belli nei rendering architettonici ma difficili da concretizzarsi: 360mila libri, 24mila metri quadrati di superficie, sette piani, ristorante, caffetteria, auditorium, sala conferenza, spazi ludici l’infanzia.
Tutto merito di un accordo quadro firmato pochi mesi prima dal Salvador e dalla dittatura comunista cinese, ratificato dal parlamento salvadoreño nel maggio del 2021, che prometteva una donazione a fondo perduto da parte di Pechino. Oggetto dell’accordo: la costruzione nel piccolo Paese centroamericano di una serie di infrastrutture, tra cui reti viarie, infrastrutture portuali, uno Stadio Nazionale, impianti di potabilizzazione dell’acqua e una enorme Biblioteca Nazionale, che rimpiazzasse quella esistente ma sostanzialmente ridotta alla fatiscenza.
Da anni, specie dopo la rottura delle relazioni tra El Salvador e Taiwan nel 2018, con conseguenze apertura di relazioni diplomatiche piene con la sola Cina comunista, San Salvador ha coltivato assiduamente il rapporto con Pechino, spesso a scapito della fluidità delle relazioni con Washington. Lungi dall’essere cambiato, questo trend pare essersi anzi decisamente confermato nell’ultimo triennio: prima, appunto, con la firma di un accordo bilaterale di cooperazione alimentato con soldi cinesi letteralmente regalati alla repubblica centroamericana (e totalmente privo di contropartite da parte salvadoreña, rivendicava Bukele di fronte alle critiche nel maggio del 2021), poi con l’annuncio della volontà delle due capitali di negoziare e sottoscrivere un trattato di libero scambio, che secondo alcuni osservatori, comprenderebbe l’acquisto dell’importante debito salvadoreño con ‘esterno da parte della Repubblica Popolare.
Insomma, le relazioni bilaterali vanno a gonfie vele, tant’è che il giovane presidente di origini palestinesi ed ex membro della formazione marxista Frente de Liberacion Farabundo Martì (ora però a capo del suo partito Nuevas Ideas) aveva annunciato l’avvio della costruzione della BINAES ad un evento alla presenza dell’allora ambasciatrice cinese a San Salvador, in un palco circondato anche da enormi bandiere della Cina comunista: “questa opera sarà interamente costruita e pagata da Pechino, grazie agli amici della Repubblica Popolare Cinese!”, aveva sottolineato Bukele nel febbraio del 2022. Oggi, a suggellare la consegna dell’opera, come spesso capita nel suo stile fatto di comunicazione istituzionale molto giovanile e un abbondantissimo (ed efficacissimo) utilizzo dei social network, Bukele pubblica i video del suo arrivo alla BINAES illuminata a giorno, e accolto al suo ingresso proprio dall’oggi ambasciatore cinese, Zhang Yanhu.
Insomma, la narrazione appare chiarissima, e nessuna delle due parti fa nulla per nascondere che i rapporti bilaterali sembrano davvero ottimi. Il sospetto, visti molti precedenti sia in America Latina che altrove, è che il prezzo che avrà tutto ciò per El Salvador non sia esattamente pari a zero. Nel maggio 2021, dopo la firma dell’accordo quadro, Brian Nichols, vice Segretario USA per gli affari dell’Emisfero Occidentale (le Americhe, in sostanza), aveva ammonito chiaramente Bukele: “la cooperazione con Pechino non è mai senza costo”. Ma il giovane presidente centroamericano allora fece spallucce, e a quanto pare, continua a farle, mentre abbraccia calorosamente e sempre più gli “amici della Repubblica Popolare”. E non solo loro.
Andrea Merlo