Macron ha potuto esprimere soddisfazione per la liberazione del cittadino francese Benjamin Brière e del cittadino franco-irlandese Bernard Phelan, che erano detenuti nella prigione di Mashhad, nel nord-est dell’Iran. “Liberi, finalmente. Benjamin Brière et Bernard Phélan potranno riabbracciare i propri cari”, ha twittato il presidente (twitter.com). “È un sollievo. Voglio rendere omaggio alla loro liberazione. Grazie a tutti coloro che si sono impegnati per questo risultato. Continueremo ad agire per il ritorno dei nostri connazionali ancora detenuti in Iran”. Brière, 37 anni, venne arrestato nel maggio 2020, accusato di spionaggio dalle autorità di Teheran. Phelan, 64 anni, operatore turistico, venne invece arrestato il 3 ottobre 2022, accusato di oltraggio alla sicurezza nazionale. I due uomini, che hanno sempre sostenuto la loro innocenza, sono stati liberati per motivi umanitari. Negli ultimi mesi, le condizioni di salute di entrambi erano molto peggiorate.
Ma se per Parigi ci zono note di sollievo, Stoccolma ha dovuto invece subire l’esecuzione del cittadino iraniano-svedese Farajollah Habib Chaab, 50 anni. Denunciando la decisione come “disumana” la Svezia ha convocato l’ambasciatore iraniano (twitter.com) mentre l’Unione Europea, a guida svedese, ha condanna l’esecuzione. “La condanna a morte per Habib Chaab […] soprannominato Habib Asyud, il capo del gruppo terroristico Harakat al-Nidal […] è stata eseguita oggi, sabato mattina”, ha riferito il 6 maggio il sito web della magistratura iraniana Mizan Online. Accusato di aver progettato e condotto operazioni terroristiche nella provincia del Khuzestan, incluso un attentato dinamitardo nel 2018 durante una parata militare annuale ad Ahvaz nel quale sono state uccise oltre 20 persone e molte altre ferite, Habib Chaab era stato rapito nell’ottobre 2020 da agenti dell’intelligence iraniana durante una visita in Turchia ed era stato introdotto clandestinamente in Iran. Un mese dopo la sua scomparsa, è stato mostrato in un video sulla tv di stato, in cui ha “ammesso” la responsabilità di attacchi terroristici e la collaborazione con i servizi di intelligence sauditi. Il 21 marzo la Corte Suprema iraniana ne aveva confermato la condanna a morte. A gennaio anche l’ex viceministro della difesa iraniano, naturalizzato britannico, Alireza Akbari era stato impiccato per spionaggio.
Ma questa non è che la punta dell’iceberg, emersa grazie alla cittadinanza straniera di queste persone. Continua ancora la repressione della protesta contro il velo islamico obbligatorio, cominciata sette mesi fa con la morte di Mahsa Amini, una studentessa curda morta mentre era in custodia della polizia morale perchè non indossava il velo in modo corretto. Ha fatto oltre 600 vittime e 19.000 arresti. Il 12 maggio la sezione 9 della Corte suprema iraniana ha confermato le condanne a morte di tre manifestanti arrestati durante le proteste a livello nazionale nel 2022 a Isfahan (nessunotocchicaino.it). Si tratta di Saleh Mirhashemi, Majid Kazemi e Saeed Yaghoubi, accusati di essere coinvolti nell’uccisione di tre membri delle forze di sicurezza il 16 novembre 2022 a Isfahan. Secondo Amir Kazemi, cugino di Majid Kazemi, “la pena di morte per i tre imputati principali di questo caso è stata confermata, nonostante la promessa dei funzionari della magistratura alle loro famiglie che sarebbe stata loro concessa l’amnistia in occasione dell’Eid al-Fitr (Festa della rottura del digiuno, alla fine del Ramadan). Le confessioni estorte sono state le uniche prove presentate durante il processo. Non c’erano prove che dimostrassero l’affermazione che le armi fossero state trovate addosso agli imputati”. In precedenza, in una telefonata al suo parente dalla prigione, Majid Kazemi ha rivelato che erano stati torturati e costretti a confessare.
Due giorni prima nella prigione di Dizelabad (Dizel Abad), a Kermanshah, era stato giustiziato il curdo Saber Payamian, 34 anni (nessunotocchicaino.it). Dall’inizio di quest’anno (circa 130 giorni), almeno 52 prigionieri curdi sono stati giustiziati nelle carceri iraniane. L’8 maggio è stata eseguita la condanne a morte dei due detenuti Sadrollah Fazeli Zarei e Youssef Mehrdad, ritenuti colpevoli del reato di blasfemia (twitter.com). Lo rende noto il sito Mizan on-line, secondo cui Sadrollah Fazeli Zarei e Youssef Mehrdad, sono stati condannati per sabulnabi ovvero per aver “insultato il profeta Maometto” e per aver “bruciato il Corano”.
Sui due prigionieri, impiccati nella prigione di Arak nell’Iran centrale, era stata pronunciata anche una fatwa, e prima di essere giustiziati hanno dovuto affrontare mesi di isolamento senza poter contattare le loro famiglie. Secondo l’agenzia Irna, entrambi furono arrestati nel marzo del 2021, accusati di avere fondato e guidato decine di gruppi che promuovevano “sacrilegio e blasfemia” sui social, ovvero attività di sacrilegio on-line. Uno di loro avrebbe anche ammesso pubblicamente gli insulti. Si tratta di confessioni che i gruppi di difesa dei diritti umani definiscono “estorte” perché di prassi sono ottenute sotto tortura.
Secondo le ong per i diritti umani come Amnesty International e Iran Human Rights, la Repubblica islamica dell’Iran è il secondo Paese al mondo per condanne a morte eseguite ogni anno dopo la Cina. Almeno 582 persone sono state giustiziate in Iran lo scorso anno, il numero più alto di esecuzioni nel Paese dal 2015 e ben al di sopra delle 333 registrate nel 2021. Anche l’Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, Volker Turk, ha denunciato “il numero spaventosamente alto” di esecuzioni nel 2023 in Iran, che ammontano in media a più di dieci a settimana (ohchr.org). Dal primo gennaio, sono state eseguite almeno 209 pene capitali in Iran, principalmente per reati legati alla droga, secondo una stima dell’Onu, che sottolinea, tuttavia, che la cifra potrebbe essere più alta.
Maurizio Stefanini*
*Roma, 1961. Giornalista e saggista, moglie e due figli, specialista in America Latina