“Non è andata come pensavamo”: già dalle prime parole, non sembrava l’annuncio di una vittoria. E infatti, Sergio Massa si presenta alle 20:09, incredibilmente presto, per il suo discorso di fronte alla platea peronista nel suo quartier generale per riconoscere la sconfitta patita al secondo turno delle elezioni presidenziali argentine.
I primi dati ufficiali erano attesi per le ore 21 a Buenos Aires ben tre ore dopo la chiusura delle urne: il sistema argentino infatti, molto farraginoso, prevede un lungo silenzio sulle cifre dello scrutinio. Ma già dopo un’ora, i numeri non ufficiali che provenivano un po’ da tutto il Paese sembravano preannunciare non solo una sconfitta, ma una monumentale batosta per lo schieramento peronista, al governo da vent’anni quasi ininterrottamente (salvo la parentesi di Mauricio Macri per un solo quadriennio).
“Ho ovviamente già sentito Milei al telefono, per complimentarmi con lui e per augurargli buona fortuna”, ha poi detto il candidato peronista ed attuale ministro dell’economia in carica, tagliando la testa al toro e spazzando via ogni residua speranza di ribaltone durante lo spoglio. In effetti, il risultato finale, già in mano ai candidati prima della loro rivelazione in pubblico, parlavano chiaro: quasi 12 punti percentuali di differenza, 44% circa per lo sconfitto contro il quasi 56% per il candidato outsider libertario. Mai nella storia argentina, lo sconfitto si era presentato in pubblico per riconoscere la sconfitta prima ancora che venissero divulgati i primi dati ufficiali; ma una forbice così ampia tra eletto e perdente. Mai il peronismo aveva perso così tanto terreno anche geograficamente, al punto che questa volta riesce a vincere in pochissime province, storiche roccaforti, e comunque per un soffio.
Ma a gelare gli osservatori, oltre che a gettare una pericolosa ombra di incertezza sulla situazione macroeconomica di un Paese sull’orlo del precipizio monetario e inflazionistico, sono le parole con cui Massa scarica letteralmente la responsabilità di tutto quanto accada in Argentina sui vincitori: in realtà, dal momento dal secondo turno al 10 dicembre, giorno dell’insediamento del nuovo Presidente, il governo in carica continua ad essere quello uscente, con piena responsabilità -tra l’altro- sull’economia. Si teme, tra gli ambienti di Milei e Macri (che ha pienamente appoggiato il candidato libertario al secondo turno), che il ministro dell’economia intenda sbarazzarsi della responsabilità su dati macroeconomici che tutti sanno essere di estrema gravità, ma di cui nessuno, tranne il titolare del delicato dicastero, conosce precisamente. Primo fra tutti, il cruciale dato delle quantità di riserve valutarie pregiate presso la Banca Centrale.
Potremmo scoprire, a breve, che l’Argentina dovrà archiviare velocemente l’euforia della valanga mileiana per entrare in un periodo di crisi peggiore del previsto, ereditò di 4 disastrosi anni di peronismo kirchnerista?
Andrea Merlo