L’ultimo allarme viene dal Nicaragua, che Daniel Ortega sta trasformando in un hub di migranti irregolari da mandare negli Stati Uniti per destabilizzarli e anche per guadagnarci (infobae.com). Ma anche Putin è accusato di fare lo stesso contro l’Europa. Non solo tramite la Libia verso l’Italia (liberoquotidiano.it), ma adesso (themoscowtimes.com) anche verso la Finlandia (lastampa.it). E un recente libro dedicato al rapporto tra Marocco e Spagna (paesiedizioni.it) ricorda anche il bielorusso Lukashenko e il turco Erdoğan.
Più di 30.000 migranti haitiani sono arrivati all’aeroporto di Managua tra lo scorso agosto e ottobre, per iniziare il loro viaggio via terra verso gli Stati Uniti. Non sono che un decimo dei 300.000 migranti che sono sbarcati in quello stesso periodo e in quello stesso scalo, mentre altri 150.000 sono arrivati via terra attraverso il confine col Costa Rica. In pratica, su ogni venti migranti irregolari che entrano negli Usa, uno è passato per il Nicaragua.
A parte Haiti vengono soprattutto da Cuba e Venezuela, dove approfittano del volo diretto per Managua della compagnia aerea venezuelana Conviasa come un’occasione d’oro per proseguire verso gli Stati Uniti. Ma anche da Aruba e Repubblica Dominicana, oltre che da vari Paesi in conflitto dell’Europa orientale, dell’Asia e dell’Africa. Le autorità non timbrano i passaporti dei migranti, ma addebitano loro una tassa sul “diritto di passaggio” di 150 dollari. Anche di questo pagamento non esiste alcuna ricevuta, per cui non risulta alcuna traccia del passaggio attraverso il Nicaragua. Alcuni viaggiatori hanno riferito che il funzionario dell’immigrazione ha addebitato loro fino a 200 dollari per il diritto di passaggio. La piattaforma Confidencial ha stimato che tra gennaio e ottobre 2023 Migración y Extranjería del Nicaragua avrebbe così incassato circa 65,9 milioni di dollari: una somma calcolata, in assenza di dati ufficiali in Nicaragua, per il passaggio di 439.972 persone, che è il numero di migranti irregolari segnalati dall’Honduras nelle sue quattro delegazioni sulla migrazione al confine con il Nicaragua (confidencial.digital). Il regime di Ortega non fornisce solo l’aeroporto ma anche taxi, hotel e altri servizi per accelerare l’arrivo negli Stati Uniti.
Ma Ortega non si limita a “bombardare” gli Stati Uniti con migranti stranieri. La dittatura nicaraguense ha infatti espulso più di 800.000 nicaraguensi dal 2018, con un effetto perverso ogni volta che i migranti inviano denaro per sostenere la situazione precaria delle loro famiglie e finiscono per sostenere indirettamente il regime: un dollaro delle tasse su cinque proviene da rimesse.
Prima del 2018, Daniel Ortega impediva questi movimenti, fino a schierare l’esercito al confine per impedire attraversamenti irregolari e h imprigionare i nicaraguensi che fornivano sostegno ai migranti. Questo sbarramento creò un blocco al confine settentrionale del Costa Rica che causò una crisi umanitaria tra il 2015 e il 2016 quando si radunarono fino a ottomila migranti di diverse nazionalità, principalmente cubani, haitiani e africani. Ortega non cedette alle suppliche di diversi paesi per consentire il passaggio dei migranti, e neanche a quelle di Papa Francesco. Tra febbraio e maggio 2016 fu dunque necessario realizzare un ponte aereo. Ma l’atteggiamento di Ortega cambiò nel 2018, dopo le critiche Usa alla violenta repressione delle proteste contro il suo regime. Nel 2021 ha dunque eliminato i visti per i cubani, per gli haitiani e per diversi paesi dell’Asia e dell’Africa che solitamente originano flussi di migranti, e in più ha creato una versa e propria rete logistica per facilitare il viaggio e trarre vantaggio economico dai migranti. Così i voli da Port-au-Prince a Managua sono aumentati fino a un massimo di 28 al giorno. I 31.400 haitiani entrati in Nicaragua tra agosto e ottobre sono venuti su 268 voli. Molti di essi voli charter che costavano fino a quattromila dollari a persona.
Ma, appunto, politiche di questo tipo sono il tema del libro “Il grande ricatto L’apertura delle frontiere come strumento di pressione politica. Il caso Marocco-Spagna”, del giornalista Costantino Pistilli. Il focus è su quando avvenne nel maggio del 2021 a Ceuta: exclave spagnola in Marocco, dove in meno di 48 ore la polizia di frontiera marocchina permise a più di 10.000 persone, tra cui oltre mille minori, di entrare in territorio spagnolo spalancando loro i cancelli. Un caos pianificato attraverso cui il Regno di Mohammed VI reagì alla decisione del governo iberico di ospitare in Spagna il leader del Fronte Polisario Brahim Ghali per curarsi dal Covid-19, riaprendo l’annosa disputa sulla sovranità del Sahara Occidentale, spina nel fianco per Rabat dagli anni Settanta.
Ma, ricorda appunto il libro, quello del Marocco non è l’unico caso in cui, negli ultimi anni, Paesi extraeuropei hanno rivolto contro Bruxelles l’arma dell’immigrazione strumentale. “Spesso i fenomeni migratori sono organizzati scientemente da una cerchia di Stati per ricattare i Paesi membri dell’Unione Europea. In maniera palese”, vi si ricorda. “È il fenomeno dell’immigrazione strumentale”. Nel 2021, ad esempio, il ricatto all’Europa con l’arma dell’immigrazione irregolare fu orchestrato da Alexander Lukashenko, che ordinò la semplificazione delle procedure burocratiche per il rilascio di visti turistici in Paesi come l’Iraq, in modo da rendere più semplice il viaggio di decine di migliaia di persone provenienti dal Medio Oriente che cercavano di raggiungere l’Unione Europea passando per la Bielorussia. Il governo bielorusso appaltò le procedure burocratiche per la produzione di visti d’ingresso ad agenzie turistiche che, per mesi, hanno emesso permessi validi per arrivare a Minsk, da ritirare in pochi giorni, e organizzato viaggi da città come Istanbul, Damasco, Dubai. Queste agenzie di viaggio nelle chat di WhatsApp o nei gruppi su Facebook, pubblicizzavano pacchetti all inclusive per una “vacanza” a Minsk, come ammesso da alcuni loro dipendenti al quotidiano tedesco Deutsche Welle.
I migranti venivano prima collocati in alberghi di proprietà dello Stato bielorusso e poi trasferiti su autobus – in alcuni casi sono stati utilizzati persino dei taxi – al confine polacco o lituano. Secondo le autorità polacche, nella sola estate del 2019 ci furono circa 30.000 tentativi di ingresso dalla Bielorussia. La foresta di Bialowieza, la più antica d’Europa, divenne il cimitero per molti iracheni, siriani, afghani, vestiti solo di t-shirt e ciabatte, ignari di ciò a cui sarebbero andati incontro partendo per quel viaggio. Questi migranti non sapevano che si sarebbero trovati in un inferno a meno zero gradi, e che una volta lì sarebbero stati ripetutamente respinti dai soldati polacchi e rimandati verso il confine dai manganelli e dai rottweiler dei militari bielorussi: letteralmente schiacciati nel muro contro muro della politica. «Ho detto all’Unione Europea che non tratterrò i migranti al confine – dichiarò nel 2021 Lukashenko alla Bbc – e se continueranno a venire non li fermerò perché non sono diretti nel mio Paese, stanno venendo nei vostri”.
Ma prima di Lukashenko, nel 2019 era stato il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan a non farsi problemi a mandare migliaia di profughi contro quell’Europa che aveva condannato la Turchia per l’attacco del suo esercito nel nord-est della Siria contro i curdi siriani. “Paesi dell’Unione Europea, se provate a chiamare la nostra operazione un’invasione allora la risposta è semplice: apriremo i nostri confini e vi manderemo 3,6 milioni di rifugiati!”, minacciò. E, come si ricordava, un copione simile è stato seguito negli ultimi anni anche dalla Russia. Aumentando i bombardamenti e il sostegno militare e politico al presidente siriano Bashar al-Assad, Mosca non solo si è garantita delle basi militari sul Mediterraneo, ma controllando i flussi migratori causati dalla guerra in Siria ha potuto anch’essa fare leva sulla minaccia dell’invio di profughi verso l’Europa.
È poi l’agosto del 2022, dunque circa sei mesi dopo l’invasione russa dell’Ucraina, quando l’agenzia di stampa Associated Press batte una notizia: i funzionari polacchi denunciano un aumento di immigrati originari di Paesi africani che dalla Russia arrivano in Bielorussia per poi provare a entrare illegalmente in Polonia. “Un’operazione ibrida volta a destabilizzare il fianco orientale della Nato”, precisa subito in una nota il governo polacco. La stragrande maggioranza dei migranti che cercano di entrare in Polonia dalla Bielorussia proviene dall’Africa Sub-sahariana. “Possiedono visti russi ed è attraverso la Russia che raggiungono la Bielorussia”, sottolinea il governo di Varsavia. “Hanno i visti rilasciati per studio o lavoro, ma secondo testimonianze acquisite dalla Guardia di frontiera, non hanno mai avuto progetti del genere e hanno utilizzato i visti solo per percorrere la rotta migratoria. L’amministrazione russa facilita la procedura per ottenere i visti. Le azioni intraprese da Russia e Bielorussia confermano che la rotta migratoria creata artificialmente è controllata e coordinata da questi due regimi e in futuro dovremmo aspettarci che l’operazione ibrida volta a destabilizzare il fianco orientale della Nato non farà che intensificarsi”.
Maurizio Stefanini