Giorgia Meloni all’Assemblea Generale dell’Onu è andata per insistere su un Piano Mattei per l’Africa che eviti di trasformare l’Italia in un “campo profughi”. E per sostenerlo ha anche incontrato i presidenti di Guinea, Senegal e Kenya. Ovviamente, si può discutere sui termini di questo piano. Ma che in Africa in questo momento ci sia una situazione esplosiva, e che questa situazione esplosiva pompi un esoto attraverso il Mediterraneo, c’è poco da dubitarne.
In particolare, quello del 30 agosto in Gabon (theglobalnews.it) è stato l’ottavo colpo di stato in Africa Occidentale e Centrale dal 2020: dopo, nell’ordine, il Mali il 18-19 agosto 2020 e di nuovo il 24 maggio 2021; il Ciad il 20 aprile 2021; la Guinea il 5 settembre 2021; il Sudan il 25 ottobre 2021; il Burkina Faso il 30 settembre 2022; il Niger il 26-28 luglio (theglobalnews.it). Le motivazioni possono essere diverse. In Niger, in particolare, il comandante della guardia presidenziale ha agito contro il presidente eletto il giorno prima di essere avvicendato, ed ha poi utilizzato a suo sostegno slogan anti-francesi. Il braccio di ferro è andato avanti attorno all’ambasciatore francese, che ha rifiutato l’ordine di espulsione impartito da un governo di cui non riconosce la legittimità, e che si trova praticamente sotto assedio o sequestro nella sua sede diplomatica ( lemonde.fr). In Gabon c’erano invece state elezioni contestate, e non vengono agitati slogan anti-Parigi. Anzi, c’è un accenno di transizione, anche se confuso (lemonde.fr). Ma si conferma comunque una ripresa di protagonismo dei militari di fronte a istituzioni deboli.
Tre giorni prima che in Gabon si era infatti votato nello Zimbabwe, e dopo aver preso il 44% dei voti contro il 52,6% del presidente Emmerson Mnangagwa l’oppositore Nelson Chamisa aveva denunciato una “gigantesca frode”. Anche in Senegal, dove si vota il 25 febbraio prossimo, lo scorso 17 febbraio, il giorno prima che fosse rivelata la data delle prossime elezioni, il candidato dell’opposizione Ousmane Sonko era stato prelevato con la forza dal suo veicolo nel bel mezzo di manifestazioni fuori dal tribunale di Dakar dove si stava svolgendo il suo processo, nell’ambito di una causa civile contro di lui intentata dal ministro del turismo del Senegal per diffamazione e insulti pubblici. Il 3 luglio 2023, a seguito delle proteste su Sonko (theglobalnews.it) il presidente in carica Macky Sall ha dichiarato che non avrebbe cercato la rielezione per un terzo mandato. Ma il 14 luglio Sonko ha annunciato una candidatura alla presidenza che potrebbe però essere non valida per via della condanna a due anni di reclusione ricevuta a giugno, e il 31 luglio il suo partito è stato pure sciolto perché accusato di reiterati appelli alla violenza. Una decisione in seguito alla quale ci sono state nuove proteste che hanno fatto due morti. Il Senegal è stato un pioniere della democrazia in Africa, con il ripristino del pluripartitismo del 1974 e la prima alternativa democratica del Continente attraverso il volo nel 2000. Indica un quadro delicato anche dove non si arriva al golpe.
La Nigeria minaccia così ora un intervento militare per ripristinare in Niger il presidente eletto, così come si fece nel 2017 in Gambia assieme al Senegal per rimuovere un presidente che non voleva mollare il potere neanche dopo aver perso le elezioni. Mali e Burkina Faso minacciano di intervenire per difendere i golpisti, ed hanno anche stipulato una alleanza formale con il Niger (lemonde.fr). Ma intanto in Mali si sta riaccendendo la rivolta Tuareg (lemonde.fr).
Dal 15 aprile in Sudan si è accesa una guerra civile tra militari delle Forze Armate regolari e paramilitari delle Rapid Support Forces (theglobalnews.it), che ha fatto tra i 4000 e i 10.000 morti, tra i 6000 e i 12.000 feriti, oltre 4 milioni di sfollati interni e 1.130.000 rifugiati (theglobalnews.it). Ci sono interessi russi dietro al conflitto (theglobalnews.it), contro i quali sembrano ora essere intervenuti gli ucraini. Secondo la Cnn, i servizi speciali ucraini potrebbero essere dietro una serie di attacchi di droni e un’operazione di terra contro una milizia appoggiata da mercenari russi (edition.cnn.coml). Sebbene la Cnn abbia chiarito che non può confermare in modo indipendente il coinvolgimento di Kiev negli attacchi, ha osservato che le caratteristiche degli attacchi e dei droni utilizzati ricordano lo stile ucraino. Una fonte militare ucraina ha addirittura riferito alla rete nordamericana che l’operazione è stata effettuata da un “esercito non sudanese” e ha ritenuto che “i servizi speciali ucraini fossero probabilmente responsabili”.
In Etiopia un accordo di pace tra governo centrale e governo del Tigrai è stato firmato in Sudafrica lo scorso 2 novembre, dopo due anni di guerra civile che hanno fatto tra le 80.000 e le 600.000 vittime, a seconda delle stime. Ma recenti rapporti di Ong denunciano che militari etiopici ed eritrei continuano a compiervi stupri in quantità, almeno 120.000 (theglobalnews.it). Ma in Etiopia sono comunque ancora in corso le rivolte amhara (bbc.com) e oromo (worldpoliticsreview.com), e in Sudan il conflitto del Darfur (foreignaffairs.com). Altre guerre civili su base etnico-tribale sono in corso in Camerun, Repubblica Centrafricana, Marocco, Repubblica Democratica del Congo, Libia, Nigeria, Somalia, Sud Sudan e Uganda.
Insorgenze islamiste sono poi in corso in Algeria, Benin Burkina Faso, Camerun, Ciad, Egitto, Etiopia, Kenya, Libia, Mali, Marocco, Mauritania, Mozambico, Niger, Nigeria, Tunisia: spesso affiancandosi o sovrapponendosi a conflitti di altra origine. In particolare, Al Qaida nel Maghreb Islamico agisce tra Marocco, Algeria, Tunisia, Libia, Mauritania, Niger, Mali e Burkina Faso; Al-Qaida, Isis e gruppi locali in Egitto; gli al-Shabaab tra Somalia e Kenya; Boko Haram tra Nigeria, Niger, Ciad, Camerun e Benin; un altro al-Shabaab omonimo dell’altro e l’Isis in Mozambico. E proprio per affrontare i jihadisti molti governi hanno chiamato la Wagner, che spesso ha poi contribuito a destabilizzare. In Sudan, come ricordato, la Wagner fa traffico d’oro assieme alle Rapid Support Forces; in Burkina Faso, Mali e Niger ha fatto sponda ai golpisti. È inoltre presente in Libia, Eritrea, Sud Sudan, Algeria, Camerun, Guinea Equatoriale, Repubblica Centrafricana, Madagascar, Mozambico e Zimbabwe. Accusata di spingere migranti verso l’Europa e anche di stragi. Ad esempio, i 500 civili uccisi nel marzo del 2022 in un villaggio del Mali (theguardian.com).
Assieme alle guerre, ci si mettono anche la siccità e i problemi nell’export alimentare dovuti al conflitto in Ucraina. Solo Africa orientale si stima che siano circa 50 milioni le persone colpite dalla crisi e in alcune aree oltre 300.000 quelle in condizioni di carestia estrema con decine di morti per fame al giorno (redcross.org.uk). Secondo il Feed Africa Summit tenutosi a Dakar a febbraio (afdb.org), ogni giorno oltre 280 milioni di africani vanno a letto affamati.
E adesso vengono pure il terremoto in Marocco e l’uragano in Libia. Il Marocco ha confermato 2946 morti e 5674 feriti. I danni potrebbero arrivare alll’8% del Pil. A Derna, devastata dalla tempesta Daniel che ha fatto crollare due dighe e cancellato interi quartieri, nella tarda serata di lunedì centinaia di manifestanti infuriati hanno dato fuoco all’abitazione del sindaco Abdulmenam al-Ghaithi. “Il popolo vuole la caduta del parlamento“, “Aguila (Saleh) (= il presidente del parlamento) è il nemico di Dio“, “Coloro che hanno rubato o tradito devono essere impiccati“, “Libia, né Est né Ovest, unità nazionale” hanno cantato i manifestanti, riuniti davanti alla moschea principale della città. Durante la manifestazione a nome del “popolo di Derna” è stata letta una dichiarazione in cui si chiede “una rapida indagine e un’azione legale contro i responsabili del disastro”, oltre allo scioglimento dell’attuale consiglio comunale e un’indagine sui bilanci precedenti della città, all“’istituzione urgente di un ufficio di supporto delle Nazioni unite a Derna” e all’avvio del “processo di ricostruzione della città e di risarcimento dei residenti colpiti”. Stando a quando riportato dalla televisione libica al-Masar, poche ore dopo la manifestazione, il capo dell’esecutivo della Libia orientale, Osama Hamad, ha sciolto il consiglio comunale di Derna e ha dato l’ordine di avviare un’indagine. La stima riferita da ‘Euronews’ è di circa 10.000 persone scomparse, presumibilmente morte, oltre a circa 4.000 vittime accertate. È un bilancio rivisto al ribasso dall’Onu lunedì, dopo che erano stati annunciati 11.300 morti, ma è comunque pesante. Solo a Derna è stata confermata la morte di almeno 4.000 persone e altre 4.300 disperse. Secondo l’Organizzazione internazionale per le migrazioni, quasi 40.000 persone sono rimaste senza casa.
Maurizio Stefanini